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Pubblicato il 20/05/2016 22:10

In Italia siamo di meno e sempre piu' vecchi

osservatorio

Continua la lenta ripresa del mercato del lavoro

In Italia siamo di meno e sempre piu' vecchi. Le nascite sono al minimo storico dall'Unita' e se ancora "resistiamo", e' grazie soprattutto agli immigrati. Questo in sintesi, il quadro che emerge dal Rapporto Annuale 2016 dell'Istat sulla Situazione del Paese, per quanto riguarda le trasformazioni demografiche avvenute in Italia. Al 1° gennaio 2016 la stima e' di 60,7 milioni di residenti (-139 mila sull'anno precedente) mentre gli over64 sono 161,1 ogni 100 giovani con meno di 15 anni. Il nostro Paese e' tra i piu' invecchiati al mondo, insieme a Giappone (indice di vecchiaia pari a 204,9 nel 2015) e Germania (159,9 nel 2015). Le nascite hanno toccato un nuovo minimo storico dall'Unita' d'Italia: nel 2015 sono state 488 mila, 15mila in meno rispetto al 2014. Per il quinto anno consecutivo diminuisce la fecondita', solo 1,35 i figli per donna. I decessi hanno invece raggiunto le 653 mila unita', 54 mila in piu' dell'anno precedente (+9,1%). Novant'anni fa, la dinamica naturale (cioe' il saldo fra nati e morti) era il traino per la crescita demografica del Paese. Tra il 1926 e il 1952 i residenti in Italia passarono da 39 a 47,5 milioni, grazie alla forte riduzione della mortalita' e alla natalita' ancora molto elevata. La vita media aumento' infatti di circa 15 anni: da 52,1 a 67,9 anni per le donne e da 49,3 a 63,9 per gli uomini.

Il picco piu' alto delle nascite arriva nel 1964 quando superano il milione: il baby boom fa crescere il numero medio di figli per donna dai circa 2,3 dei primi anni Cinquanta fino ai 2,70 del 1964. Dalla meta' degli anni '70 la capacita' di crescita demografica del Paese si attenua molto, tanto che al censimento del 2001 l'ammontare dei residenti in Italia e' poco al di sotto dei 57 milioni rispetto ai 56,5 milioni del 1981. Dagli anni 2000 la popolazione cresce in modo piu' sostenuto ma solo grazie ai flussi migratori dall'estero che si fanno sempre piu' consistenti. Al primo gennaio 2016 i cittadini italiani residenti sono 55,6 milioni, i cittadini stranieri 5,54 milioni (8,3% della popolazione totale). La crescente presenza di ragazzi stranieri immigrati o nati in Italia ha quindi mitigato la portata del "degiovanimento", ossia la progressiva erosione dei contingenti delle nuove generazioni dovuta al calo delle nascite. Dal 1993 al 2014 in Italia sono nati quasi 971 mila bambini stranieri, con un trend di crescita che si e' invertito solo negli ultimi due anni. Per stimare la consistenza nel 2015 dei ragazzi con un background migratorio occorre sommare ai nati in Italia - che sono il 72,7% degli stranieri sotto i 18 anni - i minori giunti insieme ai genitori o per ricongiungimento familiare. Nel complesso si arriva a un milione, ma questa cifra e' al netto di quanti nel frattempo sono diventati cittadini italiani. 

Continua la lenta ripresa del mercato del lavoro in Italia: nel 2015 il tasso di occupazione cresce (+0,6% rispetto al 2014) ma resta ancora inferiore ai livelli del 2008 (-2,3%). Lo rileva l'Istat nel Rapporto annuale 2016, sottolineando che il tasso di occupazione dei giovani tra i 15 e i 34 anni si attesta al 39,2% contro il 50,3% del 2008. Dopo sette anni di aumento ininterrotto, nel 2015 torna a scendere anche in Italia il numero dei disoccupati: il tasso di disoccupazione raggiunge l'11,9% (-0,8 punti percentuali) e i disoccupati si riducono a poco piu' di 3 milioni (-6,3%, -203 mila unita'). E' in calo anche il tasso di mancata partecipazione (che comprende disoccupati e inattivi disponibili a lavorare), dal 22,9% del 2014 al 22,5%, pero' ancora molto sopra il livello medio Ue (12,7%). Sommando i disoccupati e le forze di lavoro potenziali, le persone che vorrebbero lavorare sono 6,5 milioni nel 2015. Nel 2015 gli occupati in Italia sono 22,5 milioni, 186 mila in piu' sull'anno (+0,8%). Malgrado la crescita sia per meta' concentrata nel Mezzogiorno "i divari territoriali rimangono accentuati": risultano occupate oltre sei persone su 10 nel Centro-nord e quattro su 10 nel Mezzogiorno. L'incremento di occupazione e' piu' forte tra gli uomini (+1,1% rispetto a +0,5%) ma in un confronto intertemporale piu' ampio mentre le donne superano di 110 mila unita' il numero di occupate del 2008, gli uomini sono ancora sotto di 736 mila. Il tasso di occupazione degli uomini sale al 65,5% nell'ultimo anno (+0,8 punti sul precedente) mentre quello delle donne si attesta al 47,2%, +0,3 punti sull'anno ma circa 13 in meno della media Ue. Dopo gli anni della crisi, che aveva colpito in modo particolare la Generazione del millennio (nati fra il 1981 e il 1995), nell'ultimo anno la forte caduta dell'occupazione giovanile si attenua anche in Italia. Il tasso di occupazione dei giovani di 15-34 anni si attesta al 39,2%. Il calo, avviatosi sin dal 2002, soprattutto nelle classi di eta' 20-24 e 25-29, e' andato accentuandosi tra il 2008 e il 2014, quando si assiste a un'impennata anche del tasso di disoccupazione. Nel 2015 sono piu' di 2,3 milioni i giovani di 15-29 anni non occupati e non in formazione (Neet), di cui tre su quattro vorrebbero lavorare. I Neet sono aumentati di oltre mezzo milione sul 2008 ma diminuiscono di 64 mila unita' nell'ultimo anno (-2,7%). L'incidenza dei Neet sui giovani di 15-29 anni e' al 25,7% (+6,4 punti percentuali su 2008 e -0,6 punti su 2014). La condizione di Neet e' piu' diffusa tra gli stranieri (35,4%), nel Mezzogiorno (35,3%) e tra le donne (27,1%), specie se madri (64,9%). 

