Giovanni Battista, il Precursore, da tempo immemorabile e tenacemente è il patrono celeste di Pescosansonesco. I Pescolani trovano, ancora oggi, in Lui il signum cristiano, l'emblema inconfondibile della loro identità. Il 24 giugno, festa universale della sua natività - unico santo a godere di questo riconoscimento liturgico - è giorno di grazia per quel Lupesclu (cit. anno 1111), che dall'altomedioevo si costituisce, come narra il Chronicon casauriense, 'in summitate cuiusdam rupis, alte locatum', quasi a prefigurare un culto aereo, di tipo angelico e micaelico, che pure non mancò, come vedremo, in questo straordinario insediamento.
La colonizzazione del 'pensulum' (roccia sporgente, atta alla costruzione delle case, da cui deriva il nome Pesco) ha il suo culmine sulla roccia di 'pietra solida', con l'edificazione del 'castrum', che non è il solo castello, ma l'insieme, compatto ed accentrato, dell'insediamento fortificato e, quindi, anche della chiesa castrense, che poi diventa parrocchiale, 'ab initio', più che verosimilmente, titolata a san Giovanni Battista.
Per comprendere, allora, il senso di quella conquista territoriale ed insediativa, la necessità del protettore celeste, perché di questo si tratta, mette a nudo una tensione abitativa, che poi è quella delle ragioni dello stare e vivere lì, la quale intende spiegare la storicizzazione del culto come portato ulteriore della cultura, religiosa e materiale, del popolo longobardo
Questo, a mio avviso, è uno dei motivi di fondo per cui Giovanni Battista, a Pescosansonesco, attraversa indenne la 'tempesta' revisionista della Controriforma, con le sue rimozioni di culti, adattamenti ed innovazioni cultuali a volte radicali.
Vale a dire che l'assoluta indiscutibilità del personaggio neotestamentario, da una parte ed il suo sostanziale radicamento nell'ethnos locale, dall'altra, ne garantirono la sussistenza salvifica, anche a fronte di una oggettiva alienazione delle radici, lontane e lontanissime, della sua presenza, nel titolo stesso, non lo si dimentichi mai, della chiesa matrice, che permane ben solido tuttora.
Nunzio Sulprizio (1817-1836), proprio lui, che avrebbe reso noto ai più, al mondo, il luogo natio di Pescosansonesco, come ebbe a sottolineare il conterraneo Alfredo Luciani (1887-1969), si fece testimone moderno di quel radicamento del Battista sul piano devozionale e della pietà popolare, riaffermandone l'insostituibile potenza taumaturgica; tratto, questo, distintivo del santo martire patrono cittadino, che è chiamato a mediare, infallibilmente, nelle opprimenti necessità di ogni singolo cittadino pescolano, particolarmente nella sfera della salute.
E Lui stesso, Nunzio, lo invocò, 'strisciando con la lingua il pavimento della chiesa madre, dal portale d'ingresso all'altare maggiore', affinchè quel subdolo male della 'spina ventosa' al piede sinistro, manifestatosi dai sei-otto anni, fosse sanato.
Innalzato agli onori degli altari, nel 1963, Nunzio interpreta e al tempo stesso emula, da ragazzo, un gesto 'gravemente' pietistico, diremmo, un'attitudine che trascende la stessa cultura cristiana nel tempo e che descrive efficacemente, eccome, un habitat millenario, il senso stesso di coabitazione con il santo, in quell'ordito urbanistico nobile e straziante di Pescosansonesco. E questa, che definirei una contiguità di destini tra il Battista e il Sulprizio, accomunati come sono nella sacralità atemporale delle loro esistenze, spiega anche, su di un piano eminentemente antropologico, l'assoluta assenza di competitività tra loro e, al contempo, la storica specificità del profetico martire di Cristo e la moderna universalità salvifica di quell'innocente dolore, tratto distintivo del messaggio di Nunzio Sulprizio ai suoi contemporanei.
Nel paesaggio fisico e sociale pescolano, questi modelli di santità non solo non confliggono, come dicevo, ma risultano complementari. Esiste, cioè, un'ideale filiazione, che la vicenda cultuale locale ha continuamente rivelato dai primi dell'Ottocento, nella trasformazione stessa del paesaggio, fisico e culturale di Pescosansonesco, laddove è oggi Giovanni a brillare nello straordinario santuario sulpriziano: sullo sfondo del castrum martoriato dalle frane, che ammonisce ancora, nella sua implacabile nudità, sull'eroica esistenza delle genti pescolane.
