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Pubblicato il 19/12/2012 09:09

Il Giubileo del Beato Nunzio Sulprizio

pescosansonesco, beato nunzio

di Antonio Alfredo Varrasso

Il 1° dicembre 1963, durante la seconda sessione del Concilio Vaticano II, il papa Paolo VI (1897-1978), pontefice dal 21 giugno 1963, elevava agli onori degli altari Nunzio Sulprizio di Pescosansonesco, con il titolo di ‘beato'. Si apre, così, proprio nel corrente mese di dicembre, in Pescosansonesco, ma direi per l'intero Abruzzo e non solo, un anno giubilare che andrà a concludersi alla naturale scadenza, nel dicembre 2013; un giubileo dalle intense venature religiose e spirituali, ma anche, per noi conterranei di Nunzio, contrassegnato dal doveroso impegno culturale a saperne meglio e di più sulla sua biografia e sulla società del suo tempo. E' un po' come, sul versante culturale, lo stesso avvertito Pontefice ebbe modo di dire, evocando il problema della santità nei tempi moderni, durante la cerimonia di beatificazione, in San Pietro, a proposito, tra l'altro, dello studio della vita dei santi - e, nel caso specifico, con un forte richiamo a quella attualità sociale - cioè che "la vita del nostro tempo, nella quale il giovane ed il lavoratore occupano posizioni rappresentative ed operative di prima importanza" è tale per cui, esaminando la sua, di Nunzio, facciamo anche la nostra storia, conosciamo meglio noi stessi! Era lo spirito stesso del Concilio, in un certo senso, a chiedere ‘sostegno' al nuovo beato!


