Sono trascorsi sei lunghissimi anni, e nel cuore degli abruzzesi c'è una ferita impossibile da rimarginare, nonostante le promesse e i tentativi di ripristinare una normalità che appartiene ad un passato lontano. La ricordiamo tutti quella notte del 6 aprile 2009, le lancette ferme alle 3.32, e la terra che, abbandonate le vesti di una madre premurosa, terrorizzava i suoi figli imprigionandoli nel buio e nel silenzio.
Oggi, a distanza di troppo tempo, la storia resta ancora intrappolata nelle macerie, tra gli scheletri di strutture disabitate e il vuoto di strade desolate, in cui il mormorio della folla è solo un ricordo. La quotidianità è cambiata, così come le abitudini della gente, e la vita si è spostata nelle nuove costruzioni dell'immediato post-terremoto, le new town, nelle zone periferiche
L'Aquila ha voglia di rivivere, di tornare al suo splendore, nonostante la maledizione sismica che da sempre la accompagna. E invece sembra avvolta in una ragnatela di metallo, un merletto gelido e scintillante fatto di impalcature che la sorreggono, scongiurando il crollo definitivo. Nel centro storico l'odore della calce e del cemento è intenso, fastidioso, pungente, mentre il rumore dei lavori di ricostruzione fa da sottofondo nel cantiere a cielo aperto.
"Divieto d'accesso ai non addetti ai lavori" è il motto di ogni porta nascosta dai teli arancioni, serrata dai lucchetti o da travi in legno. Al di là di quelle entrate, il nulla. Qualche operaio, forse, munito di elmetto dalle tinte fluo e ricoperto di polvere e vernice.
La ricostruzione procede lenta, disordinata, senza un filo conduttore. Non c'è ancora una sola strada che sia completamente ritornata alla luce. Ed è così che ogni incrocio somiglia a quello precedente, e la storia e la bellezza di una città continuano a rimanere nella memoria dei suoi abitanti.
"Ormai si vive alla giornata e di gente ce n'è pochissima" racconta Pietro, proprietario della macelleria in via Leosini. "La vita sociale è insistente e non abbiamo più alcun punto di aggregazione. Il centro e il corso prima erano luoghi fondamentali dove passeggiare, ritrovarsi e incontrarsi. Adesso non c'è più niente, neanche le persone. Fino a qualche tempo fa i turisti venivano a vedere cosa fosse rimasto dell'Aquila, mentre oggi il terremoto non è più di moda".
I tetti delle chiese sono crollati, e alzando il naso all'in sù è possibile vedere il cielo che prende il posto di affreschi e cupole. Impossibile entrare nei luoghi di culto distrutti, tanto che la speranza divina sembra vacillare.
Lasciandosi alla spalle la prima vittima di quel fatidico giorno, la devastazione si fa assai più cruda nei paesini limitrofi. Onna è deserta e taciturna. La chiesa di San Pietro Apostolo è in fase di restauro grazie all'intervento del governo tedesco, ma tutt'attorno le macerie ricordano la strage, tra un muro che ha retto alle scosse e l'altro crollato come un castello di sabbia. La vita si è spostata di qualche metro, nelle casette colorate alle porte del paesino. Anche qui il silenzio rende il luogo spettrale.
Paganica riversa nelle stesse condizioni. Il centro storico è blindato, tra i televisori rimasti intatti al terzo piano di un palazzo squarciato e le porte aperte di qualche abitazione da cui è possibile scorgere scatoloni impolverati e oggetti ormai inutili che nessuno è venuto a riprendere. Non c'è vita, non c'è più niente. Solo il ronzio degli insetti e qualche coraggioso piccione animano l'oblio di quei vicoli lugubri.
"Prima il centro era molto popolato, ora invece non c'è più nessuno" racconta la signora Marisa nel suo piccolo negozio di frutta e verdura. "Gli abitanti di Paganica si sono trasferiti nel progetto case e non c'è speranza, per adesso, di rivedere questo paese ricostruito e popolato. Una volta il centro era bello, le persone si conoscevano tutte ed erano molto unite, mentre ora i rapporti sono cambiati perché ci siamo ritrovati tutti sparpagliati".
"Non abbiamo più la socialità e non ci sono punti di aggregazione se non qualche piccola parrocchia o la scuola" aggiunge una cliente. Perché intanto il tempo scorre inesorabilmente, mentre la solitudine dei cittadini si fa ogni giorno più grande e il sogno di poter rivivere il passato diventa un'illusione amara. "La vita della città non riparte senza il centro della città, e nessuno considera lo spirito della gente. Tutti pensano alla casa, ai soldi o ai beni materiali, ma ciò che più ci manca è la vita comune".
Foto di Giulia Grilli
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