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Pubblicato il 14/05/2013 18:06

La fontana romana di Pescosansonesco

varrasso, storie d'abruzzo

di Antonio Alfredo Varrasso

 

 

Quello che un tempo, a Pescosansonesco, si chiamava il Borgo, oggi, alle pendici meridionali della Pietra Solida, propaggine del monte La Queglia, sulla quale osserviamo i poderosi avanzi del castello quattrocentesco dei Cantelmo,  è il nucleo di Villa delle Grazie, da un’omonima chiesa, già molto frequentata.

 Questo tratto del territorio di  Pesco, sopraffatto nel frattempo dalle frane, conserva però un monumento, nei pressi di quello che fu, da metà Ottocento, l’antico cimitero di Santa Lucia.

 Si tratta della ‘fontana Romana’, vitale avamposto abitativo e, con ogni probabilità, originaria sede di stanziamento longobardo della zona.

 L’architettura manierista della fontana, di chiaro conio tardo cinquecentesco, dovuta sicuramente alla munificenza feudale dei Cantelmo, che, attorno al 1560, divenuti duchi di Popoli, con Giovan Giuseppe Bonaventura, seppero ritenere il castello di Pesco, elevato a dignità di contea. Ancora a fine Cinquecento vi ‘regnava’ Porzia Colonna, vedova del duca.

 Per quanto rimaneggiata, con toni classicheggianti, attraverso i restauri degli anni Settanta dell’Ottocento, essa tradisce e riconferma, come si vede, come già in pieno Cinquecento, la fondamentale importanza del luogo e, con esso, del predicato toponimico di ‘romana’, che è chiaramente derivato da ‘arimanno’.

 Perché echeggia, celandolo, il ben più remoto e germanico ‘hariman’: uomo libero, exercitalis, alla guida di un gruppo longobardo colonizzatore del territorio attorno all’area di ‘sculcula’ (posto di vedetta).

 Questa è l’area in questione, dove da secoli sgorga copiosa l’acqua che ha dato forza e distruzione alla stessa Pietra Solida, su cui, come accennai, si edificò nel tardo X secolo, il castello dei Sansoneschi, prontamente ‘fagocitato’ dai monaci casauriensi, attraverso l’opera instancabile dell’abate Adamo; quegli stessi Sansoneschi di stirpe franca che edificarono, nel territorio pescolano, nei primi decenni del Mille la chiesa di Santa Maria ‘in Blesiano’, poi – ‘vulgo docente – trasformatasi in ‘Ambrosiana’:pur senza velleità, diciamo, milanesi a cui riferirsi!

 La Fontana Romana sembra essere ancora, con ogni verosimiglianza, quella pubblica del primo Ottocento, ove un poverissimo ragazzo, orfano di madre e di padre, veniva a lavarsi le pezzuole, con cui fasciava la piaga sanguinante e purulenta del piede sinistro, la sua ‘spina ventosa’, che lo condurrà, diciannovenne, in Napoli, alla morte e  ragion per cui, inviso alle donne intente a lavarvi panni e cose domestiche, estremamente sospettose di veder quell’acqua inquinarsi, dovette a malincuore abbandonare.

 Nunzio Sulprizio (1817-1836) se ne cercò un’altra di fontana e, con l’aiuto di una povera donna che lo commiserava, scoprì la sorgente di Riparossa, a non molta distanza dall’abitato, ma in tutt’altra direzione rispetto alla prima e condizioni di praticabilità: dove, più tardi, quelle stesse donne sarebbero andate a pregarlo, a bagnarsi in quell’acqua, che il ragazzo aveva ‘sporcato’ e santificato, per ottenere grazie di guarigione!

(foto pesconsansonesco.eu)

La Fontana Romana, per la sua strategica importanza territoriale, ci fa pensare al Borgo, che  si sviluppò tutto intorno, come all’insediamento longobardo originario della zona, tra VII e VIII secolo, che venne, così, ad ereditare  il più antico assetto italico-romano della zona.

 Non a caso, in questa particolare località, poteva ammirarsi una lastra scolpita a rilievo, affissa alla piccola facciata di una chiesuola,  approssimativamente datata ai primi del secolo XIII, raffigurante san Michele Arcangelo: il santo per eccellenza – con Giovanni Battista, non lo si dimentichi, titolare della parrocchiale di Pescosansonesco – dei Longobardi!

Un inaudito microcosmo è quello della Fontana Romana, che reca le tracce, indelebili e vere, di una civiltà abitativa che si perde nella notte dei tempi.

