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Pubblicato il 25/06/2012 23:11

Achille Gaspari: "Vi racconto mio padre Remo"

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Un cognome importante, una carriera costruita quanto più lontano si possa immaginare dalla politica, conquistata nelle aule universitarie e all’interno delle sale operatorie, nelle mani una vita dopo l’altra da salvare. C’è un aspetto, però, che più di ogni altro lega il professor Lucio Gaspari a suo padre Remo. Al di là dell’impegno politico, strada appena imboccata dall’uno, ragione di un’intera vita per l’altro. E l’aspetto è questo, chiaro e tondo: entrambi si sono sentiti soprattutto figli. Attenzione però. Figli segnati da un rapporto tutt’altro che semplice con il proprio padre. Figli a distanza, anche se in modi diversi.

Remo Gaspari era figlio di un emigrante, onorava la memoria del padre Achille commuovendosi fino alle lacrime ogni volta che ne parlava, rivendicando un’assenza che pesava anche superata la soglia dei novant’anni. Lucio Achille Gaspari, invece, porta nel suo nome e nella strada che ha percorso un legame con il padre fatto di amore, ammirazione, continua ricerca di un contatto, ma anche di un’identità distinta, di un confronto da uomo a uomo, fatto di rispettivi bagagli culturali e affettivi. Fatto di rispetto. Lucio Gaspari ha scelto una strada tutta per sé, deviando dalla Facoltà di Legge a cui si era iscritto subito dopo la Maturità per raggiungere una dimensione professionale che fosse fatta su misura delle sue aspirazioni.

Oggi Lucio Gaspari ha deciso di entrare nell’agone politico, nelle file dell’UDC, perché il territorio nazionale e regionale ha bisogno di risposte a tante domande. Perché tutti, in un momento come questo, devono dare il proprio contributo. E perché buon sangue non mente e la politica, soprattutto quando la si respira da sempre, a un certo punto diventa un dovere. In questa intervista il professore si racconta, non si risparmia, entra nelle viscere stesse del rapporto con il padre, nelle ragioni che lo hanno spinto ad assumere un impegno diverso da quello medico. E, da chirurgo, offre anche il suo punto di vista sulla situazione della sanità abruzzese.

 

Quando era ragazzo che tipo di rapporto aveva con suo padre?

Un rapporto complesso da definire, ci si vedeva e si parlava poco e, talvolta, si verificavano degli intensi contrasti per futili motivi. Avevamo alcune passioni in comune: le automobili, le moto, le innovazioni tecnologiche, la musica, lo sport (in particolare l'automobilismo ed il calcio, argomenti in cui mio padre era ferratissimo) il nostro cane boxer di nome Full.

 

Come ha vissuto i momenti più drammatici della carriera di suo padre?

I momenti drammatici non sono stati pochi. Innanzi tutto due problemi di salute che ebbe. Il primo nel 1973, mentre era ministro della Sanità. Una mattina io ero già in servizio al Policlinico Umberto I° come assistente in Clinica Chirurgica, mio padre fu colto da un violento attacco vertiginoso, con nausea e difficoltà a mantenere la stazione eretta. Io fui chiamato telefonicamente e invitato a tornare subito a casa perché mio padre non si sentiva bene. Arrivai trafelato e l'autista e il poliziotto di servizio, che non sapevano nulla, mi guardarono con aria interrogativa. Io credetti di interpretare dalle loro espressioni la muta notizia della morte improvvisa di mio padre. Lascio immaginare con che stato d'animo salii tre piani di scale. Un celebre neurologo chiamato a visitarlo nel pomeriggio sentenziò che in meno di tre anni si sarebbe completamente rincretinito. Non è difficile capire cosa provai per lungo tempo: angoscia e incubi notturni procurati da questa storia. A lui non dicemmo niente subito, ma quando con il passare del tempo la profezia si dimostrò erronea gliela riferimmo, ci si faceva delle grosse risate. Altro momento drammatico fu durante la vigilia di Pasqua del 1986 quando a Gissi fu colpito da ictus. La telefonata mi giunse mentre ero a Piazza del Duomo a Milano (tradizionalmente passo le vacanze di Pasqua a Milano dai parenti di mia moglie). Partii subito in macchina per Roma anche con le mie bambine, sperando che potessero rivedere il nonno ancora vivo. Il danno fu serio, vertigini ed incapacità di mantenere la stazione eretta. Molti si fregavano le mani dalla soddisfazione, non tanto gli avversari quanto i compagni di partito: si stava liberando un bel posto! Ricevette però anche tantissime attestazioni di affetto. Voglio ricordare due grandi mazzi di rose rosse, uno mandato da Craxi e l'altro da Nilla Pizzi. La depressione durò solo 24 ore. Mai visto un uomo così coraggioso, determinato ed ottimista. Mi trasferii a casa sua per la rieducazione. Camminava per il corridoio con il girello. Dopo 25 giorni, a Quadri, a una manifestazione di partigiani percorse a passo da bersagliere quasi un chilometro. Una cosa da non credere! Quelli che gli volevano male avevano facce profondamente deluse.

