gestionale telefonia Gestionale Telefonia
HOME » PRIMO PIANO » TICKET E LISTE D'ATTESA, 1 ITALIANO SU 10 RINUNCIA ALLE CURE
Pubblicato il 23/02/2016 10:10

Ticket e liste d'attesa, 1 italiano su 10 rinuncia alle cure

ticket, liste d'attesa

 Quasi un italiano su 10 rinuncia a curarsi per motivi economici e per liste d'attesa troppo lunghe. Questo e' uno dei dati piu' allarmanti del rapporto 2015 dell'Osservatorio civico sul federalismo in sanita', presentato da Cittadinanzattiva questa mattina a Roma. Un cittadino su quattro, fra gli oltre 26mila che si sono rivolti al Tribunale per i diritti del malato nel 2015, lamenta difficolta' di accesso alle prestazioni sanitarie per liste di attesa (oltre il 58 per cento) e per ticket (31 per cento). In particolare sono i residenti in Calabria, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Marche, Sicilia, P.A. Trento e Bolzano e Veneto, a lamentarsi di attendere troppo per visite ed esami. Per motivi economici, liste di attesa e ticket rinunciano alle cure quindi ben il 7,2 per cento.

Nelle Regioni del Sud si riscontra la maggior quota di rinunce (11,2 per cento); al Centro il 7,4 per cento dei residenti e al Nord il 4,1 per cento. L'attesa poi non e' uguale per tutti: in generale, su un campione di 16 prestazioni sanitarie, i tempi minimi di attesa si registrano tutti nel Nord Est o Nord Ovest, i tempi massimi, in 12 casi su 16, sono segnalati al Centro. Nel Sud, e in particolare in Puglia e Campania, i cittadini ricorrono piu' di frequente agli specialisti privati per aggirare il problema dei tempi troppo lunghi nel pubblico. Anche sui ticket si registrano notevoli difformita' regionali: sulle stesse 16 prestazioni i ticket piu' bassi nel pubblico si registrano prevalentemente nel Nord Est (per 10 su 16 prestazioni), quelli piu' elevati nel Sud (per la meta' delle prestazioni). Ogni anno i cittadini a testa pagano in media oltre 50 euro come quota di compartecipazione in tutte le Regioni del Nord e del Centro, ad eccezione di Piemonte, Marche e PA Trento, con punte vicino ai 60 euro in Veneto e Valle D'Aosta, e in media 42 euro al Sud. 

 In Italia la prevenzione di fa a macchia di leopardo, con un Sud che arranca e regioni importanti come Lazio e Veneto che fanno passi indietro rispetto al passato. Questo e' quanto emerso dal rapporto 2015 dell'Osservatorio civico sul federalismo in sanita', presentato da Cittadinanzattiva questa mattina a Roma. Su 16 Regioni monitorate dal ministero della Salute nel 2013 sul fronte prevenzione, la meta' risulta in linea con le indicazioni date rispetto ai Livelli essenziali di assistenza LEA: si tratta di Basilicata, Emilia Romagna, Liguria, Lombardia, Marche, Toscana, Umbria e Veneto.

Ma di queste, tre fanno passi indietro rispetto al 2012 (Basilicata -7,5 per cento; Liguria -7,5 per cento; Veneto -10 per cento). E fra le otto inadempienti (Abruzzo, Calabria, Campania, Lazio, Molise, Piemonte, Puglia, Sicilia), quattro fanno ulteriori passi indietro (Puglia -15 per cento, Sicilia -7,5 per cento, Calabria e Campania -5 per cento). In particolare, solo Piemonte, Liguria, Toscana, Umbria, Lazio, Abruzzo, Molise, Basilicata e Calabria, Provincia Autonoma di Bolzano e Valle d'Aosta riescono a raggiungere il 95 per cento per le vaccinazioni obbligatorie infantili. Inoltre, in 13 Regioni e' stata introdotta la vaccinazione per varicella con offerta attiva e gratuita per tutti i nuovi nati: mancano all'appello regioni importanti come Lazio, Lombardia, Piemonte, Umbria, Emilia Romagna, Abruzzo e Valle D'osta. Nel corso del 2013 sono stati inviati oltre 11 milioni di inviti per partecipare ai tre programmi di screening oncologici organizzati, mammografico, colorettale e cervicale, meno della meta' delle persone si sono sottoposte alle prestazioni preventive. L'adesione ai 3 esami preventivi permane critica nelle regioni del Sud. Sullo screening mammografico, e' marcata la differenza esistente al livello regionale: oltre alle regioni del Sud, Liguria, Bolzano, Marche, Veneto, Friuli Venezia Giulia e Umbria sono al di sotto della media nazionale per copertura. Il tasso di adesione allo screening colorettale e' del 44 per cento al livello nazionale: questi dati tuttavia, ancora una volta, mostrano variazioni significative nelle aree del Paese passando dal 53 per cento del Nord, al 39 per cento del Centro, al 31 per cento del Sud.

