Segnali di ripresa sul fronte del lavoro ma ci sono ancora forti divari di genere ed esclusione dei giovani. Lo si legge nel "Rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile" dell'Istat. Primi segnali positivi nella crescita dell'occupazione emergono nel 2014; la quota di persone di eta' 20-64 anni occupate in Italia sale al 59,9% nel 2014 (+0,2 punti percentuali rispetto al 2013), ma la distanza con l'Europa continua ad aumentare. La ripresa nel Paese e' avvenuta, infatti, a ritmi meno accentuati in confronto ai principali paesi europei. L'Italia continua pero' a caratterizzarsi in Europa per la forte esclusione dei giovani dal mercato del lavoro, a fronte della continua crescita del tasso di occupazione degli ultracinquantacinquenni. Sebbene l'allungamento dei percorsi formativi ritardi l'ingresso nel mondo del lavoro, la diminuzione del tasso di occupazione per i giovani dipende soprattutto dalla difficolta' a trovare un impiego, specie se continuativo nel tempo. La condizione dei giovani e' aggravata da una peggiore qualita' del lavoro e da una maggiore paura di perderlo
Positiva, sottolinea l'Istat, anche la diminuzione della percezione della paura di perdere l'occupazione e l'elevata soddisfazione per il proprio lavoro; quest'ultima rimane stabile con quasi la meta' degli occupati che si ritiene molto soddisfatta. Importante il segnale della diminuzione delle differenze tra i tassi di occupazione delle donne con figli e senza figli, anche se, soprattutto per quante hanno basso titolo di studio e per le straniere, i problemi di conciliazione restano molto forti. La qualita' del lavoro, peggiorata negli ultimi anni, migliora solo per alcuni aspetti. L'indicatore relativo alla permanenza in lavori instabili diminuisce leggermente - dal 20,3% del 2013 al 19,8% del 2014 - quello sulla permanenza in occupazioni poco remunerate e' pressoche' stabile - dal 10,4% del 2013 al 10,5% del 2014. Aumenta pero' la quota di occupati sovraistruiti - dal 21,9% del 2013 al 23% del 2014 - e in part time involontario - dall'11% del 2013 all'11,7% del 2014. Malgrado i segnali favorevoli della congiuntura economica, rimangono elevati gli storici divari che caratterizzano il mercato del lavoro italiano. Il divario di genere nella partecipazione al mercato del lavoro, pur continuando a ridursi a seguito della maggiore caduta dell'occupazione nei comparti a prevalenza maschile, resta tra i piu' alti d'Europa (69,7% di uomini occupati contro il 50,3% di donne) e, per colmarlo, dovrebbero lavorare almeno 3 milioni e mezzo di donne in piu' di quante attualmente occupate. Anche la qualita' del lavoro e' peggiore per le donne, piu' spesso occupate nel terziario e in professioni a bassa specializzazione (in particolare le straniere). Aumenta inoltre lo svantaggio del Mezzogiorno, l'unica area territoriale, dove l'occupazione diminuisce anche nel 2014 (tasso di occupazione al 45,3%) e dove e' piu' bassa la qualita' del lavoro. A livello territoriale c'e' un forte legame tra quantita' e qualita': nelle regioni in cui c'e' piu' occupazione essa e' anche migliore, in quanto corrisponde alla piu' bassa presenza di occupati non regolari, di dipendenti con bassa paga, di precari di lungo termine e di part time involontario. Condizioni, queste, che si riflettono in una maggiore soddisfazione per le caratteristiche del proprio lavoro e in un minore senso di insicurezza rispetto al rischio di perderlo e non riuscire a trovarne un altro. Il tasso di occupazione standardizzato e' fortemente diminuito nel 2009 e nel 2013 per poi mostrare un segnale positivo nel 2014; tuttavia, non basta a colmare la distanza con i precedenti livelli. Ponendo a 100 l'anno 2010, il tasso scende da 103,2 del 2008 a 98,1 del 201
Nonostante il Paese non si sia ancora affrancato dalla crisi, nel 2014 cresce l'ottimismo verso il futuro (dal 24% di persone di 14 anni e piu' che ritengono che la loro situazione migliorera' nei prossimi 5 anni nel 2013 al 27% nel 2014). Il dato emerge dal "Rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile" dell'Istat, secondo cui iI giovani, che si confermano il segmento piu' ottimista, presentano il maggiore incremento positivo nonostante siano stati tra i soggetti sociali piu' colpiti dalla crisi. Inoltre, le differenze territoriali si riducono per effetto della quota di pessimisti che diminuisce di piu' nei contesti territoriali in cui era piu' rilevante: nel Mezzogiorno passa da 23,9% nel 2013 a 19,3% nel 2014.
