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Pubblicato il 22/01/2016 11:11

Crollo del Convitto le motivazioni della condanna in Cassazione

Sono rimasti "inerti" di fronte alla gravita' dello sciame sismico che colpiva L'Aquila gia' da mesi, e che era particolarmente insistente la notte del crollo del Convitto nazionale - tre ragazzini morti e due feriti, il sei aprile 2009 - mentre i due imputati, entrambi con posizione di garanzia, avrebbero dovuto dichiarare da tempo l'inagibilita' della scuola la cui instabilita' era nota. O, almeno quella notte, organizzare l'evacuazione degli studenti. Per queste ragioni la Cassazione - sentenza 2536 depositata oggi e relativa all'udienza del 23 ottobre - ha confermato le condanne per omicidio colposo e lesioni per Livio Bearzi (4 anni), ex rettore del Convitto, e Vincenzo Mazzotta (2 anni e 6 mesi), allora dirigente provinciale responsabile dell'edilizia scolastica. "La situazione di allarme sismico era talmente conclamata che il sindaco di L'Aquila aveva disposto la chiusura di tutte le scuole del centro storico", scrive il verdetto. Se Mazzotta avesse fatto la valutazione di pericolosita', "non sarebbe  mancata una analoga ordinanza di inagibilita' che avrebbe salvato  gli allievi del convitto". Sulla responsabilita' di Bearzi, la Suprema Corte dice che "per costui il piano di sicurezza prevedeva espressamente il potere dovere di disporre l'evacuazione in caso di necessita'". "D'altra parte, in quella notte fatale si era in presenza di indicazioni drammatiche ed incalzanti che imponevano di corrispondere con immediatezza alle pressanti richieste dei giovani allievi e particolarmente di quelli minori", prosegue la Cassazione. I supremi giudici, analizzando il comportamento del dirigente, concordano sul fatto che "manifesto' una conclamata insensibilita', una grave negligenza ed imprudenza, imponendo ai ragazzi di sopportare un rischio intollerabilmente elevato che si concretizzo' nel breve volgere di poche ore". In un frangente come quello, nessuno, nemmeno gli esperti della Protezione Civile, potevano dare rassicurazioni che non si sarebbero verificati crolli. La situazione "aveva assunto una tale drammatica evidenza in quella notte che veniva travolto qualunque parere fosse stato espresso in epoca anteriore a proposito della verifica di un sisma di rilevante portata". Il rettore avrebbe dovuto fare una sola cosa: far uscire gli studenti da quella trappola prossima al collasso. Per quanto riguarda Mazzotta, la sua e' stata "colpevole inerzia nel tempo e particolarmente nella fase di critica sismicita'". Non e' una sua colpa la mancata realizzazione degli interventi "strutturali" necessari a stabilizzare il Convitto, dato che non c'erano i fondi e che non aveva "poteri di spesa", ma - spiega la Suprema Corte - era suo compito attivarsi per regolamentare "diversamente" l'utilizzo del Convitto o "inibire l'uso dell'edificio". "Plurimi strumenti potevano essere esperiti per tutelare gli studenti", sia da parte del rettore, sia da parte del Mazzotta, ma sono rimasti "colposamente  inadempiuti". Infine, la Cassazione - che ha confermato la sentenza della Corte di Appello aquilana del 16 giugno 2014 - sottolinea che "non vi e' dubbio che l'ente Convitto ed il Ministero dell'istruzione debbano rispondere delle condotte colpose" del rettore. La responsabilita' risarcitoria nei confronti dei familiari delle vittime - Luigi Cellini, Ondrey Nuozovsky e Marta Zelena, e dei feriti, Mirko Colangelo e Luigi Cardarelli - era stata esclusa in primo grado

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