Nel nostro paese su 531 punti nascita attivi nel 2014, 98 effettuano un numero di parti inferiore ai 500 ogni anno, non rispettando cosi' gli standard ministeriali. Inoltre continuano a essere ancora troppo numerosi i parti con taglio cesareo, che nel 2014 hanno raggiunto quota 35,9 per cento rispetto al 20 per cento indicato dal ministero. Questi, in estrema sintesi, alcuni dei dati del rapporto 2015 dell'Osservatorio civico sul federalismo in sanita', presentato da Cittadinanzattiva questa mattina a Roma. Tra le Regioni che hanno trasmesso il report relativo alla presenza dei punti nascita con meno di 500 parti all'anno, la Basilicata ne ha attivi 3, l'Emilia Romagna 7, il Lazio 6, La Puglia e la Lombardia 9. Anche rispetto all'utilizzo del taglio cesareo, per il quale le linee di indirizzo ministeriali indicano un valore standard da raggiungere del 20 per cento, non si evidenziano miglioramenti. A livello nazionale nel 2014 siamo al 35,9 per cento di parti effettuati con cesareo, in Campania si raggiunge il 62,3 per cento, seguono Sicilia e Puglia il 44 per cento, e in Molise il 43,7 per cento. Ancora, sulla distribuzione delle Terapie intensive neonatali, i dati del 2012 indicano che gli standard fissati di 1 Tin per almeno 5000 nati vivi non sono rispettati. La media nazionale e' infatti di 1 Tin ogni 3880 nati vivi l'anno; solo 4 Regioni (P.A. Bolzano, P.A. Trento, Marche e Sardegna) ne hanno per piu' di 5000 nati vivi; Liguria, Abruzzo, Molise e Sicilia hanno invece una Tin per un bacino di utenza compreso tra 2000-3000 nati vivi (superiore allo standard); le altre Regioni sono fuori standard. 

In Italia l'accesso ai centri e alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (pma) varia da regione a regione. Secondo il rapporto 2015 dell'Osservatorio civico sul federalismo in sanita', presentato questa mattina a Roma da Cittadinanzattiva, vi sarebbero differenze regionali fra numeri di centri, offerta privata e pubblica, e sostegno economico alle coppie. I due terzi dei centri sono infatti concentrati in 5 regioni (Lombardia, Lazio, Campania, Sicilia e Veneto) ma con grande squilibrio fra centri pubblici, privati convenzionati e centri privati. Il 68 per cento dei centri nel Sud e il 58 per cento nel Centro e' privato; nel Nord Est sussiste parita' di offerta tra pubblico e privato e nel Nord Ovest vi e' prevalenza di offerta nel pubblico. Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Piemonte e PA di Trento e Bolzano hanno inserito la Pma nei Lea regionali (le prime tre regioni sia l'omologa che eterologa). Inoltre, alcune (PA Trento e Bolzano, FVG; Emilia Romagna, Toscana, Umbria e Basilicata) prevedono un sostegno economico per le coppie che ricorrono alla Pma. Anche sull'eta' delle coppie le regioni applicano criteri diversi per consentire l'accesso alle tecniche di fecondazione assistita: Lombardia, Abruzzo e Campania non pongono alcun limite; in Veneto e' consentita fino ai 50 anni; in Valle d'Aosta e Umbria fino a 41 anni. "La regolamentazione diversa per ogni regione e la differenza di offerta ha creato enormi difficolta' per le coppie che non hanno alcuna certezza su dove poter rivolgersi e quali costi sostenere", spiega Cittadinanzattiva. "Cio' concentra l'offerta - ha proseguito - in alcune a discapito di altre, creando una forte disomogeneita' di accesso e una discriminazione di fatto delle coppie che risiedono in regioni dove l'offerta pubblica e' scarsa o addirittura nulla come in Molise". 

© Riproduzione riservata

Condividi:

Articoli Correlati



Utenti connessi: 1