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Pubblicato il 28/12/2013 20:08

Il quadrato magico di San Pietro a Oratorium

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di Antonio Alfredo Varrasso

San Pietro ‘ad Oratorium’ (Capestrano) si trova “nascosta tra i pioppi alla riva del fiume impetuoso” (C.I. Gavini), che è il Tirino, altrimenti chiamato Siler, nelle fonti, (iuxta Siler fluvium): nel silenzio! Non appaia contraddittoria la descrizione gaviniana, giacché spesso le rovine di San Pietro, come lo storico dell’architettura abruzzese annota, venivano allagate dalle acque del fiume in piena. La chiesa custodisce, incassata nella facciata, a sinistra guardando il portale maggiore, una epigrafe latina, fin qui non datata, che riproduce una ricorrente scrittura, con le parole SATOR AREPO TENET OPERA ROTAS.

In questo ordine l’iscrizione forma un palindromo; versi, cioè, che, letti in senso inverso, risultano identici. Così come dal greco palindromos ‘che corre all’indietro’. Anton Ludovico Antinori (+1778), che dal 1770 ebbe, per munificenza sovrana, in beneficio la chiesa ‘ad Aratorium’, ne parla nella ‘Corografia’ manoscritta (vol. XXVIII/2) e nota l’iscrizione, come è ancora oggi, ‘capivolta’, subito rilevando che una uguale esiste in Santa Lucia di Magliano dei Marsi. 

Il nostro ‘crittogramma’, invero, che è rilevabile in diversi luoghi d’Europa, risulta particolarmente presente il luoghi di culto cristiani. Ma, a Pompei, distrutta nel 79 d.C., se ne sono ritrovati almeno tre esemplari. Il che animò un dibattito particolarmente sotteso all’individuazione di un ‘messaggio’ cristiano della palindrome nell’età delle persecuzioni. Piu’ recentemente (1998) il Cardinale Ravasi ha accolto, sostanzialmente, ‘la matrice cristiana della palindrome criptografica del Sator Arepo’. Ma, già nel 1983, una studiosa del calibro di Margherita Guarducci (1902-1999) scriveva che ‘questo quadrato nacque come gioco letterale presso i pagani e che, successivamente, esso ‘venne adottato dai cristiani', assumendo un valore ‘profilattico e religioso', derivante piu' dalla sua forma che non dal suo contenuto'. A queste conclusioni, nel 1965, era pervenuto anche Arsenio Frugoni (1914-1970). Accanto al ROTAS la Guarducci, per esempio, scoprì in Santa Maria Maggiore di Roma un altro ‘giochetto', databile tra III e IV secolo, di ROMA OLIM MILO AMOR e il palindromo di ROMA SUMMUS AMOR. Perfino in Aquincum (Budapest), in una tegola del II sec. d.C., si rinvenne il nostro Rotas. Si tratta, pertanto, con ogni evidenza, di un riuso, particolarmente perseguito in età altomedievale e di cui ne è testimonianza anche il caso di Capestrano.

Naturalmente, quella del riuso diventa una storia autonoma rispetto alle origini piu' antiche di questo ‘sistema informativo' criptato. Nella accezione interpretativa cristiana era stata proposta l'interpretazione del criptogramma nei termini di :"Il Creatore (sator), l'autore di tutte le cose, mantiene con cura le proprie opere"; una interpretazione che seguiva quella di J. Carcopino (1881-1970), che vi leggeva: "Il seminatore, col suo carro, tiene con cura le ruote", dal chiarissimo richiamo evangelico. In questo senso il ‘quadrato', oltre a rivelare una croce greca dissimulata, formata da due ricorrenze di TENET, che è palindroma di se stessa, stando al pastore protestante Felix Grosser, mediante l'utilizzo delle venticinque lettere contenute, evidenzia anche un'altra croce criptata, formata dalle parole PATER NOSTER, centrata sulla N e affiancata dalle restanti quattro lettere: A e O, cioè l'alfa e l'omega, dal significato cristologico di principio e fine, ovvero di schietta impronta escatologica. Possiamo parlare, quindi, di una manifesta idealità apocalittica della palindrome così interpretata. Al di là dei Templari, pure messi in mezzo nella vicenda del riuso cristologico del ‘quadrato', è certo che esso nel tempo ha rafforzato, strumentalmente, il significato di una rielaborazione simbolica. Il caso capestranese si presta a farcelo meglio comprendere. Felix Grosser, nel 1926, ipotizzò la tesi interpretativa dell'apocalisse, vale a dire che il quadrato celava un sigillo nascosto in uso tra i primi cristiani, con un preciso riferimento al testo dell’Apocalisse di Giovanni, composto nella prima metà degli anno Novanta del I secolo.

Ora, in San Pietro ad Oratorium è dato osservare un apparato iconografico, situato nel catino absidale, già descritto dal sulmonese Piccirilli, nel 1899, in cui si ha il Cristo pantocrator, cioè ‘giudice’, recante un libro con l’iscrizione: EGO SUM PRIMUS ET NOVISSIMUS, avente ai lati ventiquattro figure barbute, con corona in testa, ovvero i vegliardi, di cui al cap. IV dell’Apocalisse giovannea. Nello specifico si tratta della riproposizione di un ambito della corte celeste, in cui i vegliardi esercitano un ruolo sacerdotale e regale; lodano e offrono a Dio le preghiere e collaborano nel governo divino del mondo, partecipando al potere regale di Cristo. La matrice ideologica ‘apocalittica’ del testo iconografico è fuori discussione. Sembrerebbe che nella costruzione, ovvero ricostruzione dell’XI secolo, si sia operata una sintesi culturale, o la si sia riproposta in formule innovative, nient’affatto improvvisata e centrata sulle origini mitiche della chiesa, a cui non è estranea la stessa dedicazione petrina, ben nota in ambito longobardo. In sostanza, la relazione ‘apocalittica’, ideale e formale, tra i testi, scritto e figurato, si è espressa nella reinvenzione delle fasi fondative del monastero, volendone costituire una sorta di matrice identitaria e cognitiva, con una prospettiva, mi sembra, velleitariamente autonomistica della dipendenza monastica rispetto alla casa madre molisana.

 

* di Antonio Alfredo Varrasso

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