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Pubblicato il 12/01/2016 10:10

I bambini di Itiruçu negli scatti di Sulejman Bijedic

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di Giulia Grilli

Ha lo sguardo schivo, come la sua anima. I boccoli castani che gli incorniciano il viso sono inumiditi dalla pioggia invernale, il tono di voce è pacato, ma il sorriso non mente, è sempre sincero. Sulejman Bijedic è originario di Capljia, in Bosnia, e ha quasi 28 anni. Fuggito con tutta la famiglia durante la guerra degli anni '90, ha trovato casa a Pescara dove vive tutt'ora. Il 22 e il 23 dicembre scorsi ha esposto al Museo Vittoria Colonna il suo progetto fotografico dal titolo "Por què não entra?", dedicato alla vita dei bambini di Itiruçu, Bahia (Brasile).

 

Quaranta giorni a contatto con una realtà diversa, dove la miseria e la povertà diventano il lietmotiv di un'esistenza per alcuni inimmaginabile. Questa è l'esperienza che Sule ha vissuto da novembre a metà dicembre 2015, all'interno di una scuola della Caritas Francescana Onlus che, sin dal 2000, si occupa della formazione delle nuove generazioni di Itiruçu, nel tentativo di salvare i bambini dalla prostituzione, dalla droga e dallo sfruttamento del lavoro minorile.

 

 

"Prima di partire avevo già in mente la mostra, il mio obiettivo era quello di vendere le stampe delle fotografie, il cui ricavato avrebbe sostenuto interamente i progetti della scuola di Itiruçu" afferma Sule. "Volevo andare in Brasile già da molto tempo, spinto dalla curiosità, e sin da piccolo avevo conosciuto Padre Urbano (il frate un tempo organizzava pellegrinaggi in Bosnia), che una volta l'anno si reca proprio nel luogo che ho visitato; lui è stato il mio aggancio. L'idea di documentare tutto attraverso degli scatti fotografici è arrivata in seguito alla motivazione personale, e per un attimo ho creduto di non potercela fare quando la mia guida mi ha abbandonato per circa una settimana".

 

Trentaquattro le immagini esposte al museo Colonna, tutte in bianco e nero. Istantanee di un tempo che sembra essersi fermato, in cui il silenzio rimbomba fino a riecheggiare nella testa dell'osservatore. I bambini, infondo, sono tutti uguali, in qualsiasi parte del mondo: giocano con innocenza e impiegano il loro tempo cercando uno spensierato e innocuo divertimento. Poi, quando tutto tace, gli sguardi diventano più cupi, e le loro anime iniziano a fare capolino senza filtri. I luoghi, i muri e la natura sullo sfondo rivelano il degrado, mentre gli occhi degli adulti esprimono la difficoltà di un'esistenza che nell'assenza delle parole racconta molto di più. Eppure, la gioia di vivere non manca a chi dalla vita ha avuto poco, perché l'attaccamento, a quella vita, è più intenso e sincero.

 

 

"L'incontro davvero significativo è stato quello con la bambina della locandina, Lais, ci guardavamo venti minuti senza dire nulla. Lei veniva fuori casa mia, rimaneva nascosta tra le grate del cancello, come se io non potessi vederla, ci osservavamo e nessuno dei due parlava. Anche attraverso l'interprete ho sempre dialogato pochissimo con lei, mentre sua madre mi ha impedito di entrare nella loro casa", racconta ancora Sule.

 

La fotografia per il giovane bosniaco è un'espressione dell'interazione emotiva che si instaura tra sé stessi e l'esperienza che si vive in quel preciso momento, uno specchio dei propri stati umorali, un esame di coscienza. "Osservando i propri scatti o quelli di qualcun altro non bisogna soffermarsi solo sulla tecnica, o sull'apparenza. Dietro ogni foto c'è molto di più, un vissuto personale, un'intenzionalità, lo stato d'animo dell'autore".

 

 

Sule si è laureato in ingegneria informatica lo scorso luglio, vive con i piedi per terra e non ha ancora raggiunto la consapevolezza del suo futuro. Dovrebbe trovare un lavoro, dice, ma l'idea di fare il fotoreporter sembra provocarlo e distrarlo dalla retta via. I suoi sogni li tiene gelosamente custoditi nel cassetto, e troppe domande sembrano infastidirlo. Da bambino voleva diventare un archeologo, e afferma di non poter vivere senza musica (suona la chitarra e le percussioni nel gruppo Cugini ITT). Le sfide lo appassionano, lo stimolano e davanti all'impossibilità la sua cocciutaggine si rivela senza limiti. L'avvenire è ancora un punto interrogativo, ma di Sulejman Bijedic, e del suo talento fotografico, sentiremo ancora parlare.

 

 

                            

 

 

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