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Pubblicato il 01/05/2015 09:09

Antonio Zappone mette in mostra Passim

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di Giulia Grilli

Senza ordine, qua e là. È nel caos del presente che i punti di riferimento si perdono, le certezze si sgretolano dietro le trappole della tecnologia, e i simboli acquistano significati superficiali che scarnificano i valori umani. Passim, la prima personale di Antonio Zappone, esalta la perdita di identità della società moderna, delineando un teatro di incertezze a cui ognuno di noi prende parte quotidianamente. Le opere, in mostra al Museo Vittoria Colonna di Pescara dal 19 aprile al 2 maggio, illustrano il percorso storico dell'artista, già noto a livello nazionale e internazionale con lo pseudonimo di Noil Klune.

 

Dal buio e dall'angoscia di immagini sfocate, in cui il nero crea un filo conduttore che trascina verso i dubbi più profondi di un alter ego notturno , Passim mette in luce la rinascita intima di Antonio che, grazie all'utilizzo di un cromatismo vivace, inizia a delineare la speranza di un ritorno alla presa di coscienza, uscendo allo scoperto con la sua vera identità.

 

"Il mio percorso artistico è composto da due storie diverse" racconta Antonio, "in cui Noil Klune inizia dieci anni fa a seguire un discorso completamente digitale. Zappone, invece, prende vita dalla necessità materica che introduce la pittura ad acrilico nelle opere, e si svela al pubblico, per la prima volta, in questa mostra".

 

 

Antonio, classe 1980,  nasce a Taurianova, in un paese privo di riferimenti artistici, musei o librerie. La sua formazione cresce all'interno dell'Associazione Mammalucco, l'unica boccata d'aria in termini di promozione culturale. Arriva a Pescara più di dieci anni fa per frequentare l'Università Europea del Design, e resta in Abruzzo per svolgere l'attività di grafico pubblicitario.

 

Ma l'inquietudine e la voglia di denunciare la perdita di personalità che caratterizza l'uomo del Ventunesimo Secolo si sfogano e prendono forma nelle creazioni di Noil Klune e Antonio Zappone. Un dualismo in apparente contrapposizione, un dialogo con l'ambivalente punto di vista di un unico soggetto, in cui la scomposizione e il collage danno vita alle opere di un artista più che mai introspettivo.

 

 

"Il processo inizia sempre da una foto che ho scattato o da immagini che rappresentano simboli e icone comuni. Partendo dall'idea finale che ho in mente, passo a una fase di sottrazione digitale, arrivando alla definizione di sagome prive di connotati" spiega Antonio. "Raffiguro soggetti che non hanno un volto perché oggi l'uomo vive di riferimenti da copiare, ha perso il contatto con la realtà, per vagare in un'esistenza fatta di apparenze che annullano l'essere".

 

Un messaggio di denuncia, quello di Antonio, non sempre immediato all'osservatore delle sue opere, che proprio in nome di quella assenza di identità si sofferma sull'estetica di una tela colorata, senza essere in grado di immedesimarsi nella malattia sociale raffigurata e di cui egli stesso è vittima.

 

 

"La comprensione del mio messaggio resta un punto interrogativo. Ci vuole un po' di sensibilità, forse, per capirlo a pieno, e credo che non sia possibile essere apprezzato da chiunque. E' tutto molto aleatorio, ma il bello risiede proprio nella soggettività, un aspetto della vita che mi piace molto".

 

L'esposizione, organizzata da Pepe Collettivo, e a cura di Silvia Moretta, ha inoltre coinvolto i numerosi presenti all'inaugurazione e i successivi visitatori in uno scambio creativo denominato Post-it. "Mi incuriosiva capire che tipo di connessione potesse instaurarsi tra il prendere un'opera e lasciare qualcosa in cambio. Così ho creato una parete formata da piccole stampe digitali che le persone potevano staccare dal muro, riempiendo il vuoto con un post-it su cui scrivere o disegnare qualcosa" racconta l'artista.

 

 

"Ho potuto costatare come la gente abbia seguito lo schema prestabilito, nessuno ha attaccato il post-it al di fuori del perimetro iniziale, o in disordine. Hanno agito tutti secondo il medesimo criterio e con un rispetto dettato dalla sensibilità per quello che io avevo precedentemente delineato". È come se nell'annichilimento sociale ci fosse la speranza di vedere i nostri volti completamente raffigurati, grazie alle scelte compiute che ci rendono ancora autentici.

 

 

 

 

 

 

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