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Pubblicato il 19/12/2013 00:12

Neuromarketing e pubblicità occulta, i segreti degli spot spiegati all'Università

d'annunzio, farchione

Parla il professor Antonio Farchione dell'università "Gabriele d'Annunzio"

I guru del marketing hanno capito che in un momento di crisi occorre trovare strade nuove per vendere i propri prodotti e cercare di modificare a proprio vantaggio le scelte di acquisto dei consumatori, inducendoli a preferire quel marchio a un altro. Dietro alle strategie dei colossi della vendita sempre più spesso trovano spazio allora le tecniche di neuro marketing. Per scoprire di cosa si tratta ne abbiamo parlato con AntonioFarchione, professore di marketing all’Università “Gabriele d’Annunzio” di Chieti – Pescara che ha organizzato all’interno del suo corso proprio un ciclo di incontri dedicati al tema, grazie alla collaborazione della Prometeo coaching guidata da Angelo Bonacci. Le lezioni si concluderanno con un confronto tra studenti e imprenditori.

 

Partiamo subito: cos’è il neuromarketing?

Potremmo definire il neuromarketing come l’incontro interdisciplinare delle neuroscienze con il marketing.

Vediamo di fare chiarezza. Le neuroscienze basano essenzialmente i loro studi sulla fisiologia del cervello. In altri termini, l’obiettivo dei neuroscienziati è quello di arrivare alla comprensione di quelli che sono i meccanismi fisici alla base non solo del funzionamento del nostro cervello, ma anche del sistema nervoso centrale.

Quando entra in scena il marketing?

Il marketing è interessato, tra le altre cose, a studiare il comportamento del consumatore. Ma fino a qualche tempo fa il ruolo dell’uomo marketing non era diverso a quello di un suo collega esperto di amministrazione.

Che cosa intende dire?

Intendo dire che nel marketing si è molto abili a raccogliere informazioni ma meno bravi, rispetto ai colleghi amministrativi, a far “fruttare” quelle informazioni. Nel marketing tradizionale ci serviamo essenzialmente di sistemi più o meno complessi di raccolta dei dati circa le vendite del prodotto A anziché del prodotto B, con la conseguenza che se veniamo a scoprire che l’uno è più apprezzato dell’altro, ne prendiamo atto, ma non si riesce a dare una spiegazione circa il perché le cose siano andate proprio in quel modo.

In secondo luogo sottoponiamo i consumatori a delle domande fuori dai punti vendita, in laboratorio, ecc. nella speranza di colmare proprio quel gap che tanto sta a cuore agli uomini marketing, ovvero conoscere in anticipo quello che i consumatori faranno nell’atto di acquisto. È noto, però, che quello che il consumatore spesso dice di fare, non coincide con quello che lo stesso poi farà realmente.

E allora?

E allora ho bisogno di accedere a delle informazioni che, in qualche modo, mi diano un livello di certezza più elevato di quelle che fino ad ora ho gestito. Un livello di informazioni del tutto nuove posso acquisirle proprio dagli studi delle neuroscienze. Poter utilizzare le medesime strumentazioni sofisticate che in campo medico servono a capire cosa succede nel nostro cervello, è un’occasione unica per toccare con mano come si comporta la mente del consumatore quando si trova nella corsia di un supermercato, quando viene diffusa in un punto vendita un certo tipo di musica, oppure un determinato aroma, o ancora osservando un certo brand.

È chiaro come le neuroscienze ed il marketing possano trovare un punto di contatto, ma come il neuromarketing può concretamente acquisire queste informazioni?

Di solito aziende molto grandi stipulano delle convenzioni con centri medici dotati di macchinari come la fMRI (risonanza magnetica funzionale), oppure l’EEG (Elettroencefalografia), o l’eye-tracking. Macchinari molto costosi che riescono a dare risposte sul perché di certi comportamenti del consumatore che il marketing tradizionale non era in grado di dare in maniera esaustiva.

Potrebbe fare un esempio di risposta nuova del neuromarketing?

Una delle velleità degli uomini marketing è riuscire a misurare le emozioni. Il neuromarketing, sebbene non sia in grado di arrivare a questo grado di misurazione, è però in grado di capire e vedere cosa accade nel cervello del consumatore in relazione al verificarsi di particolari stati emotivi. Vede ciò che è stato scoperto è che il nostro cervello non è indifferente a certi stimoli come le immagini, i suoni, gli odori, ecc. ma nel fatidico momento della decisione di acquisto, sono proprio quegli stimoli che attivano zone specifiche del cervello e inducono il consumatore a comportarsi di conseguenza. In questo senso ci sono delle scoperte spesso sconcertanti.

A quali scoperte fa riferimento?

Ha presente i messaggi così evidenti sui pacchetti delle sigarette?

Certamente, e allora?

Quei messaggi, attraverso la scansione cerebrale, è stato scoperto che non solo non riescono a convincere il fumatore di smettere di fumare, ma riescono ad attivare una parte del nostro cervello chiamata nucleus accumbens in cui risiede il desiderio, il desiderio di accendersi una sigaretta nonostante quelle scritte così inquietanti.

Il meccanismo cerebrale di desiderio di fumare, funziona anche quando ci sono riferimenti non diretti ma indiretti di marchi noti di sigarette, in caso di rimandi a paesaggi dell’ovest americano, o a riferimenti cromatici in ambito di corse automobilistiche.

Può fare altri esempi?

Ce ne sarebbero tanti altri, ma vorrei solo considerare le diverse occasioni di sconti a cui siamo sollecitati, proprio in questo periodo di crisi, dai negozianti. Lo sconto, o più in generale la promozione, è uno di quegli espedienti che non solo disattiva una parte del cervello chiamataInsula, che si attiva in caso di dolore fisico o psichico, ma …

La fermo subito. Qual è il nesso tra il dolore e il denaro?

L’atto del pagamento, la perdita di una somma di denaro, attiva nel cervello la stessa parte cerebrale che si attiverebbe in caso di dolore di altra natura.

Tornando all’argomento, la promozione inibisce l’insula che in questo modo non ci fa pensare all’atto di esborso di danaro che da lì a poco faremo, ma attiva il nucleus accumbens di cui parlavamo prima. L’attivazione di parte del cervello ci fa percepire che stiamo per fare un buon affare e saremo gratificati dall’acquisto.

Un’ultima domanda. La diffusione del neuromarketing renderà i consumatori vulnerabili, prevedibili?

In primo luogo ritengo che la diffusione del neuromarketing porrà sicuramente più in evidenza la questione etica circa l’uso della scansione cerebrale dei consumatori. In secondo luogo sono dell’idea per quanto accurate saranno le ricerche in questo ambito, non possiamo non considerare una serie di variabili come gli errori nelle politiche industriali, le valutazioni economico-finanziarie, i rapporti produttore-distributore, ecc.

Una scansione cerebrale può convincere il produttore che il prodotto avrà un sicuro successo sul mercato, ma potrebbero essere proprio le suddette variabili a decretare, invece, l’insuccesso del prodotto stesso.

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