Percorrendo la strada che da Calascio porta a Castel del Monte, sulla destra si incontra un capannone bianco con il tetto rosso. E' proprio qui che si trova l'Azienda Zootecnica Gran Sasso, dove Giulio Petronio alleva le sue pecore libere di pascolare e di nutrirsi delle trecento essenze foraggere presenti sulle nostre montagne. La qualità del latte di questi ovini risente della struttura del territorio, e nell'azienda di Giulio Petronio l'odore del Canestrato è protagonista assoluto. Presidio Slow Food, questo formaggio, è espressione di una tradizione casearia di altissima qualità.
Il Canestrato di Castel del Monte è anche definito il pecorino della transumanza, antica tradizione secondo cui i pastori abruzzesi e le loro greggi si spostavano da Campo Imperatore fino al Tavoliere delle Puglie, passando per grandi sentieri erbosi, i Tratturi. Le origini di questo viaggio si perdono nei secoli, quando un tempo gli ovini venivano allevati per la lana, e il latte era un prodotto ad utilizzo personale più che commerciale. "In un mondo di pastori a chi lo vendevi il formaggio?", ironizza il signor Petronio. "Sono state le guerre a interrompere la transumanza. L'ultimo conflitto mondiale poi, con la Linea Gustav, ha spezzato l'Italia in due, e gli allevatori castellani sono rimasti qui durante tutto l'inverno o si sono diretti verso le campagne romane".
Signor Petronio, come ha recuperato la ricetta storica del Canestrato?
Questo formaggio si è sempre fatto, e la ricetta non ha nulla di speciale, anzi è semplicissima. Si scalda il latte in una polivalente, si porta fino a 40°C e si aggiunge il caglio. La cagliata viene poi rotta e trasferita nei cestelli, un tempo di vimini, per permettere che il siero fuoriesca. Ma l'ingrediente principale del Canestrato sta nel pascolo, perché è il latte che fa il sapore del formaggio.
Quali sono gli elementi che influiscono maggiormente sulla qualità del latte?
Ci troviamo sul Gran Sasso e seguiamo una transumanza che ci porta dall'alto a quote più basse. Io, ad esempio, in questo periodo in cui inizia a fare freddo, mi sposto verso Vicoli. Le nostre pecore mangiano un mix di erbe a diverse altitudini, e a seconda della stagione il formaggio ha sfumature diverse. Gli animali vivono i pascoli in condizioni ottimali, e non restano chiusi in una stalla in cui produrrebbero un latte con sentori di letame e ammoniaca. L'alimentazione degli ovini incide molto, e nel mese di maggio, ad esempio, rompendo la cagliata si può sentire l'odore di aglio selvatico, perché le pecore ne hanno mangiato i fiori in grandi quantità.
In quante forme di formaggio possiamo quantificare la sua produzione?
Il 2008 è stato l'anno più produttivo, con 120 000 litri di latte trasformato in 600 quintali di formaggio. Negli ultimi tempi ho ridotto la lavorazione e quest'anno credo di aggirarmi sui 350 quintali di Canestrato.
Che differenza c'è con gli altri formaggi di pecora che si fanno qui in Abruzzo?
I pecorini del teramano, come quello di Atri, Scanno, Anversa o Pescocostanzo, e quelli di questa parte dell'aquilano sono più o meno simili. Il pecorino di Pizzoli o Campotosto, invece, è diverso, perché in quella zona la transumanza portava i pastori verso Roma. In questo caso, la lavorazione prevede la cottura della cagliata a 50°C. Unico è il pecorino di Farindola, che da un handicap iniziale si è ritrovato ad avere una peculiarità che l'ha reso noto, ma bisogna andare indietro nel tempo per comprendere le origini del prodotto. Le famiglie, in quella zona, hanno sempre vissuto di agricoltura, possedendo poche pecore e agnelli che facevano crescere per poterli mangiare. Un agnello di ormai 30 kg non permetteva, però, l'estrazione del caglio.
Che cos'è il caglio?
Il caglio, utilizzato per la coagulazione, viene ricavato dalla prima parte dello stomaco dell'agnello, dov'è ancora presente il latte che, per essere digerito, ha bisogno di un enzima, la caglina. I farindolesi, non riuscivano a recuperarlo dagli agnelli, ormai troppo cresciuti, per cui iniziarono ad utilizzare quello del maialino, e questa necessità è stata per loro una fortuna, perché li ha resi unici in questo tipo di lavorazione. Il loro formaggio ha un sapore più marcato del nostro per un utilizzo superiore di caglio rispetto alla percentuale del latte.
Come vede il futuro di un'attività agricola come questa, che fa parte della tradizione del territorio castellano?
Credo che a breve ci sarà un ritorno forzato all'agricoltura, e dico forzato perché tanti ragazzi non sanno cosa fare oggi, per cui si riavvicinano alla terra. Le cose, però, vanno fatte con passione e questo andamento porterà, purtroppo, ad uno scombussolamento dovuto all'inesperienza di questi giovani. Con il tempo si creerà una nuova classe agricola esperta e appassionata, ne sono certo. Mio figlio, ad esempio, ha fatto il primo insediamento agricolo nel 2010. Stiamo allargando e diversificando l'attività introducendo le vacche e tornando alla fabbricazione della lana delle pecore Gentili di Puglia, di cui io ho ancora l'ultimo gruppo abruzzese.
Perché ha scelto uno stile di vita legato ai ritmi naturali, alle stagioni e alla pastorizia?
Io ho iniziato nell'ottobre del ‘79, appena diplomato come perito meccanico. Avevo solo 19 anni. Ho rifiutato il posto in azienda, e ho riacquistato le pecore che mio padre aveva venduto pur di non rimanere chiuso in un capannone. L'ho fatto per passione e, anche nei momenti difficili non mi sono mai scoraggiato, ma sono sempre andato avanti. Oggi abbiamo a che fare con un mercato agricolo fermo ai prezzi di 30 anni fa, che non è mai stato aggiornato ai rincari degli altri settori. Ma noi castellani ci siamo cresciuti con questa tradizione, e adesso ci troviamo avvantaggiati perché siamo abituati a tutti i problemi economici. Quando la gente mi chiede perché non aumento la produzione, io rispondo che con l'agricoltura devo poter vivere tranquillamente e mantenere una redditività. Far uscire i soldi dalla terra, oggi, non è facile, ma io sono felice della mia vita!
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