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Pubblicato il 21/08/2012 11:11

Cesare Manzo, una vita dedicata all'arte contemporanea

cesare manzo

di Giulia Grilli

Il nome di Cesare Manzo viene usato spesso come sinonimo di Fuori Uso, la rassegna che ha ideato per rilanciare l’arte nei luoghi “dimenticati” di Pescara. Limitandosi a questo però si fa un torto a questo personaggio che ha vissuto l’arte in tutte le sue forme sin da giovanissimo. Ha cominciato scrivendo poesie.“Le mie idee erano bellissime, ma non sapevo scrivere in modo corretto e questo per me era inaccettabile. Ho sempre pensato che quando qualcuno non sa fare le cose è meglio che si faccia da parte e ancora oggi sono di questa idea”, dice Cesare Manzo.

Accantonati i versi si dedica all’organizzazione di eventi, rimanendo sempre nel mondo della cultura, per creare un contenitore che permettesse l’incontro di giovani artisti. “Non sai quante me ne hanno dette: che io facevo arte contemporanea, che non capivo nulla”, ma per Cesare Manzo l’arte alla fine degli anni Sessanta era una necessità, e per questo aprì la prima galleria a Pescara, in via Ravenna, “cominciai piano piano, e venni preso da questa ruota incredibile, perché l’arte quando ti prende non ti lascia più”.

 

Trasferita la galleria in via Regina Elena conobbe Andrea Pazienza “io sono stato il primo a fargli fare una mostra dicendogli: tu non sei un artista, tu sei di più. Tu sei un grande fumettista e devi giocare su questo. Abbiamo avuto molti scontri, ma gli ho voluto bene come se fosse mio figlio. Sono un tipo che perde la pazienza molto facilmente ed ero uno che menava. Nessuno allora poteva mettersi contro di me. Adesso, se potessi tornare indietro, starei zitto in molte occasioni, ma all’epoca non accettavo imposizioni da nessuno”.

 

Questo carattere così forte l’ha aiutata o penalizzata?

 

Non mi ha aiutato, basta pensare che sono ancora povero. Questo è un mondo che non ripaga, a meno che tu non sia uno veramente grande. È un po’ colpa mia, perché non sono un cialtrone. Esserlo in questo mercato, un po’ come in tutti i mercati, ripaga molto. Ho scelto un modo di essere e di vivere molto diverso da quello degli altri, e lo dico con amarezza perché non è semplice. Attualmente sto pensando di chiudere anche la mia galleria in via Umbria.

 

Perché pensa di chiuderla?

 

Perché le tasse ti mangiano vivo. E perché non ho mai avuto degli sponsor. Le altre gallerie hanno sempre uno sponsor, io no. Nessuno mi ha dato fiducia. Molta gente diceva che io ero uno che guardava la cultura e non il mercato, ma hanno sbagliato tutti nei miei confronti. Devo ammettere che anche io ho sbagliato spesso seguendo le prime impressioni. Quando ho conosciuto Raul, un giovane artista per il quale ultimamente ho fatto una mostra, ho pensato fosse solo tutti muscoli e niente cervello. E invece, con mio immenso piacere, si parlava di Dalì, di De Chirico e lui mi diceva: “si l’ho letto”. Allora io ho pensato: che hai fatto tu? Siamo diventati amici. Alla mostra è venuto Giacinto Di Pietrantonio che ha esclamato: quant’è bravo questo ragazzo, lo voglio a Fuori Uso.

 

Com’è nata l’idea di Fuori Uso?

 

Quando cominciai a fare grandi mostre, avevo sempre l’idea di qualcosa di più grande. Ho pensato: non serve un museo per esporre l’arte, possiamo usare qualsiasi luogo. Il concetto fondamentale è l’opera di per sé. L’idea è piaciuta e mi hanno copiato un po’ dappertutto. Le persone venivano da tutto il mondo e, una volta a Pescara, non se ne volevano andare. Con gli artisti e i critici, ci trovavamo tutti molto bene perché ogni sera facevamo baldoria, parlavamo, ci confrontavamo, nascevano idee. Era un bel movimento. David Hammons, uno dei più grandi artisti, ogni tanto me lo vedo alla porta che mi viene a trovare e questo mi rende felice.

 

Cosa è per lei l’arte?

 

Ah non lo so. Forse l’arte è quella cosa che ti permette di capire di più. Non che sia piacevole. Più capisci e più ci rimani come un cretino. Non conviene capire di più, ecco, per intenderci. L’arte è quella cosa che tu subisci e l’artista è una persona come tante,  che viene colpito brutalmente dagli eventi e dalle storie.

 

Qual è un suo desiderio?

 

Vorrei uno spazio fisso per interagire con i giovani e creare qualcosa di positivo. Ci sono tanti spazi, che il Comune, la Regione o la Provincia potrebbero dedicare a questo, ma oggi non ti danno la possibilità di fare.

 

Si ritiene un personaggio scomodo?

 

Io vorrei essere un personaggio comodissimo. Ssono un uomo molto fedele ad esempio, quando qualcuno mi aiuta, io ricambio sempre. Il mio lato umano non viene capito mai. Eppure io sono di un’allegria che nemmeno immagini. Solo che quando sento parlare a vuoto io esplodo, mi viene naturale. Non mi sento vittima di nessuno, sia ben chiaro. Facessero quello che vogliono, ma io ci riproverò. Anche se è un peccato che nessuno mi utilizzi per l’arte, io potrei far risparmiare un buon 70% dei costi per una mostra.

 

Veniamo interrotti dall’arrivo di suo figlio, l’ultimo, il più piccolo. Cesare Manzo cambia improvvisamente espressione, gli occhi si riempiono di gioia. La figura di un uomo forte e determinato viene spazzata via. Di nuovo da soli c’è solo un’ultima domanda da fare.

 

Cosa è per lei la famiglia?

 

È tutto….

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