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Pubblicato il 22/07/2015 10:10

Srebrenica, per non dimenticare gli orrori umani

di Giulia Grilli

Negli occhi di Luciano D'Angelo ci sono i ricordi di uomini e donne dilaniati dal dolore e i fantasmi che ancora non lo lasciano dormire. Il suo sguardo si fa cupo mentre racconta del viaggio in Bosnia e dei sopravvissuti che ha incontrato nella sua breve permanenza a maggio. Oggi il fotografo pescarese, che vanta trentacinque anni di professione, ci regala la sua esperienza in 42 scatti a colori, esposti alla Fondazione Pescarabruzzo dal 13 al 24 luglio nella mostra Non dimenticare Srebrenica.

 

"Il progetto è nato da una mia idea, dopo anni di riflessione su ciò che era avvenuto nel 1995. La guerra dei Balcani me la ricordo bene, l'ho vissuta in maniera molto diretta perché avevo amici sia in Serbia che in Croazia", afferma il fotografo. In collaborazione con Edvige Ricci, presidente di Mila Donnambiente, D'Angelo ha iniziato a tessere una serie di rapporti con alcune donne originarie di Srebrenica come Sheida Abdurahmanović, attivissima nelle associazioni femminili e divenuta protagonista di alcuni scatti.

 

I superstiti di quel lontano 11 luglio non sono contenti di ripercorrere le loro storie, né felici di raccontarle, ma il fotografo con ostinazione porta avanti la sua volontà di narrare quelle vite spezzate, desideroso di scuotere gli animi del pubblico creando spessore culturale. "Alla fine sono partito con Alessandro Antonelli che ha svolto il ruolo di assistente. Volevo incontrare donne sessantenni, sopravvissute a quegli orrori, vittime di stupri, vedove. Le loro esperienze mostrano il lato più oscuro della ferocia umana. Poi gli uomini che sono riusciti a scampare alla strage, che erano fuggiti e che sono tornati, perché hanno il ricordo più vivo. E infine i giovani, con la volontà di testimoniare la fiducia in una rinascita che sembra ancora impossibile".

 

 

Sul volto dei protagonisti dei ritratti c'è l'agonia di chi si è visto privare di tutto. La morte, come uno spettro ancora presente, sembra aver segnato per sempre le loro anime, e il vuoto di queste vite riecheggia come un'eco infinita nei loro occhi spenti. Annientati da un vero e proprio sterminio che ancora oggi riporta a galla i resti di chi non è riuscito a sopravvivere, questi uomini e queste donne chiedono giustizia e nascondono una sete di vendetta mai palesata e che mai riusciranno ad ottenere.

 

"Nessuno impedì questo eccidio" commenta D'Angelo, "non vi erano interessi economici come in altre guerre, per cui le truppe olandesi dell'Onu, presenti all'arrivo del generale Mladić, non si opposero alla sua volontà di evacuare Srebrenica. Dietro l'apparenza c'era il progetto di condurre tutti gli uomini di età superiore a 13 anni verso la morte, nelle fosse già scavate".

 

 

Le fotografie mostrano una città ancora in rovina, dove il campanile delle chiese ortodosse e il minareto musulmano distano pochi metri convivendo nell'ipocrisia più cruda, perché da allora nessuno ha più dimenticato. L'atmosfera è spettrale, i muri divelti e pieni di buchi testimoniano la brutalità della guerra e la violenza delle granate. Tutto è in stato di abbandono, mentre i più coraggiosi continuano ad abitare nelle loro vecchie case, l'unico legame rimasto con i ricordi di una vita passata. Nel 1992 Srebrenica era popolata da circa trentacinque mila persone, oggi ne sono rimaste tremila e cinque.

 

 

"Prima di partire credevo di avere la capacità di estraniarmi dalle sofferenze che avrei incontrato, e invece non ci sono riuscito" confessa D'Angelo. "Il momento più toccante che ho vissuto è stato con Enam Hublić, autista cinquantenne dell'Associazione Tuzlanska Amica. Per la prima volta dopo il 1995 è tornato a Srebrenica e mi ha permesso di entrare con lui nella sua abitazione abbandonata, davanti alla tomba del padre sepolto in giardino".

 

Tra il silenzio dei ricordi, lo scatto che ritrae Enam in quella che era la sua camera da letto è un grido di dolore assordante. Quel dolore che si amplifica ogni volta che qualcuno nega che la strage di Srebrenica sia stata un genocidio, ogni volta che si ignora la sofferenza che l'uomo sa infliggere barbaramente ai suoi simili.

 

 

 

Foto: Luciano D'Angelo

 

 

 

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