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Pubblicato il 24/02/2013 22:10

Tre aziende su cinque chiedono prestiti per pagare le tasse

tasse, unimpresa

'Tre aziende su cinque chiedono prestiti in banca per pagare le tasse. Il 63% delle micro, piccole e medie imprese italiane e' stato costretto a ricorrere a un finanziamento per onorare le scadenze fiscali. E c'e' l'Imu (imposta municipale unica) in cima alla lista dei balzelli che hanno spinto gli imprenditori a rivolgersi agli istituti di credito. Quanto ai settori produttivi, sono gli operatori turistici (per gli alberghi), le piccole industrie (per i capannoni) e la grande distribuzione (per i supermercati) quelli maggiormente esposti con le banche a causa dei versamenti fiscali sugli immobili e, piu' in generale, per tutti gli adempimenti con l'Erario'.Questa e' la sintesi di un sondaggio del Centro studi Unimpresa, condotto fra le 130.000 imprese associate sulla base dei dati raccolti al 31 dicembre 2012.
'Oltre 81.900 pmi associate a Unimpresa, dunque, hanno chiesto soldi alle banche, lo scorso anno, per rispettare le scadenze tributarie. Le rilevazioni sono state effettuate a partire dall'inizio del 2013, attraverso le 60 sedi di Unimpresa sparse su tutto il territorio nazionale. Oltre all'Imu, e' l'Irap l'altra tassa che mette in difficolta' gli imprenditori italiani, tenuto conto che l'imposta regionale sulle attivita' produttive si paga anche quando i bilanci sono in perdite dunque in assenza di utili'.

'Quanto all'Imu, incrociando i risultati del sondaggio del Centro studi Unimpresa con i dati del dipartimento delle Finanze del ministero dell'Economia, secondo cui l'Imu 2012 relativa alle imprese e' stata pari a 6,3 miliardi di euro, si puo' sostenere che per effettuare i versamenti sono stati contratti nuovi prestiti per quasi 4 miliardi di euro (3,96 mld). Tre, in particolare, i comparti dell'economia del Paese letteralmente "strozzati" dal tributo immobiliare'.

'Secondo il sondaggio Unimpresa, gli ostacoli maggiori sono stati riscontrati per le categorie che basano piu' di altre la loro attivita' imprenditoriale proprio sugli immobili. E dunque si tratta degli operatori turistici (con i proprietari di alberghi in cima alla classifica), del le piccole industrie e delle fabbriche (per i capannoni) e del comparto della grande distribuzione organizzata (per i cosiddetti supermercati)'
'Tutto cio' genera un triplo effetto negativo sui conti e sulle prospettive di crescita delle aziende -spiega il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi-. Il primo e' l'apertura di linee di credito destinate a coprire le imposizioni fiscali invece di nuovi investimenti, il che limita la natura stessa dell'attivita' di impresa. Il secondo problema sorge, poi, alla chiusura degli esercizi commerciali, quando il valore degli immobili posti a garanzia dei 'prestiti fiscali' va decurtato in proporzione al valore dell'ipoteca, con una consequenziale riduzione degli attivi di bilancio. Il terzo 'guaio' e' relativo a eventuali, altri finanziamenti per i quali l'impresa deve affrontare due ordini di problemi: meno garanzie da presentare in banca e un rating piu' alto che fa inevitabilmente impennare i tassi di interesse'.

Di fatto l'impresa si trova morsa in una tenaglia, con fisco e credito che tagliano le gambe e chiudono le porte del futuro'. Non solo.
'Alla fine -spiega il presidente di Unimpresa- il conto arriva anche per lo Stato: un'impresa che annaspa diventa un contribuente meno "generoso" e pure il gettito tributario ne risente e non poco sia sul fronte dell'imposizione diretta (a esempio l'Ires) sia su quello dell'imposizione indiretta (come l'Iva)'.

 

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