Grande eco sui giornali nazionali ha avuto la sentenza di primo grado sul processo Sanitopoli. Giornale, Corriere della Sera, Libero e il Foglio hanno parlato del caso che ha visto condannato l'ex governatore Del Turco a 9 anni e 6 mesi. Di seguito alcuni degli articoli principali
L'articolo del Giornale a firma di Gian Marco Chiocci
In dubio pro reo. Nel dubbio - dicevano i latini - decidi a favore dell'imputato. Duole dirlo, e non ce ne voglia il collegio giudicante del tribunale di Pescara, ma la locuzione dei padri del diritto sembra sfilacciarsi nel processo all'ex presidente della Regione Abruzzo, Ottaviano Del Turco.
L'ex governatore della Regione Abruzzo Ottaviano Del Turco
Processo che in assenza di prove certe s'è concluso come gli antichi si sarebbero ben guardati dal concluderlo: con la condanna del principale imputato e dei suoi presunti sodali. Qui non interessa riaprire il dibattito sulle sentenze da rispettare o sull'assenza o meno di un giudice a Berlino. Si tratta più semplicemente di capire se una persona - che su meri indizi è finita prima in cella e poi con la vita politica e personale distrutta - di fronte a un processo per certi versi surreale, contraddistintosi per la mancanza di riscontri documentali, possa beccarsi, o no, una condanna pesantissima a nove anni e sei mesi (non nove mesi, come ha detto erroneamente in aula il giudice). Noi crediamo di no. E vi spieghiamo perché.
In cinque anni nessuno ha avuto il piacere di toccare con mano le «prove schiaccianti» a carico dell'ex governatore Pd di cui parlò, a poche ore dalle manette, l'allora procuratore capo Trifuoggi. Un solo euro fuori posto non è saltato fuori dai conti correnti dell'indagato eccellente, dei suoi familiari o degli amici più stretti, nemmeno dopo centinaia di rogatorie internazionali e proroghe d'indagini. E se non si sono trovati i soldi, nemmeno s'è trovata una traccia piccola piccola di quei soldi. Quanto alle famose case che Del Turco avrebbe acquistate coi denari delle tangenti (sei milioni di euro) si è dimostrato al centesimo esser state in realtà acquistate con mutui, oppure prima dei fatti contestati o ancora coi soldi delle liquidazioni o le vendite di pezzi di famiglia. Non c'è un'intercettazione sospetta. Non un accertamento schiacciante. Non è emerso niente di clamoroso al processo. Ma ciò non vuol dire che per i pm non ci sia «niente» posto che nella requisitoria finale i rappresentanti dell'accusa hanno spiegato come l'ex segretario della Cgil in passato avesse ricoperto i ruoli di presidente della commissione parlamentare Antimafia e di ministro dell'Economia, e dunque fosse a conoscenza dei «sistemi» criminali utilizzati per occultare i quattrini oltre confine. Come dire: ecco perché i soldi non si trovano (sic !).
Per arrivare a un verdetto del genere i giudici, e in origine i magistrati di Pescara (ieri assolutamente sereni prima della sentenza, rinfrancati dalla presenza a sorpresa in aula del loro ex procuratore capo) hanno creduto alle parole del re delle cliniche abruzzesi, Vincenzo Maria Angelini, colpito dalla scure della giunta di centrosinistra che tagliava fondi alla sanità privata, per il quale i carabinieri sollecitarono (invano) l'arresto per tutta una serie di ragioni che sono poi emerse, e deflagrate, in un procedimento parallelo: quello aperto non a Pescara bensì a Chieti dove tal signore è sotto processo per bancarotta per aver distratto oltre 180 milioni di euro con operazioni spericolate, transazioni sospette, spese compulsive per milioni e milioni in opere d'arte e beni di lusso. Distrazioni, queste sì, riscontrate nel dettaglio dagli inquirenti teatini. Da qui il sospetto, rimasto tale, che il super teste possa avere utilizzato per sé (vedi Chieti) ciò che ha giurato (a Pescara) di avere passato ai politici.
