La notizia della apertura procedurale della causa di beatificazione del Papa PaoloVI, pontefice dal 21 giugno 1963 alla morte, in Castel Gandolfo, avvenuta il 6 agosto 1978, al di là dei 'clamori' quasi immediatamente suscitati da una ristretta élite di vecchi e nuovi integralisti, che ancora vedono in Lui l'artefice del Concilio Vaticano II - che non si sarebbe dovuto celebrare! - ci colpisce proprio mentre, in sede locale, in Abruzzo, a Pescosansonesco, ricordiamo il Beato Nunzio Sulprizio (+1836), elevato agli onori degli altari il 1° dicembre 1963 e del quale, proprio in questi tempi, si attende la canonizzazione a seguito di un nuovo miracolo, che è ancora allo studio della Congregazione vaticana per le cause dei Santi.
Proprio il 29 settembre di quell'anno 1963 Paolo VI apriva la seconda sessione del Concilio e, di lì a poco, si recava, tra i 4-6 gennaio 1964, in pellegrinaggio in Terra Santa. Con Nunzio Sulprizio, in quello stesso anno, il papa beatificava Giovanni Nepomuceno Neuman, Domenico della Madre di Dio, Leonardo Murialdo e Vincenzo Romano. Quest'ultimo definitivamente canonizzato nel 1970 ed il Neuman, nel 1977. Oltre alla riforma del calendario, nel 1969, promosse la riorganizzazione dei processi di beatificazione e di canonizzazione con il motu proprio 'Sanctitas clarior', intervenendo così in una delicatissima materia, che coinvolgeva direttamente il culto e la venerazione dei Santi nella Chiesa Cattolica. Ma è durante lo stesso Concilio che il papa fondò il Sinodo dei vescovi, dandone annuncio, tra la sorpresa generale, il 14 settembre, all'apertura della quarta ed ultima sessione. Egli aveva ripreso il Concilio, voluto e aperto da Giovanni XXIII, come un nuovo capitano che assumeva il comando della nave in piena crociera. Come è stato autorevolmente scritto, con ogni probabilità, se fosse dipeso da Lui, non avrebbe mai 'lanciato' il Concilio, perché non 'era uomo da creare movimenti di base. Lo fu a livello di vescovi e di teologi' (R: Laurentin, 1984). Egli pertanto fu l'uomo della necessaria coerenza e questa coerenza era necessaria per non rendere vano il Vaticano II. La storia non gli renderà mai piena giustizia per questo! Alla fine liberò il papa da straordinarie incombenze, facendo di tutto il resto un mezzo funzionale e disponibile tra le sue mani. Una delle preoccupazioni degli ultimi papi era stata proprio quella di liberarsi dall' 'abbraccio' soffocante della Curia, che imponeva praticamente al papa il rispetto di tutta una serie di tradizioni e arcaismi, fino a certi diritti d'avanzamento, da cui gl'interessi prevalenti per fare carriera. A Roma ricorreva l'adagio per il quale 'I papi passano, la curia resta'. Per questo quella non tardò a percepire il Concilio come un'invasione, nei suoi reparti, di una "orda di barbari"!. Ma è dal Concilio e durante il Concilio che nacquero le Conferenze episcopali di tipo collegiale, strutturate dall'interno per mezzo di elezioni. Qui Paolo VI ha operato nella confluenza di due progetti, sostanzialmente analoghi, ma di orientamento molto diverso: quello centralizzatore di Pio XII, teso a semplificare il governo della Chiesa attraverso una gerarchizzazione degli episcopati locali, sotto l'autorità del rappresentante del papa e quello di Giovanni XXIII, cioè del Concilio che restaura la collegialità e la responsabilità. Il rinnovamento come la piena libertà di governo passava attraverso la riforma della Curia, a cui si dedicò senza soste Paolo VI. Ne rifece l'intera organizzazione, 'dimissionando' i supremi responsabili di allora: Pizzardo e Ottaviani. Soppresse tutti i diritti 'acquisiti' ed instaurò un totale controllo delle Congregazioni romane per mezzo della Segretaria di Stato, diretta da un sostituto. E gli esempi potrebbero continuare. Ma v'è di più. Il Concilio aveva percepito come un'anomalia scandalosa il fatto che il collegio episcopale, che è di diritto divino, non sapesse nulla del governo della Chiesa. Giovanni XXIII aveva eliminato lo scandalo per cui un cardinale non vescovo avesse preminenza su un vescovo, successore degli apostoli, elevando tutti i cardinali all'episcopato, anche se questo processo alimentò il problema delle 'sedi'.
Paolo VI quindi creò nuovi organismi come i Sinodi e le Conferenze episcopali, mentre il primo in ogni diocesi si articolava in consiglio pastorale e consiglio presbiterale, intraprendendo una sostanziale revisione e sistemazione del Codice di diritto canonico. Come poi siano andate effettivamente le cose è un altro discorso. Mi preme soltanto accennare al Consiglio per l'applicazione della Costituzione sulla Liturgia, che aveva per compito quello di rivedere tutti i libri liturgici e il calendario, ma che ebbe delle conseguenze dirette nella stessa organizzazione liturgica dei luoghi di culto. E che conseguenze! Un esempio soltanto. La riforma della celebrazione della Messa, con il sacerdote rivolto al popolo dei fedeli, che, teologicamente parlando, in qualche modo 'concelebra' il rito del sacrificio divino, portò anche alla sistematica distruzione di antichi altari ed alla dispersione di preziose suppellettili. Il fenomeno è drammaticamente osservabile nelle chiese dei piccoli centri urbani sparsi nel territorio. Un grande patrimonio d'arte e di cultura s'è così liquefatto, disperso. E, proprio mentre il papa - lo abbiamo visto nel caso del beato Nunzio Sulprizio - auspicava, alla luce del Concilio, uno sforzo culturale, oltre che ideale, di conoscenza effettiva della pietà popolare' e della vicenda storica degli insediamenti religiosi e pastorali, montava, e non solo tra il clero, una sorta di rinnovata onda iconoclastica, travestita di 'modernismo conciliare', che emarginava sostanzialmente un patrimonio artistico e culturale assolutamente necessario a conoscere proprio quella storia.
John Magee, già segretario di Paolo VI dal 1974, ha ricordato che ad una precisa domanda del papa ad un giovane diacono: "Che cos'è un sacerdote?", dette lui stesso la risposta, visto che il giovane era completamente ammutolito e disse:" Il sacerdote è il diffusore del gaudium christianum". Il papa, quindi, sapeva bene che sono gli uomini a fare le istituzioni (il 'gaudio cristiano' è concetto onnicomprensivo, credo, in tale accezione) e, centrando il concetto sull'amicizia particolare di Cristo, che è tratto distintivo, pertanto, del sacerdote, possiamo riconoscere in non poche scelte del post concilio, proprio sul piano liturgico, anche un approccio precario ed a volte drammaticamente elusivo con cui tanta parte della cattolicità italiana si confrontò con i temi ed i programmi del Concilio. Se quindi oggi la figura di Paolo VI, così riproposta dall'attuale pontefice, attraverso i gradi di una conclamata santità, prende un nuovo posto dell'immaginario collettivo, non possiamo che giovarcene, sempre per quel che mi concerne nel versante laico, perché e in ogni caso, la grande personalità di uno dei protagonisti del secolo passato torna ad ammonirci, creativamente, su di una religiosità che partecipa attivamente e sul piano culturale, alla vitalità del tessuto connettivo della nostra società civile.
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