Un altro periodo di grandi tensioni fu quello del terrorismo. Non volle una scorta "Non desidero – diceva - che qualche povero poliziotto ci rimetta la vita per difendermi, e poi più si è difesi, più un eventuale attacco sarà organizzato e potente. Non si aspettano che mi difenda da solo (aveva preso il porto d'armi e girava armato)”. Per uno che aveva fatto la Russia da Bersagliere la paura non esisteva. Anche io presi il porto d'armi. Una sera c'era una macchina ferma davanti al portone e due uomini che parlavano tra loro poco vicino. Mi insospettii e telefonai alle sede del partito per avvertirlo (mio padre era allora Vice segretario politico), ma era già uscito. Allora presi la mia rivoltella e scesi in strada, con mia madre che mi scongiurava di non farlo. Dopo qualche attimo quei due salirono sulla macchina e si allontanarono velocemente. Chi erano? Non l'ho mai saputo.

 

E le difficoltà politiche?

Di difficoltà politiche mio padre ne ha avute molte: lotte, traversie, tradimenti, ma a casa non ne parlava  e io e mia madre non ne sapevamo nulla. Al massimo si vedeva che era preoccupato perché appariva taciturno e seguiva il filo dei suoi pensieri.

Per le elezioni del 1968 si respirava un clima di tensione causato dalla rivalità con Natali che io stesso avvertii. In una riunione al teatro Marrucino con il suo capo corrente Taviani ci fu una irruzione di provocatori con fischietti che disturbarono fortemente l’incontro. La cosa ebbe grande eco. Si disse che l'arcivescovo di Chieti fosse contrario a mio padre e che la fine della sua carriera politica fosse dietro l'angolo. Decise di tenere il comizio di chiusura a Chieti in Piazza san Giustino. Io e mia madre venimmo da Roma per stargli vicino. Una cosa del genere non l'avevamo mai fatta. La serata era bellissima, la piazza che avrebbe poi visto la sua cerimonia funebre era gremita di sostenitori ma anche di curiosi. Il discorso fu straordinario! Passò dalla politica locale a quella nazionale ed internazionale. Alla conclusione venne a parlare degli attacchi personali ricevuti. lo fece con calma, li confutò con compostezza. Ricordò ai cittadini presenti che era uno di loro, che come molti di loro aveva sofferto la povertà, le difficoltà del futuro, la lontananza del padre emigrato. Molti, travolti dalla commozione, piangevano. Fu un'apoteosi, una serata indimenticabile. Cosa pagherei per risentire la registrazione di quel discorso se esiste. Ma forse è meglio così, il ricordo dilata e abbellisce tutto. Naturalmente il suo successo elettorale fu straordinario. L'anno dopo divenne ministro.

Come non ricordare poi l'agosto della frana in Val di Pola nel 1987. Aveva tutti contro: stampa, opposizione. Il suo capo di gabinetto gli consigliò di dimettersi. Non lo fece nella coscienza che altri al suo posto avrebbero fatto peggio. Seguii in televisione (era una domenica) l'esito della tracimazione. Il telecronista, forse per desiderio di spettacolo, tifava per il disastro. Invece fu un successo straordinario determinato solo da lui, che se ne era assunto tutta la responsabilità. Il 19 luglio di quest'anno ci saranno celebrazioni dell'evento in Valtellina ed in Val Brembana. Ci sarebbe dovuto andare lui, ci andrò io.

Nonostante il successo dell'operazione il PCI non rinunziò a presentare una mozione di sfiducia . Si discusse a settembre prima alla Camera poi al Senato. Lo avevano sottovalutato: era un grande avvocato. Si difese brillantemente (io ascoltavo la diretta su Radio Radicale). La camera era gremita, l'oratore comunista (era un parlamentare di rilievo) fu fatto a pezzi. Subito dopo al Senato che era semi vuoto il PCI affidò l'accusa ad un senatore di scarso rilievo: la partita era ormai persa.