 Non molto distante da essa agli inizi del Cinquecento qualcuno ascoltò ‘un coro di angeli inneggianti alla Vergine Maria’ e da qui il pubblico concorso fu lesto a edificarvi un sacello, che presto divenne chiesa e convento, affidati al Terz’Ordine Regolare di San Francesco e che, per quanto soppresso, nel 1809, mantenne intatto il suo rapporto con il vicino Borgo pescolano, sempre più attrattovi a venerare Sant’Antonio di Padova, invocato perfino dalla rupe alta del Paese!

 Luogo di passaggio, meta obbligata di approviggionamento idrico per l’asperrimo castrum pescolano in tutte le stagioni, la Fontana Romana può considerarsi sintesi ed emblema di una storia millenaria ancora tutta da scoprire e rivelare, attraverso gli intricatissimi rapporti tra i diversi e minuscoli insediamenti dei dintorni.

Non meraviglia, quindi, se la corrente rivisitazione del territorio si nutri – è proprio il caso di dirlo – di questa realtà storica, monumentale ed ambientale, attraverso l’iniziativa di un gruppo familiare, che ha creato un luogo di ristorazione, proprio alle propaggini di Pesco, denominandolo ‘L’antica Fonte Romana’.

 

Si può spesso discutere sulla valenza promozionale, a livello turistico e culinario, o dell’alimentazione, di simili adozioni toponimiche, che spesso nascondono, più che rivelare, realtà storico ambientali importanti e da tempo vittime della desuetudine. Nell’eterna storia dell’abbandono del territorio montano questi fenomeni, diciamo di rivitalizzazione socio culturale, potranno apparire misera cosa rispetto allo sforzo, irrimandabile, di vera e propria riscoperta dei luoghi, ma sicuramente essi concorrono, spesso colmando veri e propri vuoti promozionali e culturali, a conoscere, proprio in senso letterale, ciò che si è  processualmente abbandonato, isolato, dimenticato.

 Lorenzo, Maura e  Jacopo Antonacci, in un contesto socio-economico e culturale affatto semplice e facile, che è proprio delle ragioni moderne dell’abitare e dello stare nel territorio, propongono attraverso l’emergenza storica locale un rapporto antico, attraverso il cibo, con il territorio.

 Si potrà discutere e congetturare intorno alla sublime qualità di ‘trenette e asparagi con salsa tartufata, oppure ‘chitarrina con salsiccia e zafferano’, magari inebriata con profumo di tartufo, oppure e ancora ‘ravioli al radicchio e gorgongonzola’, piatti formidabili de ‘L’Antica Fonte Romana’, la cui  emblematica e misteriosa vicenda viene infine evocata attraverso la ‘sfogliatina della fonte’, un dolce caldo e freddo, come la temperie pescolana; si potrà ancor meglio apprezzare la squisita disponibilità di questi  veri e propri operatori culturali, nel solco di una iniziativa, economica e lavorativa, che, generalmente, molto spesso eredita le fragilità strutturali della formazione sociale all’interno della quale opera.

 Va comunque ribadita la valenza formativa di quel volersi radicare nella vicenda territoriale, dando luogo ad un viaggio della memoria, che recupera prepotentemente le ragioni stesse di Pescosansonesco a proseguire nella storia la sua irripetibile missione di ciliviltà. Con tutto il suo fardello di disperazione e di precarietà, ma anche di gioia e di cultura del vivere!

 In una Terra come la nostra, l’Abruzzo interno e dimenticato, quello selvaggio e ‘civilizzato’, dannunziano e michettiano, per restare al Pescarese, questo salutare bagno di storia vera, sociale e culturale e che si coniuga con l’arte dei cibi, esprime nei nomi stessi, con i gesti di una proposta di vita e di cultura, l’ansia rinnovata e rinnovabile di restare se stessi, di migliorarsi, senza perdere ‘la tenerezza’ nelle lotte più dure e avventurose!

Un tratto della magia sonora della Fonte Romana, come ogni acqua sorgiva, prende il cuore degli uomini, anche oggi, proprio dove la vita fu e resta difficile; proprio dove è ‘deserto’ l’acqua lenisce i dolori dei morsi della sete e continua a dare senso alle ragioni del nostro abitare. L’Antica Fonte Romana  da qualche anno ci educa, per questo, ad entrare nel paesaggio, a viverlo ed a sorbire la luce divina del cielo di Pesco: a sapere, così e meglio, chi siamo, nel vortice confuso ed orrendo di un divenire sociale che indurrebbe al disorientamento.

 

 

 

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