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Pubblicato il 21/12/2012 12:12

Matteo Liberi, l'esigenza di "fare arte"

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di Giulia Grilli

Strade, muri e bombolette. Nasce negli anni '90 la passione di Matteo Liberi per la pittura. Il writing come manifestazione culturale e artistica sul tessuto urbano diventa il suo stile di vita. Sfogliando un giornale viene catturato dall'espressività dell'immagine di una parete dipinta, e decide di girare per Pescara alla ricerca di qualcosa di simile. Inizia a seguire i precursori del graffitismo abruzzese per sperimentare in età adolescenziale l'utilizzo dei colori spray. Da completo autodidatta, è alla perenne ricerca dell'evoluzione del suo stile, dividendosi tra muri e tele. In collaborazione con altri talenti, Matteo ha da poco aperto uno spazio artistico nella zona industriale pescarese. Il progetto, in continua espansione, è finalizzato alla condivisione della creatività.

 

Come nasce la tua passione artistica?

Nasce dalle pagine dei giornali, dalle opere del lungofiume Alento a Francavilla, dalla zona della ferrovia di Pescara, dai muri dei cavalcavia di Montesilvano. Queste erano le mie fonti di ispirazione, perché io ho imparato solo guardando. Quando i precursori storici della scena pescarese hanno smesso di esprimersi, ho iniziato a dipingere in giro per la città. Io e altri ragazzi ci siamo concentrati sul muro del terrapieno dello scalo merci a Porta Nuova per una decina di anni. Dopo i primi interventi della polizia, il nostro lavoro è diventato tollerato perché non abbiamo mai dato fastidio a nessuno. La zona era degradata, ma per anni è stato il nostro posto, ribattezzato "le doppie curve". Il writing avrà sempre una componente illegale, e io  ho vissuto tutte le sfaccettature di questa forma artistica. Ho capito che le cose devono essere fatte con il cervello, per questo ho scelto sempre con attenzione i punti in cui dipingere. Quando ho capito che il mio bisogno espressivo non finiva una volta tornato a casa, ho deciso di utilizzare anche altri supporti come le tele.

 

Perché il passaggio dal writing alle immagini?

Non è stato un vero e proprio passaggio perché il writing non si limita al solo studio della lettera, almeno per me. Le murate complete, per definizione, sono composte da lettere e da un background figurativo. In passato io e i miei amici ci siamo fatti apprezzare proprio perché le persone non vedevano solo una scritta incomprensibile, ma anche le immagini e il potere dei colori. Quando da ragazzino senti i complimenti fatti da una signora anziana, dalla quale ti aspetti solo critiche, provi una gioia immensa. Comprendi così che la tua forma d'arte può essere apprezzata da tutti. Chi dipinge cerca un riscontro esterno, anche se la necessità primaria è quella di esprimere le proprie idee. Il graffitismo comporta che il tuo nome sia ovunque perché il mondo deve sapere che tu esisti.

 

Che differenza c'è tra la pittura sul muro e sulla tela?

 È solo una questione di intimità. La tela  posso realizzarla in un ambiente più ovattato, in cui mi sento più riflessivo. Quando sei su strada, sai che hai un obiettivo e che lo devi portare a termine entro un tempo stabilito. Sulla tela ci puoi lavorare mesi, anni, mentre il writing è più immediato, stancante e sicuramente più comunicativo. Resta una pulsione che io ho da sempre e della quale non posso fare a meno, ed è necessario esercitarsi con lo spray, altrimenti rimani indietro. Il cervello però continua a camminare anche dopo una murata, e determinate evoluzioni espressive hanno bisogno di tempo. Da qui nasce l'esigenza di un supporto diverso in cui puoi aggiungere dettagli, particolari. Ovviamente la mia pittura su tela è fortemente influenzata dal mondo del writing. È molto carica, i contorni sono tracciati con il tratto marker e le tinte sono accese perché ricordano il contrasto cromatico dei dipinti sui muri.

 

Qual' è il messaggio delle tue opere?

Nei miei lavori riporto le mie fissazioni personali. In molti quadri ci sono riferimenti all'iconografia religiosa. Io non sono stato battezzato, non ho mai vissuto quello che quasi tutti i bambini vivono, come il catechismo o la messa. Non conosco la socialità legata alla religione. La cosa non mi è pesata, ma quella mancanza mi ha sempre incuriosito. L'iconografia diventa quindi qualcosa di nobile a cui aggrapparmi e alla quale mescolare tutte le mie influenze. C'è una forte ricerca di spiritualità, di grazia e di equilibrio che nella mia vita probabilmente ancora non ho trovato. Il mio è un bisogno di creare dei punti fermi che rappresentino le mie passioni, che mi diano forza e che mi permettano di creare un ordine. Ogni quadro che ho fatto è una pedina in un percorso. Sono una persona piena di idee e sento la necessità di farle passare dalla mente a un supporto che io possa toccare, tela o muro che sia. Devo dare forma e consistenza ai miei pensieri.

 

Ti senti un writer o un pittore?

 

Sono una persona che ha la passione per il disegno e l'arte in generale. Non mi sento un pittore perché credo di non avere le capacità per essere etichettato come tale. Il writing ovviamente è parte di me e lo porterò avanti finché potrò. Credo che i colori abbiano un effetto sull'umore delle persone e per questo sono alla perenne ricerca di superfici su cui dipingere. Pescara è una città moderna, piena di cemento, senza monumenti o mura storiche. È importante che le istituzioni vedano e comprendano l'utilità di dare spazi regolamentati. La nostra è una città piena di talenti e anche per questo ho deciso di aprire con altre persone uno spazio artistico.

 

In cosa consiste questo progetto?

 

In collaborazione con Mauro Bianchini, proprietario della galleria White Project in piazza Garibaldi, e con la scultrice Gloria Sulli, abbiamo deciso di aprire uno spazio artistico in via Raiale, nella zona industriale, vicino al cementificio. Lo stabile era una fabbrica di neon abbandonata da dieci anni. L'abbiamo ripulita, ridipinta, abbiamo rimesso gli infissi, le luci e abbiamo ridato vita a 250 mq inutilizzati. Manca solo un nome, lo stiamo ancora decidendo. La finalità è quella di creare un centro in cui far incontrare persone che hanno l'esigenza di fare arte. Si sono aggiunti anche altri inquilini: un pittore, Claudio Di Carlo,  due ragazzi, Eleonora e Vittorio, che stanno creando all'interno della costruzione uno studio di sviluppo fotografico, e Luciana, esperta in incisioni serigrafiche. Oggi non ci si può lamentare dei fallimenti altrui, ma bisogna agire. Un progetto del genere crea un'aggregazione, una condivisione. Io ho sempre avuto l'abitudine di avere un'idea e di fare in modo che questa si evolvesse. Lascio che amici e persone di cui stimo l'espressività artistica collaborino con me, mi aiutino, interagiscano per la realizzazione di un'opera migliore. L'arte è una pulsione insita nell'uomo, è primordiale. È un rifugio dalla quotidianità, dalla crudeltà della vita, è il bisogno di autorappresentarsi. Mi piace stare in mezzo all'arte e a persone che condividono questo amore, perché non basta a tutti parlare di calcio o andare a bere un aperitivo.

 

 

 

 

 

 

 

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