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Pubblicato il 15/11/2012 18:06

Maura Chiulli, tra libri e amore

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di Giulia Grilli

 

Piercing e tatuaggi che sbucano dalle maniche arrotolate del maglione con le borchie. Una casa in pieno centro che sa di nuovo e di buono. A parlare oggi è Maura Chiulli, scrittrice abruzzese tornata a Pescara dopo 13 anni. In seguito al successo di "Piacere Maria", "Maledetti froci e maledette lesbiche" e "Out", a breve la rivedremo nelle librerie con un nuovo romanzo.

L'esistenza di Maura è stata segnata da una profonda sofferenza, e le cicatrici del suo percorso sono visibili ancora oggi. Questa trentenne dai capelli corti, dalla figura ribelle e apparentemente mascolina, è una donna lesbica. Una donna come tutte le altre, con una grande femminilità, un pizzico di vanità e quella giusta dose di fragilità che la rende più umana.

Il cammino verso la scoperta della sua omosessualità è stato molto doloroso. Dall'anoressia alla bulimia, per arrivare all'autolesionismo, Maura ha lasciato che fosse le malattia a parlare per lei. Fino a quando non si è chiesta quali fossero le origini del suo malessere, "perché io non desideravo né essere magra né bella, io volevo solo sparire". Grazie ad un percorso terapeutico ha iniziato a decifrare i suoi desideri, fino a scoprire totalmente se stessa: "Sono stata educata da questo paese a considerare l'omosessualità come una malattia, una diversità inaccettabile e, avendo interiorizzato tutto questo, non riuscivo ad accettarmi". Da Arcigay alla pubblicazione di libri inchiesta, Maura combatte quotidianamente per i suoi diritti e quelli di tutta la comunità LGBT (lesbiche, gay, bisessuali, e transessuali).

 

Quando e come hai iniziato a scrivere?

In realtà non ho deciso di scrivere, le parole hanno scelto di raccontarmi fin da bambina. Durante l'infanzia ero molto silenziosa, timida e chiusa. Ho sempre utilizzato la scrittura come strumento di espressione dei miei sentimenti. Mi ricordo che per comunicare con mia madre scrivevo delle lettere. A 18 anni ho incontrato un editore e a 24 è uscito il mio primo romanzo "Piacere Maria". Racconta la storia di una donna che impara a conoscersi. Ha a che fare con l'omosessualità, con me, con il mio vissuto, ma non è autobiografico. Le due pubblicazioni successive, "Out" e "Maledetti froci e maledette lesbiche" sono, invece, dei libri inchiesta. Lavorando in Arcigay ho conosciuto tanti ragazzi e ragazze che chiamano per raccontare le violenze subite in relazione al loro orientamento sessuale. Ho deciso di dare giustizia a questi racconti. Bisogna ricordare che in Italia la Commissione Giustizia ha bocciato la proposta di legge contro l'omofobia. Nel nostro paese la violenza contro le persone omosessuali, a quanto pare, è legale, non è un reato. Recentemente, invece, altri tre Stati americani hanno approvato i matrimoni tra gay. Volevo che dei libri potessero raccontare la distanza tra il nostro paese e altri molto più democratici.

 

Cosa puoi dirmi del tuo prossimo libro?

Uscirà con la casa editrice Aliberti Castelvecchi, e finalmente torno al romanzo. Scrivere libri inchiesta è bello, è stimolante, ma non è come narrare liberamente. Questo libro si intitolerà "Dieci giorni" e l'ho scritto circa tre anni fa. Racconta una storia molto lontana da me e dalla mia realtà, per cui mi sono misurata con quello che non conosco e che non ho mai vissuto. È stato difficilissimo, ma ho cercato di essere più verosimile possibile. Dovrebbe uscire entro novembre, ma il mondo editoriale è sempre in attesa del momento giusto, per cui aspettiamo.

 

Cos'è per te la scrittura?

