È un vagabondo e ha l'animo gitano. La sua musica è un mix di culture, ritmi e melodie che esprimono le influenze di una storia intera, quella italiana. Alessandro Nosenzo, trentacinquenne pescarese, esce con l'album Io Vengo dal Sud, e racconta la società contemporanea secondo il suo personalissimo punto di vista.
Inizia a suonare la chitarra a otto anni, studiando musica classica, per passare poi al jazz. Finite le scuole svolge qualsiasi impiego perché le umili origini lo spingono a cercare costantemente lavoro, mentre la sera suona nei locali. Un giorno comprende di dover assecondare i suoi sogni perché "è meglio vivere povero che schiavo". Decide, quindi, di dedicarsi esclusivamente alla musica diventando, infine, un cantautore.
Alessandro, quando hai scritto la tua prima canzone?
Poco tempo dopo il terremoto dell'Aquila. Assieme alla terra si è smosso qualcosa dentro me, e le parole hanno iniziato a venir fuori. Quel giorno del 2009 ero a Maastricht a suonare, ma fino ad un mese prima avevo vissuto proprio in quella città, ormai distrutta dal sisma. Fino ad allora ero solo uno strumentista, un chitarrista, ma ho sentito l'esigenza di dovermi esprimere anche con i testi.
Quando hai capito che la musica sarebbe stata il tuo futuro?
Da bambino, per me era uno sogno. Ma dal momento in cui ho abbandonato tutto per inseguirlo è iniziato un periodo durissimo che è durato anni. Quando scegli di vivere esclusivamente di arte, tutto diventa una lotta quotidiana, una sopravvivenza. Devi imparare a gestire pochi soldi, a viaggiare continuamente, mentre attraversi un percorso dove ti ritrovi da solo a fare i conti con te stesso.
E ora, invece, sei arrivato a pubblicare il tuo album Io vengo dal Sud con la Cinik Internationl Recording. Ma cosa significa questo titolo?
Si, esatto! Finalmente ho raggiunto un bel traguardo. Il titolo è una presa di posizione rispetto ai modi di dire, perché le parole hanno un peso. Se tutti affermano che il Sud sia povero, io voglio rivalutarlo perché per me è meraviglioso. Sono cresciuto in un postaccio, alla periferia di Pescara, nel quartiere di Rancitelli. Quindi si, io vengo dal sud!
Credi che questo quartiere ti abbia segnato e che abbia potuto influenzare i tuoi testi?
A Rancitelli ho conosciuto gli eroi e i cattivi, ho imparato sin da piccolo a cavarmela e saper vedere le sfaccettature dell'animo umano. Scrivere una canzone è come scrivere una novella e se non hai spirito di osservazione, se non hai nulla da raccontare, come pensi di riuscirci?
Gipsy, balcan, manouche: sono tutti termini che possiamo utilizzare per definire il tuo sound. Esiste un legame tra i rom e l'ispirazione che trai dalle loro melodie?
Si, credo che esita, ma il giro per arrivare a queste sonorità è stato molto strano! Gli zingari di Rancitelli non fanno musica, hanno un cultura neo melodica napoletana, ascoltano Gigi D'Alessio per intenderci. Io ho scoperto sia la loro cultura che la storia musicale viaggiando, ritrovandomi a suonare nelle loro terre e assorbendo tutto ciò che potevo. Ma la mia, alla fine, è musica mediterranea.
Ovvero?
E' un gran calderone, c'è tanta Italia in quello che suono. E con questo intendo dire che il nostro paese è sempre stato un porto, noi siamo il risultato di una contaminazione che è durata millenni. Siamo stati influenzati da popoli diversi e la nostra cultura, compresa quella musicale, ne è il risultato. La musica mediterranea esprime, quindi, le nostre origini.
L'uscita di un album è una grande responsabilità, un salto nel buio. Hai paura che qualcosa possa non funzionare?
Si, ho sempre paura. Di non farcela, di non avere le forze necessarie. Sono padre di un bimbo di un anno e mezzo e un marito, e temo di poter crollare da un momento all'altro, perché non è facile. E' come se viaggiassi costantemente sulle montagne russe, ma so che questo tipo di vita mi dà coraggio. Si può vivere di musica? Si, io lo faccio! Nonostante le difficoltà, però, posso dire di essere felice. Spero solo di poter suonare tanto, sempre di più, e di viaggiare per il mondo perché, il mondo, è la scuola migliore. Qualche soldo in più non guasterebbe, e la salita davanti a me è ancora lunga e ripida. Ma sai che cosa ti dico? Quando suono vedo la gente ridere divertita, e allora comprendo che sto facendo la cosa giusta...
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