Il cammino di Giovanni Battista raggiunge la sommità di 'pietra solida', in una chiesa oggi distrutta, purtroppo, sul cui portale maggiore, ancora ai tempi del Sulprizio, poteva leggersi la data del 1455. Certamente, questa precisazione cronologica, nella circostanza di una ricostruzione, ovvero di un vero e proprio ampliamento della stessa, giacché la sua fondazione è molto più remota nel tempo. Nell'attiguo oratorio confraternale si notava pure la data del 2 novembre 1478. E' tutta una ben individuata area sacra, come si vede, che segna, a cavallo del grande terremoto meridionale del 5 dicembre 1456, una sua rinnovata valorizzazione e con essa la centralità dell'oppidum pescolano nel contesto territoriale.
Mi vien da pensare che il santo Precursone avrà faticato non poco in un'arrampicata che ha le sue premesse nell'idea stessa di conquista del rilievo roccioso, la quale matura ,come progetto, proprio all'interno degli insediamenti pregressi, che vissero dispersi ed aperti nelle immediate pendici del monte. Il castello pescolano, infatti, è esito non scontato della colonizzazione territoriale e rappresenta una innovazione essenziale di tutta la maglia abitativa contermine, con la quale sviluppa e struttura ben precise relazioni.
In questi minori nuclei abitati, poi, vi sono altri luoghi di culto, chiese e cappelle che concorrono alla definizione del pantheon santorale pescolano e che nel tempo scompaiono, o evolvono verso ulteriori soluzioni devozionali.
In poche parole il progetto del castrum appare dettato e non subìto dagli insediamenti pregressi di pianura e di collina. E' da qui che gli uomini si mossero, 'portando sulle spalle Giovanni Battista' e conferendogli la sede più degna: la chiesa castrense!
Da qui un suo senso, il suo apporto al patronato cittadino, allorché il 'protetto' o 'il proteggibile' si definiscono sul piano storico e culturale; quando, cioè, le relazioni effettive di un rapporto salvifico tra etnia collettiva e protettore si sono compiutamente chiarite e stabilite.
E', al fondo, questa, la storia di un'amicizia profonda e, se si vuole, la realizzazione di una 'comparanza' perenne, secondo l'uso invalso, particolarmente nel mondo della Transumanza, tra le persone, che si scambiavano un fiore, il 24 giugno, per divenire 'compari'. Un patto sentito, vale a dire, di reciproco aiuto e conforto. "Ce passe ju sangiuanne!", infatti, si soleva dire, a definire queste unioni personali extraparentali tra le persone; veri e propri legami affettivi, come si diceva, nella endemica precarietà sociale e dell'esistenza.
Nella seconda metà del secolo X il territorio pescolano ci appare estremamente vitalizzato da una marcata iniziativa signorile e, conseguentemente, servile. Tra il 982 e il 983 l'abate di Casauria, Adamo, vi realizza due passaggi importanti per la vicenda delle persone e degli insediamenti: una compravendita con tale Tresidio del fu Remenolfo, soprannominato 'franco' ed una permuta con Ingelramo del fu Ingelramo.
Nel primo caso i beni acquisiti dall'abate stanno in Carufano, in Opesclo ed ed in altre zone della vicina Castiglione.
Sono ben 1500 moggia di terra, con le chiese, tra l'altro, di san Leuterio, o Eleuterio di Oczano e quelle dei santi Felice e Martino, che si trovano a Carufano, nonché l'altra, per noi importantissima, di santa Lucia, che stà nel casale di Oziano (= Oczano). A tutto questo si unisce, nella medesima compravendita, l'insieme dei servi, più o meno liberi, che abitano nella zona e che diventano proprietà, al pari della terra, del monastero di Casauria.
Attraverso la permuta, invece, l'abate acquista una considerevole porzione, 908 moggia di terra, della curtis di Blesiano, che più tardi, nell'XI secolo, diverrà famosa per via della chiesa di Santa Maria, fondata proprio dai Sansoneschi.
