Sarà inaugurata il prossimo 16 luglio, negli spazi di The Urban Box, in via Piave a Pescara, la mostra di uno dei più noti esponenti della street artist mondiale, Obey. Organizzata dal giovane Lorenzo Marone, titolare dello spazio polivalente in cui arte e moda si fondono ormai da quattro anni, l'esposizione durerà fino al 12 agosto, e comprenderà 13 opere, di cui tre originali e dieci serigrafie.
All'anagrafe Frank Shepar Fairey, l'artista statunitense inizia il suo percorso creativo nel 1989 con il progetto Andrè the Giant Has a Posse, disseminando le strade della sua città di stickers che ritraevano il volto del wrestler Andrè the Giant. Lo scopo della campagna era quello di produrre un fenomeno sociale per far riflettere i cittadini sul proprio rapporto con il tessuto urbano. Ben presto altri street artist americani rispondono all'iniziativa, ricreando lo stesso fenomeno in altre città. "L'intento di Shepard Fairey non era quello di far conoscere il suo nome, bensì quello di creare curiosità e domande su quanto l'ambiente in cui viviamo possa influenzarci. Ben presto la sua identità venne rivelata e molti furono i nuovi progetti sviluppati" spiega Lorenzo. "A metà degli anni Novanta, Fairey iniziò a diffondere immagini riguardanti la prima e la seconda guerra mondiale. Il filone promuoveva i totalitarismi e la chiamata alle armi tramite la rilettura dell'artista. Anche questa volta non era il contenuto ad essere importante, bensì la risposta del pubblico. In molti si ricorderanno l'immagine di zio Sam con la scritta I Want You". Questo è il periodo in cui, per la prima volta, lo street artist si fa chiamare Obey.
"Il vero boom arriva con le presidenziali, quando Fairey crea un manifesto raffigurante il volto di Obama e la scritta Hope. Scende in strada, con un banchetto e un po' di poster, e inizia a venderli. Quell'immagine è poi diventata il manifesto, mai ufficializzato dagli addetti ai lavori, della campagna elettorale del candidato Obama che, in seguito alla vittoria, ha ringraziato Obey per il supporto e per averlo inserito come soggetto della sua arte".
Lorenzo ma come sei riuscito a portare Obey a Pescara?
Il contatto nasce più di un anno fa quando, casualmente, ho deciso di inviare una mail al suo indirizzo di posta indicato sul sito per descrivere la filosofia del mio negozio e il progetto che avrei voluto sviluppare. Obey, oggi, è ancora più famoso per la linea di t-shirt, felpe e cappellini e questo è proprio il fulcro di The Urban Box, ovvero quello di trasportare l'arte nell'abbigliamento e viceversa. Per me sarebbe stato un bel traguardo avere qui le sue opere, e ora sono riuscito a realizzarlo.
Quindi hai avuto risposta positiva a quella mail!
Dopo più tentativi si, mi hanno risposto i suoi curatori. Abbiamo iniziato a ideare la mostra e negli ultimi tempi ho stretto rapporti anche con la Obey Italia: in diversi paesi europei ci sono sezioni distaccate che gestiscono sul territorio sia la parte relativa all'abbigliamento che quella artistica. Alla fine abbiamo stabilito che le opere saranno tredici, tutte in vendita, compresa quella di dimensioni più grandi, due metri per due.
Cosa ti aspetti da questa mostra?
Sono un po' critico, a volte credo che questo sia stato più un cruccio che volevo togliermi che il desiderio di avere una buona risposta dal pubblico. Nel nostro paese il mondo della urban art è ancora bistrattato e Obey è conosciuto principalmente per la linea di abbigliamento. In pochi sanno che dietro al brand c'è il lavoro di un vero e proprio artista. Inoltre, la contraffazione dei suoi capi è altissima. Resta un grande punto interrogativo che non ho avuto quando sono riuscito a portare per la prima volta in Italia Joan Cornellà, famoso illustratore e fumettista spagnolo.
E per te, quindi, cosa vuol dire aver raggiunto quest'obiettivo da solo e senza alcun aiuto?
E' un grande risultato come curatore. Il nome di Obey nel curriculum potrebbe rendere, in futuro, tutto più facile in termini di contatti con nuovi artisti. Certo, il momento è particolare, sono cosciente delle difficoltà che sto affrontando, ma lamentarsi senza proporre alternative non avrebbe senso. In altre parti del mondo, importanti musei, nelle sezioni permanenti, hanno incluso opere di grandi street artist, mentre qui questo riconoscimento ancora non è avvenuto. Il cammino è lento e lungo, ma spero che le cose possano cambiare anche in Italia dove, attualmente, l'arte concettuale è sicuramente più diffusa di quella che io cerco di far conoscere con queste esposizioni. Una cosa è certa, nel mio piccolo sono riuscito a fare ciò che altri non hanno fatto!
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