Io credo che sia un atto privo di volontà, un'appendice che promana dalle mie dita e dal mio stomaco e della quale non posso fare a meno. La mia non è una letteratura accademica, ma è libertà assoluta. Non sarà mai la mia professione, se lo fosse perderebbe il suo fascino. Ho bisogno che la scrittura sia l'evasione quotidiana e necessaria, per cui non smetterò mai di scrivere, ma potrebbe accadere che un giorno io smetta di pubblicare. Ho bisogno anche di regole, di un lavoro stabile, come quello che svolgo oggi qui a Pescara con mio padre nel campo assicurativo. Ne avrò bisogno soprattutto per diventare madre. Dovrò pagare per farlo e dovrò avere una solidità economica che mi consenta di crescere un figlio con la mia futura compagna. Il mio sogno più grande è avere una famiglia, di creare la pace e la serenità. Io sono una che ama troppo. Fino a quando vedrò l'amore come un serbatoio di bisogni farò fatica ad avere relazioni serene. Investo molto sull'altra e ancora troppo poco su me stessa. Devo fare pratica dell'amore, ma almeno so verso chi indirizzarlo.

 

Perché dici di essere una donna che ama troppo?


Io dimentico me stessa quando amo, e faccio di tutto per soddisfare le necessità dell'altra, per fare in modo che resti, che non se ne vada. Sono terrorizzata dal rifiuto e dalla perdita. Tendo ad instaurare delle dipendenze affettive. Più che un sogno, che un desiderio di felicità, per me l'amore è qualcosa che mi dev'essere garantito. Mi sono amata così poco che è come se volessi un risarcimento per ciò che non ho vissuto. Fino a quando non scioglierò completamente questo nodo avrò relazioni difficili.

 

Che reazioni hai ricevuto dopo aver detto al mondo che eri lesbica?

Quando l'ho detto la prima volta ero in un centro di cura. Le reazioni sono state meravigliose, perché le persone che avevano vissuto con me il mio percorso non aspettavano altro, che io mi liberassi e mi riconciliassi con me stessa. Ho avuto qualche difficoltà con il mondo esterno, certo. Quando cercavo casa con la mia compagna, alcune persone si sono rifiutate di affittarci un appartamento con un letto matrimoniale. Una mia datrice di lavoro, dopo aver scoperto che ero lesbica, mi ha detto di andarmene perché non voleva una dipendente come me. Difficoltà di questo tipo ci sono state, ma tutto è successo quando ero in pace. La reazione più brutta, invece, l'ho ricevuta da quello che all'epoca era il mio fidanzato. Volevamo sposarci, avere una famiglia. Nella mia testa volevo essere normale, perché la normalità era maschio e femmina. Mi ha detto che ero una malata e che l'avevo tradito, ma ero preparata a sentirmi dire cose del genere.

 

Si pensa sempre che una donna lesbica abbia un lato maschile più forte. Quanto resta, invece, la femminilità?


Questa è una domanda molto impegnativa, perché scatena sempre un po' di malumori anche nella comunità lesbica. Esistono molti pregiudizi, ma una donna omosessuale non è sempre una camionista. Io alterno dei momenti in cui predomina la mia parte maschile ad altri in cui riconosco più forte quella femminile. In realtà esistono entrambe, e quando ne dimentico una sto male, perché dimentico una parte di me. Credo che questo si un problema di ognuno di noi, uomini, donne, eterosessuali. Quando offuschiamo un tratto tipico del nostro essere siamo destinati all'infelicità, perché non ci esprimiamo. Nelle prime storie lesbiche mi dicevo: se devo stare con una donna, allora io devo fare l'uomo, perché in questo modo siamo normali, siamo maschio e femmina. Erano delle relazioni dolorosissime perché cercavo di vivere la mia femminilità attraverso la femminilità dell'altra e arrivavo ad odiare l'altra perché lei riusciva ad esprimersi mentre io vivevo nel pregiudizio.

 

Cosa ti aspetti da Pescara dopo 13 anni di assenza?


Sono andata via che avevo 18 anni ed ero travestita da eterosessuale. Torno dopo 13 anni che sono una lesbica militante. Non mi aspetto troppo, il grande danno nella mia vita sono state le aspettative, quindi cerco sempre di ridimensionarle. Pescara è una città un po' più pronta ad ascoltarmi. Arcigay è presente anche qui, mi ha affidato un ruolo nella cultura, le ragazze lesbiche ci sono e mi contattano. Tutto ciò mi rende molto felice. Sto riscoprendo le mie radici. Vedo questa città come vedevo Rimini dieci anni fa, quando ci andai a vivere. Ho conosciuto tantissimi giovani che hanno voglia di una città inclusiva, che hanno voglia di cultura, hanno voglia di sognare e di ricominciare ad attraversare le strade del desiderio. Questa è la ricchezza pescarese, e se adesso non investiamo nel desiderio dei giovani commettiamo un grandissimo errore.

 

 

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