Ulteriori segnali positivi si possono leggere anche nell'aumento della soddisfazione per il tempo libero (da 63% nel 2013 a 64,6% nel 2014) e per la situazione economica, che torna a crescere dopo anni, anche se rimane sotto i livelli pre-crisi (da 40,1% nel 2013 a 43,4% nel 2014). Questi andamenti positivi, pero', non si traducono ancora in una crescita della soddisfazione complessiva per la propria vita: dopo il forte calo registrato tra il 2011 e il 2012, il benessere soggettivo si mantiene stabile nel 2013 e nel 2014. L'incertezza generata da una crisi lunga e intensa sembra rendere i cittadini ancora cauti, pur con una quota consistente di persone che valuta la soddisfazione per la propria vita molto elevata (35,4%). La soddisfazione per la vita mostra un andamento positivo tra 2010 e 2011 (da 100 a 103,2) e un forte crollo nel 2012, quando scende ad 89,1 per poi stabilizzarsi intorno a 89 nel 2013 e nel 2014.
Nel 2014 e ancor piu' nei primi mesi del 2015 la situazione economica registra una serie di segnali positivi che dalle regioni del Nord si diffondono al resto del Paese, riflettendosi sulla condizione delle famiglie, a partire da quelle piu' agiate fino a quelle condizionate da maggiori vincoli di bilancio. Resta peroì' ampio Il dato emerge dal Rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile dell'Istat, secondo cui aumentano il reddito disponibile (dello 0,7% nel 2013 e dello 0,1% nel 2014) e il potere d'acquisto. Cresce anche la spesa per consumi finali, anche se in misura piu' limitata in conseguenza del lieve aumento della propensione al risparmio. Sempre meno famiglie mettono in atto strategie per il contenimento della spesa mentre e' piu' elevata la quota di quelle che tornano a percepire come adeguate le proprie risorse economiche.
Il rischio di poverta' e soprattutto la poverta' assoluta, aggiounge l'Istat, hanno smesso di aumentare (dal 4,4% del 2011 sale al 7,3% nel 2013, per riscendere al 6,8% nel 2014); mentre la grave deprivazione diminuisce per il secondo anno consecutivo, attestandosi sui livelli del 2011 (11,6% le persone in famiglie con grave deprivazione). In leggero miglioramento anche gli indicatori di natura soggettiva: la percentuale di persone in famiglie che arrivano a fine mese con grande difficolta' torna a scendere (17,9%) dopo aver raggiunto il valore massimo del decennio proprio nel 2013 (18,8%)
L'unico indicatore in controtendenza e' la quota di individui che vivono in famiglie a intensita' lavorativa molto bassa, cioe' le famiglie dove le persone tra i 18 e i 59 anni (esclusi gli studenti 18-24enni) hanno lavorato per meno del 20% del loro potenziale nell'anno precedente; dopo la diminuzione tra il 2004 e il 2007, l'aumento iniziato nel 2010 si protrae fino al 2014 (12,1%). Il trend in crescita ha riguardato soprattutto i giovani fino a 30 anni, mentre un certo miglioramento interessa gli ultracinquantenni, nonostante l'indicatore, anche in questa fascia di eta', si mantenga su livelli elevati soprattutto tra le donne (per le quali e' circa doppio rispetto agli uomini). Il Mezzogiorno, oltre ad avere un reddito medio disponibile pro capite decisamente piu' basso del Nord e del Centro, e' anche la ripartizione con la piu' accentuata disuguaglianza reddituale: il reddito posseduto dal 20% della popolazione con i redditi piu' alti e' 6,7 volte quello posseduto dal 20% con i redditi piu' bassi mentre nel Nord il rapporto e' di 4,6.
