Il salvataggio del senatore ncd Antonio Azzolini e il sostegno esterno alle riforme di Denis Verdini sono due casi che rischiano di incrinare seriamente il Pd. Il malumore per il voto del Senato, che ha ribaltato il verdetto della Giunta delle autorizzazioni, in particolare, per la prima volta oltrepassa i confini della minoranza interna democratica: la vicesegretaria Debora Serracchiani dice esplicitamente che il partito non ha fatto una bella figura e che dovrebbe chiedere scusa; il governatore della Puglia Michele Emiliano parla di una ''pagina triste'' e aggiunge che conservare la tessera democratica ''diventa ogni giorno piu' difficile''.
Scricchiolii allarmanti che non possono essere coperti dalla trasversalita' del voto a palazzo Madama evidenziato dal capogruppo dem Luigi Zanda (il no all'arresto del parlamentare centrista ha avuto nel segreto dell'urna 189 voti, ben piu' di quelli della coalizione di governo) e che consentono all' opposizione di sinistra, alla Lega e ai 5 stelle di criticare un ''Renzi che ha calato le braghe per salvare le poltrone'' (Salvini) e la sua maggioranza. Ancora una volta e' la dissidenza dem a sfruttare l' opportunita' di reclamare un chiarimento interno: Alfredo D'Attorre pensa che si sia trattato di un colpo alla credibilita' del Pd e avanza dubbi persino sul futuro del governo. Parole a cui fa eco il primo ad aver lasciato il partito, Pippo Civati, che chiede di tornare alle urne.
Stretto tra i casi Marino e Crocetta, e i numeri incerti del Senato, il Premier dovra' sedere prima o poi al tavolo del negoziato con i suoi avversari interni. L'idea di lasciare liberta' di coscienza al gruppo del Pd sul caso Azzolini non e' piaciuta nemmeno a molti esponenti dell'inner circle renziano, soprattutto per l'immagine di compromesso che si e' trasmessa all'opinione pubblica e per le inevitabili tensioni che si creeranno con la magistratura sul terreno minato della giustizia. Quanto al caso Verdini, il fatto e' che la decina di senatori del suo gruppo non sarebbero comunque sufficienti a compensare una possibile defezione degli antirenziani sulla riforma del Senato. Sulle leggi costituzionali serve infatti la maggioranza assoluta (161 voti) e i conti non tornerebbero. L'ex braccio destro di Berlusconi garantisce, con una punta di sarcasmo, di non avere nessuna intenzione di iscriversi al Pd ma solo di favorire il completamento della legislatura con il varo delle riforme che ''non sono solo del Pd''. Tuttavia la sua precisazione che il ddl Boschi va approvato cosi' com'e' (cioe' senza elezione di primo grado dei senatori), altrimenti si finisce nel pantano, sembra fatta apposta per alimentare le polemiche. Verdini ricorda di aver sempre trattato sulle riforme con Roberto Speranza senza nessuno scandalo: come dire che e' la sinistra dem ad aver mutato posizione per mettere in difficolta' il Rottamatore. A suo avviso l'unico margine di trattativa e' sull'Italicum per tornare dal premio alla lista al premio alla coalizione. L'architetto del Patto del Nazareno ostenta grande sicurezza, ma in realta' a questo punto il problema e' tutto del segretario-premier che potrebbe essere costretto ad un negoziato interno dalle imprevedibili prospettive.
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