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Pubblicato il 13/05/2016 11:11

Roma svela le collezioni dei Macchiaioli

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di Giulia Grilli

E' l'Ottocento dell'Unità d'Italia, tra scorci bucolici e realtà urbane, ad emergere nelle opere dei Macchiaioli in mostra al Chiostro del Bramante a Roma. L'esposizione, dal titolo "I Macchiaioli. Le collezioni svelate", è stata inaugurata lo scorso 16 marzo e sarà visibile fino al 4 settembre in uno degli angoli più suggestivi e intimi del centro della capitale.

 

Il movimento pittorico tutto italiano, da sempre messo in secondo piano dal più famoso Impressionismo francese, nasce attorno al 1855 nel Caffè Michelangelo di Firenze in cui i giovani artisti dell'Accademia si incontravano per scambiare idee e opinioni. Le regole, in quel periodo, stavano cambiando e le nuove teorie affermavano l'assenza della forma in quanto tale, diventata ormai pura creazione della luce, che si materializzava sulla tela come macchie di colore a volte distinte, altre sovrapposte. In opposizione al Romanticismo, al Neoclassicismo e al Purismo, la pittorica macchiaiola è verista e descrive una quotidianità in cui la natura sembra far da padrona. Il termine specifico viene coniato nel 1862 da un giornalista della Gazzetta del Popolo intento a definire, ironicamente, quei pittori che avevano dato origine ad un movimento che si scontrava con gli allora dettami accademici della pittura italiana.

 

 

 

 

Centodieci sono i dipinti esposti nella mostra a cura di Francesca Dini, divisa in nove sezioni appartenenti ad altrettanti collezioni che li raggrupparono alle origini. Critici, mecenati, intellettuali, a volte pittori essi stessi e uomini dell'antica nobiltà erano storicamente i custodi delle opere di questi artisti rivoluzionari. Cristiano Banti, Diego Martelli, Rinaldo Cornelio, Edoardo Bruno, Gustavo Sforni, Mario Galli, Enrico Checcucci, Camillo Giussani e Mario Brogiotti: questi i nomi dei grandi collezionisti che sostennero artisti come Telemaco Signorini, Federico Zandomeneghi, Giovanni Fattori, Giuseppe De Nittis, Cristiano Banti, Orlando Borrani e Oscar Ghiglia.

 

I dipinti sono caratterizzati dall'assenza di linee marcate e nette, il colore diventa una macchia indefinita, strumento del binomio luce e ombra che descrive le diverse ore diurne, che scandisce le stagioni, illumina gli interni delle case attraverso i merletti delle tende, e che ancora dona volume e tridimensionalità tra un gioco di piani messi a fuoco e altri lasciati volutamente indefiniti per dar risalto a dettagli più nitidi.

 

 

 

 

 

Le tinte della natura rendono questi racconti poetici e realisti allo stesso tempo, tra lo scintillio del raggio del sole nell'acqua e il movimento ombroso delle foglie che rinfrescano una donna seduta su una panchina, tra gli alberi di un giardino.

 

La campagna è spesso protagonista, nella libertà degli spazi e nelle attività rurali degli abitanti romagnoli o toscani immortalati dal talento di questi pittori. I pagliai, l'orto, i buoi, i contadini, la lavandaia, la donna che fila, ma anche i soldati, i paesaggi malinconici e la frenesia dei nuovi centri urbani. Questi sono i racconti dell'arte macchiaiola.

 

 

 

 

Le fronde degli alberi sembrano muoversi al vento, i fiori sbocciare, i prati piegarsi al passare di una mandria di buoi. Anche l'odore del pane sembra sopraggiungere dalla porta aperta di un'antica fabbrica di Settignano. E nel mentre, si ode il rumore delle ruote dei carretti e delle suole delle scarpe per le strade della città, tra il vociare delle donne, gli schiamazzi dei bambini e le urla di qualche venditore ambulante.

 

La magia di questa corrente artistica si svela agli occhi dell'osservatore attento, catturato dalla luce radente che illumina una parte di muro e ne adombra un'altra, in quel piccolo paesino tutto italiano in cui ognuno di noi, sognante, crede di aver passeggiato almeno una volta nella vita.

 

 

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