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Pubblicato il 14/02/2014 10:10

Nelle mani di Yari Di Giampietro

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di Giulia Grilli

Sabato pomeriggio nella "scatola urbana", via Gobetti 184 Pescara, secondo piano. Si chiacchiera nella piccola sala dedicata alle esposizioni di The Urban Box, perché la mostra dei quadri di Yari Di Giampietro è ormai agli sgoccioli e, forse, è arrivato il momento di fare un resoconto finale.

 

Realismo, iperrealismo, surrealismo. Il talento di questo artista trentenne di Città Sant'Angelo è in continua evoluzione e abbraccia correnti distaccandosene allo stesso tempo, come se la sua personalità fosse più ingombrante di qualsiasi rigido schema.

 

E' seduto sulla sedia, protetto dalla sua timidezza. Con la barba lunga e lo sguardo dolce, Yari parla di quell'attitudine infantile al disegno che tutti abbiamo, abbandonata con il passare del tempo per intraprendere altre strade. Lui quell'istintività l'ha assecondata, rinchiudendosi in un mondo che ha urlato i suoi perché solo in età adolescenziale, quando l'analisi delle tecnica e la necessità espressiva hanno iniziato a venir fuori.

 

 

"Non voglio per forza dire qualcosa con i miei quadri, perché l'arte non si ferma al singolo pezzo, ma è ricerca continua. La maggior parte delle opere del Rinascimento riguardavano temi dei testi biblici. Ma studiando è possibile comprendere come dietro alla natività, ad esempio, ci fosse il pretesto per altro" racconta Yari. "Allo stesso modo, dietro alla mia raffigurazione delle mani c'è uno studio durato anni, dedicato alla tecnica della composizione dell'immagine, alla luce, alla tridimensionalità, mentre per il filone africano mi ero focalizzato su colori molto forti, e sulla figura nera intesa come primordiale, universale".

 

Bambini e donne dalla pelle color ebano sembrano uscire fuori dalla tela, come se fossero lì accanto mentre ci osservano tra paure, tormenti e incroci di sguardi, pronti a colpevolizzarci di chissà cosa. Elefanti surreali dalla perfezione maniacale di ogni dettaglio emergono dallo sfondo rosso carminio. E poi quelle mani che stringono, prendono, racchiudono, aggrediscono lo spettatore. Volutamente imperfette, per distaccarsi dalla precisione fotografica, permettendo alla pennellata di esser più vera, piacevole, confusa con la sfumatura, ma incredibilmente sincera. E' proprio questa la chiave di lettura che lascia trapelare la presenza del'artista.

 

 

Incompletezza, turbamento. Tutte le tele sembrano esprimere quella parte inconscia che Yari tiene stretta e gelosamente nascosta, tra un bambino africano che sussurra arcani segreti, e cinque dita pronte a catturare il passante per condurlo in una dimensione parallela.

 

Ma poi, perché proprio le mani come oggetto di una rappresentazione figurativa, così ripetitive, ossessive, sviscerate in ogni angolatura? "Mi sono sempre piaciute, sono la parte anatomica più capricciosa, difficile da realizzare, composta da un insieme di proporzioni e linee non semplici da riprodurre. Volevo qualcosa di nuovo, perché se ami ciò che fai devi sfidarti in continuazione, altrimenti non cresci. La pittura è intima, profonda, racchiude in sé un mondo. Per me non è sempre facile dipingere, perché quando inizio un quadro non so mai cosa ne verrà fuori, se sarà all'altezza di ciò che ho in testa. Poi, arriva un momento in cui tutto finisce, perché è il quadro stesso a spegnerti, e le pennellate svaniscono".

 

 

Oltre ai colori ad olio, intrisi di complessità e poesia, Yari porta avanti da anni un'altra tecnica, l'acquerello. Tra una tela e l'atra si susseguono numerose illustrazioni, più immediate, brevi, per appagare quell'insaziabile bisogno di disegnare. "L'acquerello è un po' bastardo! Non puoi permetterti di sbagliare, non c'è margine d'errore né rimedio. Mi piace perché ti fa stare con le orecchie dritte, e per utilizzarlo devi essere preciso, deciso e maniacale".

 

 

Lorenzo di The Urban Box, organizzatore della mostra inaugurata il 18 gennaio, racconta dell'incontro, del tutto casuale, avvenuto on line con le opere di Yari. "E' fuori dai circuiti artistici locali, lavora in maniera trasversale. Da anni espone in tutt'Italia e chi lo conosce ha la possibilità di scoprire una persona splendida e un artista con capacità enormi". Il timore di Lorenzo era quello di avere poca risposta dal pubblico pescarese, di fare una brutta figura con Yari. Ma l'entusiasmo e le emozioni, davanti a lavori di così forte impatto, hanno giocato un ruolo fondamentale per delineare la scelta finale.

 

E allora la piccola sala bianca si è riempita di colori e luci, in 14 tele di diverse dimensioni, e l'inaugurazione è stata un successo. L'affluenza giornaliera ha evidenziato un pubblico disomogeneo, compreso in una fascia di età che oscilla tra l'adolescenza e la maturità di un sessantenne. "Questo spazio non ha uno scopo strettamente commerciale, e viaggia su binari paralleli. Niente colletti bianchi, niente pregiudizi, qui l'arte è libera di esprimersi al di fuori delle regole del mercato. Il mio scopo è quello di creare conoscenza, e in questo caso ci sono riuscito più che mai, promuovendo un giovane talento che ha ricevuto un apprezzamento sincero e unanime" spiega Lorenzo.

 

Alla fine resta un'ultima curiosità: ma Yari è un nome d'arte? "Beh, non proprio! Il mio vero nome è Jari Di Giampietro, ma quella J, così storta, mi ha sempre infastidito. E allora, da quando sono piccolo, ho deciso di cambiarla con la Y che è simmetrica!". La scelta della propria armonia, personale quanto l'identità, delinea la perenne ricerca di una corrispondenza di elementi. Così, quella piccola lettera sembra diventare la chiave per aprire la porta del mondo di Yari, in quello spazio senza fine che si chiama arte.

 

 

 

 

 

 

 

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