La Corte di Cassazione ha respinto, giudicandolo inammissibile, il ricorso di due veterinari pubblici dell'Aquila - P.I., Direttore del Servizio Veterinario di Sanita' Animale della ASL dell'Aquila - e M.P., veterinario del Servizio Veterinario di Sanita' Animale della stessa ASL - condannati in appello per l'uccisione di 9 cuccioli di cane poiche' il canile non avrebbe avuto posti disponibili. La sentenza di condanna e' dunque definitiva. In primo grado la condanna era stata di due mesi e dieci giorni di reclusione.
I fatti risalgono alla seconda meta' del 2004, quando il dirigente veterinario ordino' al proprio collega la soppressione di nove animali, per presunti motivi di "ordine pubblico" in base alla richiesta, legittima secondo la difesa, del proprietario del terreno dove vivevano gli animali che invece aveva chiesto solamente un intervento per farli accudire da qualcuno. I cuccioli vennero uccisi con un'iniezione di Tanax eseguita dal dipendente della Asl su ordine del proprio dirigente. Fatti denunciati dalla LAV e dalla Lega nazionale per la Difesa del Cane. Negli atti e' emerso anche l'agghiacciante particolare che non era la prima volta che i veterinari Asl eseguivano uccisioni del genere.
"La sentenza va a ribadire quanto da noi sostenuto fin dall'inizio - spiega l'avvocato Carla Campanaro, dell'Ufficio Legale Lav - ovvero che il rapporto fra cane e proprietario giuridico non puo' essere ridotto ad una banale disponibilita' dell'uomo sull'animale, ma deve tener conto della capacita' di soffrire di quest'ultimo, in quanto essere senziente meritevole di tutela. Gia' in primo grado il Tribunale dell'Aquila aveva rilevato che grazie all'allora recentissima legge sul maltrattamento di animali, la 189 del 2004, 'il proprietario non ha piu' la totale disponibilita' dell'animale, ne' puo' infliggergli gratuite sofferenze ne' toglierli la vita senza valide giustificazioni'. Un'evidenza sottolineata anche dalla sentenza d'appello del 2011, che oggi trova riconoscimento una volta per tutte nella decisione della Cassazione".
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