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Pubblicato il 03/10/2013 06:06

Tra falchi e colombe il primo round va ad Alfano

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"C'e' un punto di riferimento comune che e' Berlusconi - dice Gaetano Quagliariello - ma ci sono due classi dirigenti incompatibili"

Angelino Alfano ha vinto il primo round nel Pdl ma l'incontro è tutt'altro che finito. Dopo lo scontro al Senato, con Silvio Berlusconi 'costretto' alla resa dallo strappo, la scissione e' pronta, a partire da due gruppi autonomi alla Camera e al Senato. Ma per ora resta in stand by, nell'attesa del confronto tra Alfano e Berlusconi. Oggi e' lui, il segretario, al centro della scena. Alfano va fino in fondo, non segue piu' il suo padre politico e lo costringe a ripiegare sul sostegno al governo Letta. Il Cavaliere prova fino all'ultimo a tenere il punto. Ma la costola di senatori (le firme sono 23, ma destinate forse a crescere) pronta a staccarsi dal partito, formare un nuovo gruppo ('I popolari', esulta Roberto Formigoni) e battezzare una nuova maggioranza, costringe Berlusconi alla retromarcia. Per restare in partita e, raccontano, provare a contenere i danni. Ma nei fatti il Pdl e' gia' scisso. "C'e' un punto di riferimento comune che e' Berlusconi - dice Gaetano Quagliariello - ma ci sono due classi dirigenti incompatibili". I falchi da un lato, le colombe dall'altro. Con le colombe alfaniane che, dopo la vittoria sul fronte delle larghe intese, vogliono provare a sottrarre Berlusconi alla morsa degli 'estremisti' e 'de-falchizzare' il partito. E i falchi alla Santanche', Verdini, Bondi che ingoiano il boccone amaro del governo malignamente ribattezzato Letta-AlFini, ma faranno di tutto per non perdere posizioni: "Le guerre son fatte di tante battaglie...".

Alfano, racconta chi gli e' stato vicino in queste ore, non ha intenzione, nonostante le pressioni in questa direzione, di portare a termine il 'parricidio' di Berlusconi. Piuttosto, ha deciso di condurre fino in fondo la battaglia per prendersi il partito. E per dedicarsi ad essa, racconta qualcuno, starebbe anche valutando l'ipotesi di dimettersi da ministro dell'Interno, restando vicepremier e segretario a tempo pieno. E' dunque questo che Alfano chiedera' al Cavaliere: che gli consegni, sotto la sua egida, le chiavi del partito. Anche perche' il divorzio oltre che doloroso, ragionano i 'non schierati', sarebbe molto complicato, a partire dal fatto che in base allo statuto il segretario e' l'unico che puo' utilizzare il simbolo, ma la proprieta' e' del presidente Berlusconi. Per questo in serata arriva una frenata sulla nascita dei gruppi autonomi. In mattinata non solo al Senato, ma anche alla Camera i 'dissidenti' si riuniscono (facendo pesare la loro assenza alle assemblee dei gruppi con Berlusconi) e firmano per la formazione dei nuovi gruppi parlamentari. Ci sono 23 firme al Senato, 24 alla Camera. Per la nascita di due contenitori destinati, in prospettiva, a calamitare non solo nuove adesioni di 'moderati' dall'interno del Pdl, ma anche dall'esterno, dalle fila centriste. Formigoni e Cicchitto sono i piu' entusiasti promotori dell'iniziativa. Alla Camera non solo vengono resi noti i nomi, ma la decisione viene comunicata alla conferenza dei capigruppo. Poi, pero', arriva la frenata. I ministri De Girolamo e Lupi smentiscono di essere tra i sostenitori dei nuovi gruppi. E aumentano le pressioni verso i piu' impazienti perche' si prenda tempo. Il tempo per Alfano di giocare la sua partita e provare a prendersi il Pdl. Quando e' notte, i 'dissidenti' (ciellini, siciliani, ex socialisti, ex dc ma anche ex aennini) si riuniscono per decidere sul da farsi. Ma intanto, anche le altre anime del partito sono pronte a muoversi. Si parla di un documento per l'unita' di chi adesso si trova 'in mezzo' e vuole evitare la scissione. Ma anche di una possibile rottura al contrario dei falchi, con nuovi gruppi sotto le insegne di Forza Italia.

Quando Enrico Letta spiega ad alcuni parlamentari come vede la 'sua' nuova maggioranza, li lascia sorpresi. Perche' in tanti, nel Pd, la pensano in modo diverso. Molto diverso. Auspicano infatti che i filo-governativi del Pdl si smarchino, creino un gruppo autonomo e dicano definitivamente addio a Silvio Berlusconi. Magari portandosi via un pezzo sufficiente per andare avanti, ma non troppo ampio. Ed e' facile capirne il motivo: avrebbero meno difficolta' a spiegare la loro alleanza con gli ex berlusconiani, ma soprattutto il baricentro della maggioranza sarebbe visibilmente spostato a sinistra. Ma Letta, che deve guidare il governo, ha anche altre esigenze differenti. Sa benissimo che un gruppo separato porterebbe quella "chiarezza" che lui stesso ha piu' volte preteso, tanto da porre la questione di fiducia. E sa altrettanto bene che il voto favorevole di Berlusconi complica molto la vicenda. Cosi' come la sua permanenza nella maggioranza. Per questo ha notevolmente calcato la mano nel suo intervento alla Camera: proprio per mettere nero su bianco che c'e' una nuova maggioranza politica e che eventuali nuovi ricatti saranno inutili. Ma Letta deve anche tenere in considerazione altri aspetti, che nel Pd possono essere lasciati sullo sfondo. A cominciare dalle esigenze di Alfano. Il quale, gia' nei giorni scorsi, ha chiarito cosa ha in mente: "Vogliamo prenderci il partito, non uscirne", gli ha spiegato. Obiezione che Letta comprende, visto l'appeal elettorale del Pdl rispetto ad una formazione nuova di zecca. Come dimostra l'esempio di Fini. Ma non solo: Alfano, Lupi e Quagliariello hanno spiegato che un conto e' obbligare i peones ad una nuova leadership interna al partito, tutt'altra questione convincerli a seguirli in un nuovo gruppo. Ovviamente il premier sa che non puo' entrare nel merito di vicende interne al Pdl. Osserva dunque da spettatore la partita. Ma non puo' non osservare quali sarebbero i pro e i contro di una mancata scissione. I contro sono evidenti: i contraccolpi nel Pd, ma soprattutto il rischio che quel chiarimento da lui stesso preteso venga a mancare. Ci sono pero' anche dei 'pro'. E sono comprensibili solo se si guarda all'obiettivo, riconfermato solennemente oggi in Parlamento, delle riforme. A cominciare da quelle istituzionali che richiedono maggioranze qualificate.

Sul fronte del Pd, Letta si sente decisamente piu' forte. In fondo, spiega un deputato a lui vicino, e' quello che "ha messo all'angolo Berlusconi". E qualcuno, in quell'invito a smetterla con i "ricatti" ci ha visto un monito anche diretto al sindaco di Firenze.

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