Nel «caso Del Turco» alla mancanza di riscontri si è supplito con le sole dichiarazioni dell'imprenditore, rivelatesi raramente precise e puntuali come dal dichiarante di turno pretendeva un certo Giovanni Falcone. Angelini sostiene che prelevava contanti solo per pagare i politici corrotti? Non è vero, prelevava di continuo ingenti somme anche prima, e pure dopo le manette (vedi inchiesta di Chieti). Angelini giura che andava a trovare Del Turco nella sua casa di Collelongo, uscendo al casello autostradale di Aiello Celano? Non è vero, come dimostrano i telepass, le testimonianze e le relazioni degli autisti, a quel casello l'auto della sua azienda usciva prima e dopo evidentemente anche per altri motivi. Angelini dice che ha incontrato Del Turco a casa il giorno x? Impossibile, quel giorno si festeggiava il santo patrono e in casa i numerosi vertici istituzionali non hanno memoria della gola profonda. Angelini porta la prova della tangente mostrando una fotografia sfocata dove non si riconosce la persona ritratta? In dibattimento la difesa ha fornito la prova che quella foto risalirebbe ad almeno un anno prima, e così cresce il giallo del taroccamento. Angelini corre a giustificarsi consegnando ai giudici il giaccone che indossava quando passò la mazzetta nel 2007, e di lì a poco la casa produttrice della giubba certifica che quel modello nel 2007 non esisteva proprio essendo stato prodotto a far data 2011. Questo per sintetizzare, e per dire che le prove portate da Angelini, che la difesa ribattezza «calunnie per vendetta», sono tutt'altro che granitiche come una sana certezza del diritto imporrebbe. Se per fatti di mafia si è arrivati a condannare senza prove ricorrendo alla convergenza del molteplice (il fatto diventa provato se lo dicono più pentiti) qui siamo decisamente oltre: basta uno, uno soltanto, e sei fregato. «Basta la parola», recitava lo spot di un celebre lassativo. Nel dubbio, d'ora in poi, il reo presunto è autorizzato a farsela sotto.
L'intervista a Repubblica
'Da tre mesi so di avere un tumore, da due sono in chemioterapia. Domani andro' a Roma a chiedere al professor Mandelli di darmi cinque anni di vita, cinque anni per dimostrare la mia innocenza e riabilitare la giunta della Regione Abruzzo che ho guidato''. Lo dice a Repubblica l'ex governatore dell'Abruzzo Ottaviano Del Turco, condannato per tangenti nella sanita' privata abruzzese, intervistato oggi anche da altri quotidiani nazionali. ''Mi hanno condannato senza una prova applicando in maniera feroce il teorema Angelini - spiega al quotidiano diretto da Ezio Mauro -. Oggi in Italia molti presidenti di corte sono ex pm che si portano dietro la cultura accusatoria. Il risultato, spaventoso, sono nove anni e sei mesi basati sulle parole di un bandito. Ho preso la stessa condanna di Tortora, e questo mi da' sgomento''. Il Pd? ''Ha cosi' paura dei giudici che non e' neppure capace di difendere un suo dirigente innocente''.
