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Pubblicato il 15/06/2012 16:04

da Santo Stefano di Sessanio a Rocca Calascio

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di Gaetano Basti

 

In Abruzzo abbiamo dei luoghi magici. Territori che da sempre hanno visto il susseguirsi di religioni, popolazioni e culture che attraverso i secoli hanno sedimentato paesaggi ancestrali e di intense emozioni.

Partiamo da Santo Stefano di Sessanio, facilmente raggiungibile dalla Piana di Navelli. Il borgo medievale fra i più belli d'Italia vale sicuramente una visita. Può sembrare strano, infatti, passeggiando per le vie del borgo medievale, magnificamente conservato, imbattersi in molti rilievi in pietra raffiguranti lo stemma dei Signori fiorentini: fatto sta che, nel Cinquecento, Santo Stefano di Sessanio era un possedimento dei Medici, il loro quartier generale nella regione, un importante centro dove i toscani acquistavano la pregiata lana abruzzese, per poi spedirla a Firenze, dove sarebbe stata lavorata e venduta in tutto il mondo. Le prime notizie del borgo, chiamato Sextantio, risalgono al periodo romano, epoca durante la quale fu un pagus, ma le origini dell'impianto urbanistico odierno risalgono al periodo tra i secoli XI e XII, quando il paese assunse la connotazione di borgo fortificato raccolto attorno alla torre d'avvistamento. Santo Stefano di Sessanio era uno dei paesi che formavano la Baronia di Carapelle, venne donata nel 1463 da re Ferrante D'Aragona a suo genero Antonio Piccolomini, Duca di Amalfi.

Nell'avvicinamento al paese si incontrano i famosi “campi aperti”, campi nastroformi testimonianza di una economia armentizia e agricola che si rintegravano e non confliggevano.

Da Santo Stefano di Sessanio c'è la strada provinciale che porta a Campo Imperatore, dopo il secondo tornante sulla destra c'è uno slargo e l'invito a una carrareccia ben visibile. Parcheggiata la macchina si può prendere questa bella strada bianca che attraversa campi che un faticoso spietramento ha reso coltivabili. Anche qui è ancora possibile leggere la regola dei campi aperti che vanno però sempre più accorpandosi in forma quadrata. Il silenzio è rotto di tanto in tanto dalle cornacchie  o da falchetti che volano altissimi. Verso la fine dell'itinerario la salita, circa un'ora di cammino, si fa sentire ma è una fatica minima rispetto allo stupore e la maestà della Rocca che all'improvviso appare. Il castello e la chiesa ottagonale di Santa Maria della Pietà, insieme costituiscono un unicum e fanno di questo territorio in assoluto uno dei più belli del mondo. Dopo aver curiosato tra i resti del castello e aver goduto della vista di Santa Maria della Pietà con lo sfondo della cordigliera del Gran Sasso, si può scendere verso l'antico abitato di Rocca Calascio per molto tempo rimasto disabitato. La Rocca di Calascio sembra fusa con la roccia stessa della montagna: i suoi bastioni sono la naturale continuazione delle bianche pietre calcaree del massiccio su cui sorge; eppure non basta questo solido ancoraggio alla terra a non dare all'apparizione della rocca la fiabesca inconsistenza dei miraggi , perché alla solida struttura si contrappone la sua aerea posizione (1460 m s.l.m., il punto più alto della baronia), tanto che pare irraggiungibile a chi guarda da lontano. Qui l'ospitale rifugio della Rocca propone una cucina molto legata al territorio. Primi con la ricotta, agnello, salumi e un ricco carrello di dolci. Dopo questo meritato riposo si può riprendere, questa volta in discesa, la strada per Santo Stefano si Sessanio.    

 

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