 I laureati vivono piu' a lungo e il titolo di studio incide sulla speranza di vita, soprattutto per gli uomini. Lo segnala il rapporto annuale dell'Istat. A 25 anni di eta', quelli con basso titolo di studio (al massimo la licenza media) hanno uno svantaggio nella speranza di vita di 3,8 anni rispetto ai laureati, mentre la differenza e' di 2,0 anni tra le donne. Ancora piu' netta la distanza tra laureati e persone che hanno conseguito al massimo la licenza elementare: 5,2 anni per gli uomini e 2,7 per le donne. L'effetto del titolo di studio si mantiene rilevante anche tra gli anziani (over 65), con un vantaggio per uomini e donne con titolo di studio elevato rispettivamente di 2,0 e 1,2 anni di vita. Le diseguaglianze piu' pronunciate nella speranza di vita a 25 anni si osservano nei paesi dell'Europa orientale, dove il divario tra titolo di studio alto e titolo basso supera gli undici anni di vita tra gli uomini, con un picco di 15,1 anni in Estonia. La graduatoria dei paesi Ocse per cui e' disponibile l'analisi rimane sostanzialmente invariata a 65 anni, con distanze piu' contenute che comunque, tra gli uomini, superano i s

La laurea e' sempre meno decisiva per trovare un impiego secondo il rapporto annuale dell'Istat. A tre anni dal conseguimento del titolo, nel 1991 i laureati occupati erano il 77,1%. Il valore e' sceso al 72% nel 2015, anno nel quale non cercano lavoro circa il 12,5% dei giovani laureati, quasi il doppio di quelli del 1991 (6,6%). "Quest'ultimo dato - osserva il rapporto - e' da leggere insieme al fenomeno della prosecuzione delle attivita' di formazione e istruzione: nel 2015, infatti, il 78,7% di coloro che dichiarano di non cercare lavoro risultano impegnati in attivita' quali il dottorato, il master, lo stage o un ulteriore corso di laurea, quando nel 1991 la stessa quota era pari a 59,7%. Sia per le coorti del 2015 sia per quelle del 1991 l'aver conseguito una laurea dei gruppi ingegneristico, scientifico e chimico-farmaceutico si associa a probabilita' di occupazione di gran lunga superiori a quelle registrate dai laureati del gruppo letterario, con vantaggi che vanno tuttavia riducendosi: gli ingegneri della coorte 1991 presentano un vantaggio di 12,8 volte rispetto ai laureati nelle materie letterarie, vantaggio ridottosi a 5,1 nel 2015.

I laureati del gruppo medico, anch'essi da maggiori probabilita' di occupazione in tutto il periodo considerato, hanno invece visto aumentare il proprio vantaggio nella coorte piu' recente (4,8) rispetto alle precedenti. L'aver completato il corso di studi con un'alta votazione finale e' quasi sempre un fattore di vantaggio (valori di 1,5 o di 1,2 per chi ha la lode, con l'eccezione della coorte piu' recente per la quale tale fattore non e' significativo) e ancora di piu' lo e' lo svolgimento di lavori gia' durante il percorso di studi: la probabilita' di essere occupato aumenta infatti di circa due volte. Per le coorti piu' recenti e' disponibile anche l'informazione sull'eventuale partecipazione a programmi di promozione della mobilita' studentesca all'estero (quali ad esempio il programma Erasmus), che ha interessato il 9,1% dei laureati nel 2007 e il 13,6% di quelli nel 2015. L'adesione a tali progetti di mobilita' si associa a maggiori opportunita' di trovare un lavoro ottimale per l'ultima coorte osservata. 

Nel complesso, spiega l'Istat, grazie alla crescita dei livelli di scolarita', tra 2005 e 2015 gli occupati con al massimo la licenza media si riducono, mentre aumentano quelli con diploma e soprattutto con laurea, specie tra le donne che nel 2015 superano i laureati occupati di 271 mila unita'. Il vantaggio occupazionale conquistato dalle generazioni piu' anziane con l'investimento in istruzione non coinvolge quelle piu' giovani, particolarmente penalizzate dalla crisi: il tasso di occupazione di un laureato di 30-34 anni dal 79,5% nel 2005 cade al 73,7% dieci anni dopo. L'incremento dell'occupazione nell'ultimo anno e' esteso a tutti i raggruppamenti professionali, tranne operai e artigiani (-0,4%). Tra gli italiani la dinamica positiva riguarda soprattutto le professioni qualificate, tra gli stranieri quelle non qualificate.

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