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Pubblicato il 10/04/2015 10:10

Cibo e dignità, un pranzo alla Caritas

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di Giulia Grilli

Alle 12 di ogni giorno sono pronti in fila con il cartellino numerato nella mano. Prendono il loro vassoio, il bicchiere colorato e procedono fino alla fine del bancone scegliendo tutto il menù o solo una parte di esso. Sono uomini privi di volto, privi di identità per chiunque cerchi di disturbare la loro pace. Sono gli ospiti della mensa della Caritas in fila per un piatto di dignità.

 

In cucina, nel mentre, c'è un vero e proprio esercito di volontari, pronti a lavare, pelare, cucinare e servire il pasto a chi è ospite della Cittadella dell'Accoglienza in via Alento a Pescara. "Se non ci fossero loro, faremmo fatica ad andare avanti", racconta Corrado De Dominicis, responsabile dell'ufficio comunicazione per la Caritas. "La struttura vive grazie all'otto per mille, ad alcune donazioni dei privati e al lavoro quotidiano dei volontari". Gli agricoltori del mercato la Valle della Pescara offrono frutta e verdura due volte a settimana, mentre un servizio interno ritira il pane in avanzo da alcuni forni convenzionati della città.

 

"La mensa ha 180 posti a sedere, e ogni giorno vengono più di trecento persone tra il pranzo e la cena" continua Corrado. "Tanti sono immigrati, gli homeless sono pochi, mentre contiamo alcuni anziani che non arrivano a fine mese con la pensione, e che dopo aver saldato l'affitto e le utenze non hanno un centesimo per il cibo. In altre situazioni c'è chi, dovendo pagare gli alimenti in seguito al divorzio, non ha nulla di cui vivere".

 

 

Erminio Di Filippo, responsabile dell'intera struttura, racconta che in mensa può arrivare il clandestino come il direttore di banca senza alcuna distinzione. "Non prendiamo i nominativi degli ospiti, non chiediamo a nessuno di rivelare la propria identità, o almeno non ancora. Siamo sempre partiti dal presupposto che solo la difficoltà, economica o sociale, possa essere l'unica causa in grado di condurre queste persone qui per un pasto".

 

Il problema più grande da affrontare quotidianamente è lo stato psichico degli utenti. Le regole della Cittadella sono chiare: non arrivare sotto l'effetto di alcool o stupefacenti ed evitare gli scontri. "Purtroppo non c'è una presa in carico del soggetto psichiatrico da parte della struttura statale", spiega Erminio, "perché molto spesso queste persone sono prive di residenza, e la Asl o il Comune non ne hanno competenza legale. Ma la loro vita si svolge sul territorio da anni e non è possibile che nessuno faccia niente".

 

 

E allora c'è chi si siede a tavola carico dei suoi demoni, in perenne conflitto con una legge che non comprende, con un sistema che non gli appartiene, con una cultura in cui non si ritrova. In fuga dal paese natio per evitare la morte sotto gli scontri più feroci, o semplicemente rinchiuso nella solitudine di quattro mura, ma con il frigo vuoto. Gli scontri avvengono, Erminio non lo nega, ma gli interventi sono immediati, mentre gli altri ospiti fanno finta di non vedere e non sentire. I soggetti più violenti o pericolosi vengono allontanati dai volontari nell'amarezza di non poter donare loro né cibo né calore umano.

 

La crisi economica ha causato un aumento del numero dei commensali, mentre le guerre in Africa hanno portato a un enorme incremento dei profughi dislocati in tutto il territorio italiano. " Fino a due anni fa la mensa si trovava in via Bardet" racconta Erminio, "dove potevamo accogliere più o meno cento persone, sia a pranzo che a cena. Adesso siamo arrivati a circa trecentoquaranta utenti quotidiani. E' vero che abbiamo anche un elevato numero di immigrati: dalla quindicina del 2014, oggi ne contiamo una settantina per ogni pasto".

 

 

Nella mensa della Caritas il rapporto con il cibo è più problematico di quanto si possa pensare. Il volontario che vede il povero dall'altra parte del bancone, crede che l'affetto e la compassione debbano passare attraverso le quantità servite, per cui finisce con il riempire il piatto di duecento grammi di pasta al posto dei classici centoventi.

 

"Dall'altro lato abbiamo l'ospite che, pensando che la vita gli abbia tolto tutto, pretende pasti sempre più abbondanti per saziare un vuoto interiore, in realtà incolmabile. Questa doppio meccanismo crea sprechi enormi, ed è per questo che siamo intervenuti su entrambi i fronti" conclude Erminio. " I volontari sanno che i piatti vanno serviti in giuste dosi, mentre i commensali possono richiedere ulteriori razioni semplicemente alzando la mano".

 

Alle 12 di ogni giorno i primi ospiti si affacciano in sala, in lotta con il proprio orgoglio ormai perduto. L'odore del sugo riempie la mensa sovrastando il sentore di una vita annientata, mentre sul muro bianco la scritta in verde brillante recita: L'amore non vive di parole né può essere spiegato a parole.

 

 

 

Foto di Giulia Grilli

 

 

© Riproduzione riservata

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