Il Corriere della Sera
Accarezza Nero, un cagnone che tiene bene fede al suo nome. Sussurra: 'Nella mia vita credo di aver trovato parole per tutto e in tutte le occasioni, ma questa volta no, le parole non riesco davvero a trovarle'. Nove anni e sei mesi di condanna per l'accusa di aver preso tangenti quando era governatore dell'Abruzzo... 'Appunto. Cosa posso dire? E' talmente assurdo' Avrebbe pagato tangenti a Vincenzo Angelini, ex patron delle cliniche abruzzesi.... 'Gia' e sono passato dall'accusa di concussione a quella di corruzione. Ovvero: secondo questa accusa Angelini mi avrebbe dato dei soldi, cioe' mi avrebbe corrotto, perche' io lo trattassi male. Perche' portassi al disastro la sua clinica, come lui stesso ha dichiarato'. Cosa vuole dire? 'Vincenzo Angelini si e' lamentato che io abbia mandato i controlli nella sua clinica, Villa Pini, dove si lucrava sui soldi pubblici. Dove, per questo motivo, si faceva risultare che un letto veniva usato dieci volte. Una brutta abitudine della sanita' di qui. In Abruzzo, quando io ero piccolo, per l'epistassi, il sangue dal naso, i ragazzini venivano ricoverati. Mia madre mi tamponava il naso con la garza'. Cosa intende? 'Che contro questi sprechi io ho fatto leggi e preso provvedimenti nella sanita' abruzzese che nessuno aveva avuto mai il coraggio di prendere. E che l'attuale governatore del centro destra, Chiodi, ha avuto il merito di mantenere. Angelini sostiene che con tutti questi provvedimenti io l'avrei rovinato. Ah si'? E allora che motivo c'era di continuare a corrompermi? Ad un uomo che ti rovina tu continui a pagare soldi in tangenti?'. Ma allora secondo lei perche' Angelini l'avrebbe accusata? In questo processo si e' autoaccusato ed e' stato condannato anche lui... 'Angelini ad un certo punto si era accorto che era fallito e che era fallito anche il suo tentativo di vendere la sua clinica Villa Pini a De Benedetti. E ha voluto vendicarsi. L'accusa ha anche cercato di portare in aula Carlo De Benedetti come testimone a favore. Se lo e' ritrovato come testimone contro'. Come mai? 'Semplicemente perche' De Benedetti ha testimoniato che Villa Pini era tecnicamente fallita sin dal 2003. Ma non e' servito neanche questo'. I giudici hanno sostanzialmente creduto a tutto l'impianto accusatorio della Procura di Pescara, per un processo durato piu' di due anni... 'Ma non hanno prove. Non hanno trovato un centesimo di queste tangenti. Lo ha testimoniato in aula un colonnello della Guardia di Finanza, il colonnello Favia, non i miei avvocati difensori'. Cosa ha detto in aula al processo il colonnello Favia? 'Che hanno rigirato tutti i miei conti e fatto anche rogatorie. E di questi milioni di euro di tangenti non e' stato trovato nulla. E ha spiegato che tutti i soldi transitati sui miei conti erano soldi tracciati e tracciabili. Bonifici, assegni, versamenti regolari. E come avrei fatto a nascondere i soldi visto la frequenza con cui Angelini diceva di portarmeli?'. Con quale frequenza? 'Secondo Angelini c'e' stato un periodo in cui veniva a casa mia un giorno si' e l'altro pure con 250 mila, 750 mila euro e chissa' piu' quanti. Non e' facile cosi' nascondere i soldi in giardino o portarli in Svizzera. La verita' e' che io con la mia giunta ho dato fastidio ai poteri forti di Pescara ed ero diventato scomodo'. Poteri forti? 'La notizia del mio arresto fu data dieci giorni prima che avvenisse al Rotary di Pescara. La donna che doveva testimoniare questa cosa e' morta d'infarto'. Impugnera' la sentenza? 'Certo. Sperando che serva per capire quanto e' importante fare una riforma della giustizia, cominciando con il separare le carriere. Il giudice che mi ha condannato era pm fino a tre anni fa. E mi ha inflitto la stessa pena che venne inflitta ad Enzo Tortora'
Cazzola: scandaloso il silenzio del PD
"Accanto allo scandalo della sentenza che ha condannato Ottaviano Del Turco ce ne sta un altro ben piu' grave: quello di un vile silenzio. Tacciono su questa incredibile vicenda il Pd di cui Del Turco e' stato tra i fondatori e la Cgil dove egli ha trascorso meta' della vita. Tace Guglielmo Epifani che a Del Turco deve gran parte della sua carriera. Credo che sia questo silenzio assordante ad addolorare di piu' Ottaviano". Cosi' Giuliano Cazzola, ex sindacalista e amico di Ottaviano Del Turco.
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