Questi beni si trovano tra il monte Aquilie (La Queglia), la località di Mauro e lo stesso Pesclo, che il permutante asserisce di possedere completamente, nonché il monte Bruniata (Pietra Corniale). Ma, a questo punto, in tale scenario sociale ed ambientale, la documentazione ci propone un ulteriore personaggio importante. Sempre nel 983 il ricco Ingelramo, aristocratico fondiario che si fregia del titolo di conte, nel prestare garanzia legale della permuta all'abate, asserisce che a Pesclo, nel cuore delle sue proprietà, tale Sansone ha un castello:"...de ipso Pesclo, ubi Sanso modo habet castellun".
Non basta! Nell'area ci sono altri castelli. Nell'anno 994 è citato quello di Carufano (nel XVIII sec. diventa 'Carofano' presso il Catasto Onciario di Pesco), cioè nel casale in cui troviamo pure i toponimi longobardi di 'porcarecza' e di 'lasculcula'.
Una volta che l'abate ha realizzato questa compattazione, anche in senso amministrativo, attorno a 'lupesclu', il processo d'incastellamento, che era già in atto, subisce una svolta, in quanto ulteriormente mediato e decisamente indirizzato dal nuovo padrone abbaziale, per cui il cronista del monastero, che racconta questi fatti circa due secoli dopo, può tranquillamente affermare che l'abate Adamo, ottenuto il possesso dei terreni, come si è visto, costruì un castello, che chiamò Pesculum, perché, essendo collocato in altro su di una rupe, questo nome ricevette dai suoi abitanti e a cui, fondamentale!, annesse i territori, si badi, di Carufano, Ozano, Blesiano, Capitiniano.
"E con questi" - conclude il cronista - "edificò un castello che era chiamato (vocitatum) Pesco".
E' del tutto evidente che ad una realtà territoriale già segnata dai castelli, in mano laica, l'abate conferisce uno status amministrativo, attraverso una iniziativa giuridica, dotata del carisma dell'appoggio imperiale (Ottone II).
Ma, non solo. Egli intende imprimere a tale realizzazione i caratteri di una fondazione monastica e, con questi, quello di una risacralizzazione del territorio. Un concreto esempio è dato dalla cascata degli Unici di Pesco, il cui 'nuovo' nome, ancora oggi vigente, gli sarebbe stato conferito proprio da Adamo, che andava a rilevare i pastori degli aermenti abbaziali!
E' questa, dunque, la versione, ideologizzata, dell'incastellamento monastico, ancora esibita in età normanna e che ben evidenzia ciò che a noi qui preme conoscere, cioè la struttura insediativa del territorio pescolano, con le sue chiese, i suoi casali, i suoi castelli.
In pieno Quattrocento (1468-1469) il castrum pescolano, erede delle fortificazioni dei secc. X e XI, ospita una roccaforte militare, le cui estreme vestigia guardiamo ancora oggi. Essa, però, non dipende dal governatore feudale dei Cantelmo, famiglia che possiede il feudo, ma dalla corona aragonese, che, attraverso il duca di Andria (Baucio del Balzo), organizza l'intero sistema difensivo della regione.
Il suo castellano, comandante del presidio, è Pietro Vastone. In questa munizione, che evidenzia chiaramente i tratti dell'architettura militare del tempo, esiste una cappella, come accennai, dedicata a sant'Angelo. I dati documentari quattrocenteschi ci propongono un paesaggio urbano di prima grandezza, con un territorio circostante punteggiato di chiese e cappelle. Sono notizie in gran parte tradite da documenti del Cinquecento, ma che propongono una struttura insediativa molto più antica, in cui primeggia, con la Matrice, Giovanni Battista.
Quando, nel 1568, si creerà la chiesa ricettizia numerata proprio nella parrocchiale, si venne enumerando la serie delle cappelle, esterne ed interne ad essa, che concorrevano a formarne la dotazione, riaffermandosi il carattere sacramentale e battesimale della fondazione principale.
Conosciamo, così, San Nicola, Santo Stefano e Santa Lucia, nonché Santa Maria della Consolazione, Santa Maria Annunziata, San Martino, Santa Maria 'di Cataldo', Santa Maria 'de Morellis' e Santa Maria di Cervarano.