L'indice composito di reddito e disuguaglianza migliora progressivamente fino al 2008, a seguito dell'aumento del livello di reddito e della riduzione della disuguaglianza, per poi diminuire negli anni successivi; la tendenza si arresta solo nel 2014 quando l'indice aumenta di 0,2 punti. Ponendo a 100 l'anno 2010, e' 99,4 per il 2011, scende a 97,5 nel 2013 e si attesta a 97,7 nel 2014. Parallelamente l'indice composito di disagio economico, che fino al 2010 si mantiene sostanzialmente stabile, diminuisce in maniera evidente nel 2011 e nel 2012 e continua a diminuire, seppure in maniera meno marcata, anche nei due anni successivi. Ponendo a 100 l'anno 2010 l'indice di disagio scende fino a 94,5 nel 2014, a significare un aumento del disagio.
L'Italia ha un livello di speranza di vita tra i piu' elevati in Europa - al primo posto con 80,3 anni per gli uomini e al terzo per le donne con 85,2 - e la longevita' continua ad aumentare. La mortalita' infantile scende ancora - siamo a 30 decessi ogni 10mila nati vivi - come pure la mortalita' per incidenti da mezzi di trasporto dei giovani - 0,8 vittime ogni 10mila residenti - e quella per tumori maligni tra gli adulti (8,9 decessi per 10mila residenti). Il dato emerge dal Rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile dell'Istat, secondo cui migliorano, rispetto al 2005, anche le condizioni di salute fisica, e prosegue la riduzione di fumatori e di consumatori di alcol a rischio. Fra le criticita', non migliora la qualita' della sopravvivenza e peggiora il benessere psicologico. Si conferma il trend crescente della mortalita' per demenze e delle malattie del sistema nervoso tra gli anziani (27,3 decessi per 10mila abitanti), soprattutto tra i grandi anziani. Il carico assistenziale che queste patologie comportano sulle famiglie e sui servizi socio-sanitari si riflette negativamente sulla qualita' della vita, non solo dei malati ma anche dei loro familiari.
Ancora diffusi stili di vita non virtuosi come la sedentarieta', che riguarda quattro persone su 10 - l'eccesso di peso - piu' di quattro su 10 - e un non adeguato consumo di frutta e verdura - piu' di otto persone su 10. Le donne, da sempre in vantaggio per la sopravvivenza, hanno una maggiore propensione alla prevenzione e stili di vita piu' salutari ma spesso sono penalizzate da patologie che comportano limitazioni nelle attivita' svolte abitualmente. Nel tempo queste differenze fra i generi si sono ridotte, anche per il progressivo incremento di anni mediamente vissuti dagli uomini.
Sono invece in crescita le differenze territoriali, con il Mezzogiorno che vede aumentare, anche per effetto della crisi, il proprio svantaggio nella speranza di vita (81,5 anni per il Mezzogiorno contro 82,5 anni per il Nord), nella qualita' della vita (55,4 anni di speranza di vita in buona salute per il Mezzogiorno contro 60 anni per il Nord), nella mortalita' infantile, nella salute fisica e psicologica e nei fattori di rischio legati agli stili di vita (sedentarieta', eccesso di peso e scorrette abitudini alimentari). Si mantengono marcate anche le disuguaglianze sociali negli stili di vita: le persone con titolo di studio piu' alto, a parita' di eta' godono di migliori condizioni di salute fisica e mentale e adottano generalmente comportamenti piu' salutari.
L'indice composito di salute, che incorpora gli indicatori della speranza di vita (alla nascita, in buona salute alla nascita, senza limitazioni nelle attivita' a 65 anni) e dello stato fisico e psicologico, si attesta a 102,6 nel 2013, in miglioramento dal 97,6 del 2009.
