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Pubblicato il 09/12/2012 10:10

Monti a Napolitano: mi dimetto

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Mario Monti passa al contrattacco e dopo l'annuncio di Berlusconi, intenzionato a scendere in campo per le elezioni e a togliere la fiducia al governo tecnico, annuncia le proprie dimissioni, una volta approvata la legge di stabilità. La contromossa di Mario Monti allo 'strappo' di Silvio Berlusconi spiazza persino Giorgio Napolitano, che apprende direttamente dal presidente del Consiglio le ragioni di una decisione che potrebbe portare ad una accelerazione della data del voto. Le urne potrebbero aprirsi a febbraio, anziche' a marzo come auspicato anche dal Quirinale.
Un'evoluzione inattesa, anche per alcuni stretti collaboratori del professore.

Il "Prof" è salito al Quirinale in serata, di ritorno da Cannes, dove si e' tolto parecchi sassolini dalle scarpe nei confronti di Berlusconi. Napolitano gli riferisce dell'esito dei colloqui avuti ieri con le forze politiche e i presidenti di Camera e Senato. Ma il premier non vuol sentire ragioni: considera le parole pronunciate da Angelino Alfano in Aula una 'categorica sfiducia' nei confronti del governo e della sua linea di azione'. Ragion per cui non se la sente di proseguire: meglio rassegnare le dimissioni. Prima verifichera' se le forze politiche che non intendono assumersi la responsabilità di provocare l'esercizio provvisorio - 'rendendo ancora piú gravi le conseguenze di una crisi di governo, anche a livello europeo' - siano pronte ad approvare 'in tempi brevi' le leggi 'di stabilità e di bilancio'. Ma un minuto dopo, ribadisce subito, formalizzero' le mie 'irrevocabili dimissioni'.
Parole che, come si intuisce dalla nota ufficiosa fatta trapelare piu' tardi dal Colle, spiazzano anche Napolitano. Che tenta di convincerlo, ricorda che la road map faticosamente costruita ieri con i partiti prevedeva l'approvazione di altri testi considerati rilevanti in primis da palazzo Chigi (dal decreto Ilva, al il pareggio di bilancio). Ma Monti e' irremovibile. Per lui, l'approvazione di quei provvedimenti e' certamente auspicabile, ma non indispensabile. Proprio perche' nel frattempo non intende farsi impallinare' in Aula. Il premier ha fretta. Punta al voto a febbraio. Esattamente come il Pd, come dimostra la repentina nota di Pier Luigi Bersani. Anche l'Udc plaude, mentre il Pdl sale sulle barricate.
Ma ormai il dado e' tratto. Il capo dello Stato si limita a 'prendere atto' della decisione del professore, dicendogli di 'comprendere' le ragioni di tanta amarezza. Il professore, con i suoi, si sfoga: non potevo starmene li' a farmi impallinare e logorare, dice secondo il resoconto di chi gli ha parlato.

Ora il premier deve decidere cosa fare: varcare il Rubicone della politica o restare un tecnico super partes, spendibile per il Colle o, in caso di pareggio, ancora a palazzo Chigi. Al momento, almeno dall'impressione di chi gli ha parlato, la bilancia pende in favore della prima ipotesi.

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