Non si fa parola di Santa Maria in Blesiano, perché è chiesa prepositurale, già annessa a Casauria e, quindi, assegnata ai beni della Biblioteca Vaticana, avente giurisdizione nullius propria, sui paesi di Pescosansonesco e Corvara.
Le cappelle interne alla parrocchiale sono quelle della Pietà, che il popolo chiama 'de Iorio', per via del suo fondatore; di Santa Maria, di Sant'Antonio, di San Sebastiano e, da ultimo, quella di Santa Maria 'de Cruce, alias de mastro Camillo'.
Tutti questi enti beneficiali vengono incorporati, mercé l'intervento del vescovo di Valva, Zambeccari, a San Giovanni Battista, da ora in avanti gestita da un collegio di chierici locali, fino al 1717 e non senza la partecipazione diretta della confraternita del Santissimo Corpo di Cristo, cioè del Sacramento, a cui è altresì affidata la particolare cura della cappella del patrono, San Giovanni Battista. L'Oratorio confraternale, come si diceva, non a caso, è immediatamente adiacente alla parrocchiale giovannea.
A questo punto potremmo essere sicuri dell'assoluta prevalenza del Battista nel contesto santorale pescolano. In tutta l'area casauriense non sono molte, è vero, le chiese, o le cappelle dedicategli. Ragion per cui il caso pescolano, da questo punto di vista, è più unico che raro, in ogni caso molto interessante per cercare le radici remote di una adozione cultuale che risente fortemente di una influenza più generale.
Se l'ambiente esprime il santo, al tempo stesso questi nutre di significati diversi la formazione della mentalità collettiva: a concepirlo, viverlo, promuoverlo a patrono cittadino. Ma, come si è cercato di dire, tutto questo rappresenta e documenta una fase successiva alla introduzione del culto, che in altri casi, come pure si diceva, ha condotto a vere e proprie rimozioni di antichi santi patroni, per far posto ad altre figure salvifiche.
A me non sembra che questo sia il caso di Pescosansonesco. Semmai il contrario, vale a dire che, proprio dal titolo parrocchiale, il Battista abbia assunto, processualmente, i caratteri del patrono cittadino.
La parrocchia castrense si struttura definitivamente tra XI e XII secolo sotto l'egida della giurisdizione monastica e non pochi problemi, in questo senso, crearono all'abate i signori Sansoneschi, proprio nella precisazione della sfera giurisdizionale ecclesiastica, che oramai è accertata prerogativa abbaziale per privilegio pontificio.
La donazione del 1065 di Santa Maria in Blesiano a Casauria è già di per sé un chiaro indizio, nella gestione del governo del territorio, di uno scontro tra i poteri laici ed ecclesiastici.
I Sansoneschi incisero così profondamente nella gestione territoriale, tra XI e XII secolo, appoggiando tra l'altro, in alcuni momenti, anche il clero scismatico, da coniare il toponimo di 'Terra sansonesca', inteso ad identificare uno spazio di dominio, che trascendeva la stessa Pesco e comprendeva pure diversi altri castelli della zona, tra cui Castiglione.
Allora Giovanni Battista, in un tale contesto, orami in piena età normanna, può anche acquistare il profilo di un autonomismo rivendicato permanentemente nel gioco delle 'collaborazioni', diversamente interessate, tra aristocrazia fondiaria e abbaziato casauriense. Qualcosa di simile è avvenuto a Tocco, con Sant'Eustacchio.
Certo si è che quella radice longobarda, a sua volta mediata dal mondo bizantino, la quale resta innegabile nella promozione del culto giovanneo in area italica ( si pensi ai casi di Monza e Pavia longobarde, dove il Battista viene assunto ad ulteriore patrono nazionale della gente longobarda) , avrà sicuramente caratterizzato l'ethnos dei primi insediamenti pescolani, ove l'elemento franco, che succede alla dominazione longobarda, viene a fondersi con il sostrato germanico, sedimentatosi attraverso l'iniziativa di quegli arimanni, che, conquistata l'acqua, tra Carufano e Oczano (quella che poi si chiamerà 'fontana romana'), dettero sostegno e forza ad un più ambizioso progetto, come si è detto, di salire la rupe del 'pensulum', ove Giovanni, il Battista, finalmente, costruì la sua casa.
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