L'Italia presenta un forte ritardo su istruzione e formazione rispetto alla media dei paesi europei, ma nell'ultimo anno l'incremento di diplomati e laureati, insieme con quello delle persone che hanno svolto formazione continua e alla significativa riduzione del tasso di abbandono precoce degli studi, hanno ridotto il divario che ci separa dal resto dell'Europa. Lo evidenzia l'Istat nel "Rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile". Piccolo segnale positivo e' anche la quota di Neet che, dopo anni di crescita, si mantiene stabile rispetto all'anno precedente (26%). Tuttavia, sebbene il costante miglioramento dal 2004, i tassi d'incremento sono sempre molto contenuti e piu' bassi di quelli europei. Inoltre, in controtendenza, il tasso di immatricolazione dei diplomati nel 2014/2015 e' in diminuzione, dal 49,7% al 49,2%, e sara' necessario verificare che cio' non corrisponda all'inizio di un preoccupante progressivo allontanamento dall'universita'.
La partecipazione culturale, che aveva conosciuto un trend negativo durante tutto il periodo di crisi, e' in miglioramento nel 2014, soprattutto per la crescita di visitatori a musei, mostre e siti archeologici. Diminuisce, invece, la lettura dei quotidiani.
Nel 2014, l'andamento degli indicatori sulla partecipazione sociale rafforza i segnali positivi che si erano gia' registrati, seppur debolmente nell'anno precedente. Il dato emerge dal Rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile dell'Istat secondo cui cio' mostra l'avvio di un recupero della coesione sociale, fiaccata dai difficili anni della crisi, e fa intravedere un clima di fiducia positivo riguardo la capacita' e l'opportunita' di attivarsi pur in una fase di congiuntura sfavorevole. Benche' ancora bassa, aumenta la fiducia negli altri (dal 20,9% del 2013 al 23,2% del 2014) insieme alla percezione di poter contare sulla propria rete relazionale (dall'80,8% all'81,7%). Inoltre si da' piu' spesso sostegno economico ad associazioni (dal 12,9% al 14,5%) e piu' di frequente si fa volontariato (dal 9,4% al 10,1%).
L'indicatore sulla partecipazione sociale si stabilizza nel 2014 al 23,1%, dopo 3 anni di decrescita costante. Non altrettanto si puo' dire per la partecipazione politica (parlare, informarsi, partecipare on line) che, al contrario, dopo la crescita registrata nel precedente biennio, mostra un calo significativo soprattutto nel Centro-Nord e tra i piu' giovani. Diminuisce in particolare la quota di persone di 14 anni e piu' che parla di politica (dal 48,9% al 42,9%) e si informa di politica (dal 64,3% al 62%) almeno una volta a settimana; rimane stabile, invece, la partecipazione politica attraverso il web: la percentuale di persone di 14 anni e piu' che leggono o postano opinioni sul web e' il 12,1% nel 2014.
Le differenze territoriali continuano ad essere particolarmente marcate a svantaggio del Mezzogiorno. In questa area geografica le reti sociali appaiono piu' deboli rispetto al resto del Paese sia nella componente del volontariato (13,2% di persone che hanno svolto attivita' gratuita nel volontariato nel Nord contro 6,5% nel Mezzogiorno) sia nelle reti di aiuto familiari (83,4% di persone che hanno parenti, amici o vicini su cui contare nel Nord contro 78,5% nel Mezzogiorno). L'indice composito per le relazioni sociali (indicatori relativi a: soddisfazione per le relazioni familiari e amicali, persone su cui contare, partecipazione sociale, partecipazione civica e politica, attivita' di volontariato, finanziamento delle associazioni e fiducia generalizzata) registra un peggioramento tra il 2010 e il 2013, passando da 100 a 97,5, e una leggera ripresa nel 2014 (98,9). La ripresa e' in tutte le zone del Paese, anche se e' stata piu' forte nelle regioni del Centro