Ma Nunzio Sulprizio non godeva, né gode - possiamo ben dirlo - di una rigorosa ed esaustiva biografia! ‘Breve e scolorita biografia di Lui', infatti, è quella che lo stesso Paolo VI considerava dagli atti dei processi canonici (che si offrono oggi a noi in una auspicabile rivisitazione!) e dalla quale, però, derivava un modello di santità, avvertito come importante, se non proprio inedito, ma proponibile particolarmente nella contingenza del bum economico e degli enormi problemi sociali che esso poneva all'Italia e, quindi, alla Chiesa.
Il nostro beato nasceva a Pescosansonesco, il 13 aprile 1817 e morì in Napoli, il 5 maggio 1836. Dunque a 19 anni appena compiuti. Si tratta, in primo luogo, di un giovane, più adolescente che maturo, stando ai pochi dati che possediamo.
La sua travagliata esistenza, poi, tra il paese abruzzese - che, ancora nel 1859, D. Serafino Ventura (parroco di Castiglione alla Pescara e postulatore diocesano del processo canonico pennese), definiva - con una punta di forzata meraviglia: "...un paese...ove si giunge per vie aspre e pericolose e nell'inverno affatto impraticabili" - tra il paese nativo, dicevo, e Napoli, dove venne accolto da Felice Vochinger, un ufficiale svizzero al servizio dei Borboni, profondamente ammirato della ‘santità' di Nunzio, lo proponeva, prima ancora che infermo e malato, innanzitutto come ‘operaio', in quanto asservito apprendista, sempre nel paese natale, all'officina di fabbro ferraio dello zio , Domenico Luciani. Perciò il papa Paolo VI poneva l'accento sui due dati di fondo del modello di santità ispirato da Nunzio: la giovinezza, riecheggiando qui una componente agiografica gonzaghiana, che era stata già di Leone XIII (1810-1903), proprio a proposito di Nunzio, nel 1891 e, con particolare sottolineatura, quella della esperienza lavorativa del beato, veicolando questo binomio concettuale nell'attualità della beatificazione e nel vivo del dibattito conciliare!
. Perciò Nunzio nella idealità della Chiesa e del Pontefice aveva diverse cose da dire: ai giovani e al mondo del lavoro, per quanto fosse precario il suo profilo biografico classista, che sfumava, appunto, nel contesto cronologico dell'età giovanile, tra l'apprendistato operaio e la pura manovalanza infantile, nel rispettivo contesto sociale di sostanziale abbrutimento fisico - morale e di sfruttamento, anche infantile.
Tanto il dato generazionale, quanto quello sociale e classista meritano, allora, di essere approfonditi proprio sul terreno storico, nel contesto di una realtà culturale, economica e, quindi sociale, della prima metà dell'Ottocento, in piena Restaurazione, all'interno di un panorama ambientale, non solo locale, ma direi regionale, dati i rapporti, misconosciuti quanto si voglia, ma reali ed essenziali , di una località marginale e pur così viva in ambito vallivo e zonale.
Il problema storico di Nunzio Sulprizio, poi, pone anche un altro orizzonte culturale, ben avvertito dal Pontefice, nel 1963 e cioè quello della sua formazione religiosa e culturale. Il papa parla di una ‘bella apologia', che fin qui si è fatta del personaggio, ma aggiunge che vanno riconosciuti in quella pur stringata biografia ‘aspetti nuovi', appena avvertiti. Un programma, a ben vedere, quello del Pontefice, sostanzialmente disatteso nel prosiego, in cui apparvero urgenti ed essenziali gli aspetti della promozione del culto, più che quelli di una valorizzazione culturale.
Intanto l'infanzia di Nunzio, orfana e poverissima, la immensità di un dolore innocente e poi la vicenda di una ‘pietà viva'.
"Basta a spiegarla - quest'ultima - quel po' d'educazione religiosa che poteva dare a quel tempo una parrocchia abruzzese perduta sui monti? si chiede, non tanto retoricamente, PaoloVI, con un successivo riferimento ad un tema conciliare vivissimo e cioè quello della storia della ‘religiosità popolare', che agisce in Nunzio, anche attraverso l'affettuoso contatto con la nonna con cui visse orfano e che, ora, la Chiesa, proprio ora con il Concilio, si appresta a riesaminare!
Perciò egli pone, per quanto ci riguarda adesso, almeno due problemi storici e storiografici: quello della religiosità e della cultura ( con il problema scolastico ben in evidenza) e quello della vicenda parrocchiale, intesa sia istituzionalmente, che nella concreta iniziativa pastorale. Il papa dice che ‘resta da esaminare la formazione religiosa del giovane illetterato' (pare che agli atti della positio vaticana si conservi un solo scritto - già citato nel processo diocesano pennese - di Nunzio, una lettera che da Napoli rimise allo zio Domenico Luciano in Pesco). Anche "se talora manifestata in forme ora discutibili di culto popolare" il papa auspica di sondare meglio la ricchezza di una tradizione religiosa locale, per sapere come e anche da qui Nunzio trasse le capacità, indubbie!, di comprendere il proprio e l'altrui dolore e di dargli, appunto, una dimensione di santità, che la Chiesa ora riconosceva e voleva si riconoscesse.
Si propone, allora, attraverso l'esperienza umana di Nunzio Sulprizio, in un preciso momento storico, un paesaggio sociale, culturale, religioso che è stato appena appena evocato nei testi processuali ed agiografici e che invece rappresenta la chiave di volta per sapere di Lui e degli altri, anonimi soggetti di una storia ‘marginale' del nostro Abruzzo nella prima metà dell'Ottocento, ancora segnata dal Decennio ‘rivoluzionario' francese.
Tra le diverse deposizioni raccoglibili nel processo canonico pennese, dedicato alle virtù di Nunzio Sulprizio mi piace riscontrare (ma non è l'unica) quella, del 9 ottobre 1873, di Anna Maria Troiani, vedova Calore, di 85 anni e ‘benestante'; testimonianza raccolta nella sacrestia della chiesa parrocchiale, oggi purtroppo del tutto crollata, dedicata al Battista, lì dove Nunzio spesso pregava e particolarmente innanzi all'immagine di Antonio da Padova!
La teste ricordava che il piccolo Nunzio si recava a casa sua e giocava con un suo figliolo, suo coetaneo. Precisò che Egli ebbe solo una sorellina, morta in tenera età (circostanza quasi del tutto ignorata dagli altri testi) e che frequentava la scuola del defunto arciprete Calore, cognato di essa. Ma colpisce anche questo: "...aveva dallo zio qualche volta dei rimproveri perché si allontanava dalla bottega, per trastullarsi coi suoi coetanei..". Un Nunzio fanciullo, dunque, insieme ad altri bimbi, che desiderava, come ogni bambino, giocare, pienamente e drammaticamente inserito nella società del suo tempo. E Domenica Mancini vedova Caiani, contadina di circa 85 anni soggiunge che Nunzio frequentava la sua casa, poco distante da quella ove Egli abitava e dove veniva ‘a rifuggiarsi (..) quando era percosso dallo zio (..) ed io gli indicai la fontanella ove lavarsi. E ancora: ‘siccome lo zio aveva grossa famiglia, così qualche volta al venerabile Nunzio non gli era sufficiente il vitto ed allora egli l'accettava da chi spontaneamente glielo offriva (..) dagli altri ragazzi soffriva ingiurie...perche storpio". Un Nunzio, dunque, colpito anche dalla fame; un giovine malnutrito. La ‘fama di santità', che da Napoli ben presto s'affermò anche a Pescosansonesco e nei dintorni, ha in qualche misura tessuto una sorta di velo di pudore, per dirla eufemisticamente, sulle condizioni effettive della società e delle persone e delle istituzioni. Anche questo, a ben vedere, è un dato storico indubbio
In questo cinquantennio che ci separa dall'evento di beatificazione la ‘memoria' di Nunzio, essa stessa, così sentita e pervasiva, s'è fatta componente di religiosità popolare - (ne posso dare testimonianza personale!) - direi anima stessa di un nuovo approccio sensitivo e cognitivo alle cose, all'ambiente, alla natura del paesaggio fisico e sociale che la sua vita evocava ed evoca. Per questo penso che sia ora di realizzare un approfondimento, adeguato sul piano culturale e scientifico, necessario a comprendere, con Lui, attraverso di Lui, la vicenda contemporanea di questa nostra Terra di santi, ma completamente priva di eroi!

 

 

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