 

Qual è stato il percorso che l'ha portata ad abbracciare l'impegno politico?

Mi sono sempre interessato di politica ma, anche per la contrarietà di mio padre, non mi sono mai iscritto ad un partito politico. Mio padre riteneva l'attività politica troppo assorbente e stressante. Aveva immaginato per me una carriera da magistrato amministrativo tendente, se ne avessi avuto le capacità, a pervenire al Consiglio di Stato. La riteneva attività intellettualmente valida, ma che non sottrae troppo tempo agli impegni familiari. Io invece ho scelto una attività, quella del docente universitario e del chirurgo, che è piena di fatica anche fisica, di stress, di pericolo (ho contratto l'epatite B in sala operatoria. Meglio è andata con le denunce da cui sono sino ad ora immune), che sottrae tempo alla vita familiare anche di notte e nei giorni festivi. Negli ultimi tempi, osservando la grave situazione dell'Italia e del nostro Abruzzo, mi sono detto che quando le cose si mettono male tutti devono dare il loro contributo, piccolo o grande che sia. Per questo ho deciso un mio impegno diretto, dal momento che era gradito ai dirigenti del mio partito. In questa ultima fase mio padre aveva rimosso la sua contrarietà.

 

Secondo lei come è stato gestito il problema della Sanità in Abruzzo? Quali sarebbero state o potrebbero essere le soluzioni più adeguate?

Nell'agosto del 2010 ebbi l'opportunità di incontrare la dottoressa Baraldi, dopo aver studiato il piano di riordino della Sanità in Abruzzo da lei approntato.

Le mie osservazioni furono da lei ascoltate, ma non si tradussero in alcuna azione. Come si dice a Roma, mi aveva dato ragione come ai pazzi. Ma in realtà non tener conto dell'evoluzione demografica della popolazione, tendente entro 20 anni ad accentuare il suo invecchiamento, non è una cosa da pazzi!

Non si può trattare l'assistenza sanitaria in modo avulso dal sistema sociale. Se ai paesi dell'interno togliamo i servizi la gente li abbandonerà, per rifugiarsi nelle periferie delle città della costa. Questo significa degrado del territorio, isolamento e depressione degli anziani sottratti al loro ambiente, pericolo di cadere nella micro criminalità e nell'uso delle droghe per i giovani. È evidente che in ogni ospedale non si può avere tutto per tutti, ai costi non corrisponderebbe la qualità. E allora mi chiedo, quale senso ha un centro per i trapianti cardiaci a Chieti? Ci sono volumi che giustificano questo impegno? Prima di chiudere gli ospedali non in deficit si dovrebbero riorganizzare seriamente le Unità Operative degli ospedali che invece in deficit sono. La spesa di un ospedale per il 70% è data dagli stipendi, una chiusura fa risparmiare poco ma colpisce fortemente la qualità dei servizi offerti. Ci risponderanno che non hanno chiuso gli ospedali ma li hanno ricondizionati. Andate a sentire cosa ne pensano però i cittadini che se ne servivano. Prima di ridurre i letti non necessari perché i ricoveri impropri e l'eccesso di ospedalizzazione viene corretto, bisogna creare sul territorio servizi davvero efficienti o il peso della malattia e della limitata auto sufficienza ricadrà sulle spalle delle famiglie, come sta ora accadendo. Non vedo oggi questa efficienza dei servizi territoriali,  che dovrebbero avere invece punte di eccellenza nella prevenzione e nella riabilitazione. Una ASL per provincia è una cosa buona, ma se si vuol perseguire davvero l'efficienza è necessario separare amministrativamente le attività territoriali da quelle ospedaliere, creando una vera rete ospedaliera interconnessa. Non si tratta di fantasie. Andate a vedere l'organizzazione di Boston e di Baltimora, studiate le soluzioni perseguite a New York dalla Cornell University e vedrete come si può trasformare un ospedale che perdeva milioni di dollari a a settimana in un’azienda economicamente sana e clinicamente efficiente.

Non credo si possa dire tutto in poche parole, ma ci sarà tempo e modo per approfondire i problemi e cercare di risolverli.

 

 

Valeria Masciantonio

 

Di seguito l'intervista di Achille Gaspari al convegno «Quali riforme della politica e dello Stato per vincere la crisi» svoltosi a Chieti.


 

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