Una ricerca condotta dal Centro studi ImpresaLavoro conferma come negli ultimi anni di crisi economica la storica vocazione italiana abbia consentito di riportare in attivo la bilancia commerciale, anche grazie al contemporaneo calo delle importazioni (dovuto principalmente alla riduzione dei consumi interni). I dati forniti dall'Istat confermano infatti la crescita del rapporto tra la somma di export e import di beni e servizi e PIL, passato dal quasi 50% nel 2005 al 55,2% del 2014. In particolare, nell'ultimo quinquennio (2009-2014) il numero di operatori è aumentato del 9,15% mentre il valore delle esportazioni è cresciuto del 35,7%. L'effetto combinato di queste due espansioni è l'aumento di quasi un quarto del valore medio dell'export per singolo operatore, passato da 1,47 milioni di euro del 2005 a 1,83 milioni di euro nel 2014. Va però precisato che non tutte le nostre imprese hanno una vocazione esportatrice e non tutte le imprese esportatrici beneficiano di questo miglioramento della bilancia commerciale. Entrando nel dettaglio, si osserva infatti che solo le aziende che realizzano più di 50 milioni di euro di volume di affari sui mercati internazionali (normalmente hanno più di 250 addetti) hanno visto aumentare del 17% la loro quota di export. In questo settore la dimensione conta. Prevalgono quindi le grandi aziende, capaci di investire in innovazione di prodotto, di processo, in marketing, nella logistica e che siano in grado di sostenere i costi legati all'esportazione, soprattutto per quanto riguarda l'adeguamento agli standard tecnici, ambientali, di salute, cresciuti di molto negli anni post-2008 come una forma di protezionismo accettabile per il WTO.
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