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Pubblicato il 03/10/2014 10:10

Un fiume in piena, Arcopinto racconta la sua Scampia

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di Giulia Grilli

Esiste un'Italia che pochi scelgono di raccontare, forse perché i perdenti non piacciono a nessuno, o forse perché l'esasperazione della violenza vende più copie e fa più audience. Eppure le realtà marginali, nel nostro paese, non possono essere taciute. Sono quelle dove la gente è invisibile e lotta ogni giorno per un piatto di pasta, perchè il lavoro non c'è, lo Stato non c'è, la giustizia non c'è.

 

Scampia, a Napoli, ne è un esempio tangibile. Quartiere periferico a Nord del capoluogo campano, è ben noto a tutti per l'attività camorrista, per la droga e per gli omicidi. La criminalità prevale e le voci di chi a stento sopravvive, sembrano non attirare l'attenzione dei media. Sono state proprio quelle voci, però, a toccare la sensibilità di Gianluca Arcopinto, tanto da spingerlo a raccontare nel suo libro Un Fiume in Piena verità che troppo spesso restano nell'ombra.

 

Produttore cinematografico di oltre 100 film indipendenti, regista, docente al Centro Sperimentale di cinematografia di Roma, Arcopinto ha presentato il suo libro a Pescara, lo scorso 30 settembre, in un evento organizzato dai fratelli Alessandro e Cristiano Di Felice della RòFilm casa di produzione e dell'IFA (International Film Academy) allo Spazio Matta.

 

 

Arcopinto arriva a Scampia nel 2013, come organizzatore della celebre serie tv Gomorra, andata in onda su Sky Atlantic con 700.000 spettatori a puntata. Si scontra immediatamente con la popolazione del quartiere in un'assemblea organizzata dal presidente del municipio, Angelo Pisani. Strumentalizzare quei luoghi e utilizzarli per descrivere una ferita ancora aperta non è accettabile.

 

Il produttore romano, ben presto, si rende conto che i racconti di Gomorra sono lontani dalla realtà, quegli avvenimenti narrati e realmente accaduti fanno parte del passato. Sono trascorsi ormai dieci anni e Scampia non è più il paradiso della droga, le attività camorriste si sono spostate in altre zone della città di Napoli, mentre la gente continua a indossare il marchio a fuoco delle sue origini.

 

Intanto, portare avanti Gomorra si fa difficile, le sceneggiature non arrivano e le spese aumentano a dismisura. Cattleya, la casa produttrice della serie, decide di cambiare la gestione del set e Arcopinto, dopo 5 mesi di preparazione e 16 settimane di lavoro lascia l'organizzazione, ma non abbandona Napoli. Diventa intermediario tra la produzione e le associazioni cittadine per una pacifica convivenza, mentre continua a chiedersi "siamo sicuri di poter rimanere qui senza abbassare lo sguardo e arrossire"?

 

Come si può pensare di girare una serie tv mentre il degrado avvolge tutto, mentre le siringhe, i calcinacci e l'amianto rendono Scampia un luogo barbaro con cui la borghesia dei salotti romani non ha nulla a che vedere? "Non ho mai pensato di rivoluzionare il mondo con il cinema" afferma Arcopinto, "ma cerco di trattare tematiche scomode, che facciano riflettere, perché ciò mi permette di andare avanti a testa alta. Credo, inoltre, che un territorio debba essere raccontato da chi quel territorio lo vive. Per questo ho deciso di fornire a Scampia gli strumenti per autonarrarsi, dando vita al Laboratorio Mina con cui abbiamo girato 5 corti".

 

 

Ma a Scampia la gente prova rabbia e rassegnazione. E' un quartiere che la strategia politica ha trasformato in un refugium peccatorum, dove le persone non hanno lavoro. Questo è il motivo per cui la criminalità trova terreno fertile per piantare le sue radici giocando, in modo scorretto, con la disperazione di chi non ha alternativa.

 

Partendo dalle difficoltà amministrative dell'organizzazione di Gomorra, Un Fiume in Piena ha la struttura di un diario personale, dove le emozioni e le riflessioni di Arcopinto si mescolano ai disillusi, agli uomini ombra, alle associazioni di quartiere che lottano per una rinascita in cui la politica non assume alcun ruolo attivo. Le storie di Lorenzo, Omero, Egidio si uniscono al sapore amaro che l'abbandono lascia in bocca, l'abbandono totale, dove la dignità umana sembra vacillare.

 

Negli occhi del produttore si riflettono immagini di un luogo in cui la sofferenza è la prima regola di vita, dove la difficoltà ti corrode l'anima e la speranza sembra morire ogni giorno. "Questo è un viaggio che mi ha dato tanto" conclude Arcopinto. "Un anno a Napoli al fianco di tutte quelle persone ha segnato e segnerà la mia esistenza futura. E' un viaggio che non è ancora finito. Voglio continuare a lavorare con il Laboratorio Mina perché, fondamentalmente, sto meglio a Scampia che al Caffè Settembrini di Roma con i miei colleghi...".

 

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