Piu' donne nei luoghi decisionali economici e politici, mentre resta elevata la sfiducia nelle istituzioni. Il dato emerge dal "Rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile" dell'Istat. L'elemento piu' dinamico nel quadro politico istituzionale, si legge nello studio, e' la crescente presenza femminile nei luoghi decisionali politici ed economici. Dopo le recenti elezioni europee, il divario di genere diminuisce sensibilmente e l'Italia per la prima volta raggiunge una rappresentanza femminile al Parlamento europeo piu' elevata della media Ue (40% contro 37%). La presenza delle donne e' in crescita anche nel Parlamento nazionale e nelle principali istituzioni, anche se in alcuni consigli regionali, rinnovati negli ultimi tre anni, le donne diminuiscono. La maggiore presenza femminile ha contribuito all'abbassamento dell'eta' media dei parlamentari (47,2 anni alla Camera e 55,3 anni al Senato) essendo le elette notevolmente piu' giovani dei colleghi maschi. Il divario di genere si riduce anche nei consigli d'amministrazione delle imprese, dove la presenza femminile e' in costante aumento a seguito delle recenti politiche di empowerment (da 17,8% nel 2013 a 22,7% nel 2014). Segnali positivi emergono anche dal fronte del sistema giudiziario. Gli ultimi dati sui procedimenti civili di cognizione ordinaria discussi nei tribunali ordinari segnalano una notevole diminuzione dei tempi medi di giacenza del procedimento (-12,2%), ma le differenze regionali sono molto marcate. Rimane comunque ancora elevata e trasversale la sfiducia nei confronti di partiti (voto medio 2,4), Parlamento (voto medio 3,5), consigli regionali, provinciali e comunali (voto medio 3,7), e del sistema giudiziario (voto medio 4,2); la sfiducia riguarda tutte le zone del Paese senza apprezzabili variazioni di genere ed eta'. Le sole espressioni di fiducia dei cittadini che superano la sufficienza sono per i Vigili del fuoco e le Forze dell'ordine (voto medio 7), segno che i cittadini premiano coloro che mettono la protezione del bene comune prima ancora della propria incolumita'.
La criminalita' predatoria, in deciso calo a partire dagli anni '90, ha invertito la tendenza registrando un forte aumento soprattutto negli anni di crisi economica. I furti in abitazione, raddoppiati in 10 anni, sono ora stabili (17,9 per 1.000 famiglie) ma lontani dalla situazione precedente gli anni 2000. Il dato emerge dal Rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile, secondo cui anche le rapine si sono stabilizzate nel 2014 (1,5 per 1.000 abitanti), mentre i borseggi sono in lieve aumento. Emergono segnali positivi ma sono ancora troppo deboli per indicare un miglioramento.
L'Italia e' il Paese europeo con il piu' basso tasso di omicidi (0,8 per 100.000 abitanti), grazie al trend discendente degli ultimi anni. Il fatto che tale tendenza non si sia invertita negli anni della crisi testimonia la tenuta del nostro tessuto sociale. La progressiva diminuzione degli omicidi ha interessato soprattutto quelli commessi da uomini su persone del loro stesso sesso, piuttosto che quelli degli uomini contro le donne.
Miglioramenti emergono per la violenza fisica, sessuale e psicologica contro le donne. La percentuale di coloro comprese tra i 16 e i 70 anni che hanno subito violenza fisica negli ultimi 5 anni e' scesa dal 7,7% del 2006 al 7% del 2014; mentre per chi e' stata oggetto di violenza sessuale dall'8,9% al 6,4%. La diminuzione e' trasversale, riguarda anche la violenza da parte dei partner (dal 6,6% nel 2006 al 4,9% del 2014) soprattutto le forme meno gravi. Non risultano intaccate le forme piu' gravi di violenza, come stupri e tentati stupri (stabili negli anni).
La percezione di sicurezza della popolazione e' di nuovo in aumento - da 54,1% del 2013 a 56,2% del 2014 - anche se non si e' tornati ai livelli piu' alti raggiunti nel 2010. Il panorama regionale e' variegato, ma alcuni cambiamenti hanno portato a un miglioramento della sicurezza in alcune regioni del Mezzogiorno e al peggioramento di altre al Nord e al Centro.
L'indice composito di sicurezza (basato su: tasso di furti in abitazione, tasso di borseggi, tasso di rapine e percezione di sicurezza camminando al buio da soli) e' peggiorato nel tempo. Ponendo uguale a 100 l'anno 2010, l'indicatore scende fino a 92,2 nel 2013 per migliorare leggermente nel 2014 (93,1) grazie all'indicatore di percezione soggettiva. L'indicatore degli omicidi, rimane complessivamente stabile, con una tendenza leggermente positiva nel 2014 (101,8), ad indicare un aumento della sicurezza.
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