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Pubblicato il 28/03/2014 11:11

Odontoiatria speciale, quando il paziente è disabile o a rischio

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di Giulia Grilli

"Mi ricordo ancora benissimo quando, all'inizio dello svolgimento della mia attività presso l'Ospedale Cardarelli di Campobasso, entrò in sala una paziente tetraplegica tra le braccia di suo padre. Aveva circa diciassette anni e pesava poco meno di 20 kg. Affetta da bruxismo, aveva consumato i denti fino ai nervi, il suo volto era gonfio e il dolore lancinante" racconta il Dottor Gianfranco Ricci, medico chirurgo specialista in odontostomatologia. "Chiamai l'anestesista, e le chiesi di sedare la ragazza per poterla operare. Solo così riuscii a devitalizzare dodici denti in una sola seduta, e a prendere l'impronta per metterle il bite".

 

Da allora una sorta di patto di sangue lega il Dottor Ricci ai pazienti disabili o a rischio, definiti "non collaboranti", per i quali le cure odontoiatriche richiedono approcci completamente diversi da quelli ordinari. Iscritto alla SIOH (Società Italiana di Odontostomatologia per l'Handicap), svolge da quindici anni l'attività all'interno della U.O. di odontostomatologia dell'Ospedale Cardarelli di Campobasso in qualità di Direttore, e da venticinque anni è libero professionista negli studi di Foggia e Pescara, dove si occupa prevalentemente di chirurgia orale.

 

 

Dottor Ricci, cosa vuol dire quando un paziente viene definito "non collaborante" ?

Limitazioni oggettive dovute ad alterazioni comportamentali, a deficit intellettivi o fisici, possono rendere i pazienti indisponibili. Per questo motivo è necessario ricorrere alla sedazione cosciente o alla narcosi per lo svolgimento delle cure odontoiatriche. Un paziente affetto da schizofrenia, ad esempio, è impossibile da tenere fermo sulla poltrona, perché soffre di scosse tonico-cloniche. Inoltre, accade spesso che non apra la bocca o che la chiuda durante l'operazione rompendo la strumentazione e procurando danni alle mani del medico.

 

Quando si ricorre alla sedazione leggera e quando a quella profonda?

E' necessario valutare il grado di non collaborazione. Quando il paziente è trattabile si ricorre ad una sedazione lieve, in cui vengono mantenute sia la funzione respiratoria che cardiovascolare, oppure ad una sedazione moderata, in cui i riflessi protettivi sono conservati. Qualora il paziente risulti non collaborante perché affetto da deficit psico-motorio, perché odontofobico, perché troppo piccolo di età o in condizioni di immunodepressione, allora si ricorre all'anestesia generale tramite intubazione.

 

E in quest'ultimo caso com'è possibile intervenire data la presenza del tubo nella zona interessata?

Deriva tutto dall'esperienza sul campo e dal saper curare questi pazienti. Chi svolge l'attività odontoiatrica, in caso di intubazione oro-tracheale, ha delle limitazioni in termini di spazio nel cavo orale, ostacolo che non desta preoccupazioni, ad esempio, per un chirurgo gastroenterologo. L'anestesista posizionerà il tubo nel lato opposto alla zona interessata dall'operazione, grazie all'aiuto dei divaricatori. E' importante che questa figura abbia una competenza professionale elevata, sia in questo frangente che a monte, ovvero quando è necessario valutare le interferenze dei medicinali psichiatrici o neurologici assunti dal paziente con le sostanze sedanti.

 

 

Quali sono le figure professionali necessarie per questi interventi?

L'equipe medica in questo caso è composta dall'odontoiatra specializzato, dall'assistente alla poltrona, dall'igienista dentale, perché la prima cosa su cui intervenire è proprio l'igiene orale, e poi dall'anestesista e dal tecnico anestesista. Ovviamente, poter svolgere quest'attività sulla poltrona odontoiatrica rende possibili tutti gli interventi, mentre sul tavolo in una sala operatoria ci si limita unicamente alle operazioni di bonifica dentaria.

 

E' sempre necessaria una struttura ospedaliera per operare i pazienti in sedazione?

Non c'è una legge che vieta di svolgere in uno studio privato queste attività, purchè lo studio sia attrezzato e abbia l'accreditamento come poliambulatorio specialistico dove si pratica chirurgia. La struttura ospedaliera ha un grandissimo vantaggio, perché è sempre necessario valutare l'ipotesi che il paziente sia allergico all'anestesia o abbia una crisi durante l'operazione. In uno studio privato sarebbe impossibile intervenire, mentre in una struttura ospedaliera si. Non bisogna sottovalutare mai la possibilità che si verifichi una complicanza su mille. Il problema è tutto nella coscienza del medico.

 

 

Un paziente che necessita di questo tipo di cure è discriminato quando le strutture pubbliche non offrono un servizio ospedaliero?

Assolutamente si, il paziente è discriminato, ed è per questo motivo che mi batto da anni per attivare tale servizio anche presso la A.S.L. di Pescara, in Abruzzo. Quando l'offerta proviene dalle strutture private i costi per il paziente sono elevatissimi, e questo non è giusto. Bisogna pensare che alla base dell'esistenza di questi malati ci sono sofferenze quotidiane, problematiche sociali e famiglie alle spalle che, con una tranquillità invidiabile, ma anche con numerosi sacrifici, si prendono cura della loro esistenza.

 

Perché ha scelto di dedicarsi a questa attività?

Questi pazienti non devono essere dimenticati, è una questione sociale troppo importante. Quindici anni fa ho spinto l'Ospedale Cardarelli di Campobasso ad introdurre questo servizio odontoiatrico dopo aver seguito tre mesi di corsi e pratiche a Bologna. La nostra unità operativa risponde oggi alle necessità del Molise, sud dell'Abruzzo e nord della Puglia. Le soddisfazioni maggiori derivano dalla costruzione di un rapporto di fiducia con i pazienti, almeno quelli meno gravi, tale da svolgere l'operazione in assenza di sedazione. Il loro sorriso, sincero, è il risultato più appagante.

 

 

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