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Pubblicato il 18/01/2014 11:11

Lorenzo Cogo, sesto senso gastronomico

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di Giulia Grilli

Non si è mai pronti al cambiamento, alla provocazione e allo stravolgimento, soprattutto in ambito culinario, perché le abitudini del palato difficilmente seguono il progresso. Recepire un piatto come un'opera d'arte alla quale non si era preparati è un'apertura mentale che, forse, pochi possono affrontare. Lasciarsi inebriare da odori che mescolano Mediterraneo e Oriente, e che stuzzicano memorie personali e luoghi sconosciuti. Osservare la minuziosità dei particolari e dei colori, per poi abbandonarsi alla scoperta di gusti irripetibili. La rivoluzione culinaria ha solo 27 anni e porta il nome di Lorenzo Cogo.

Mani grandi ma delicate e precise, occhi verdi che si tingono di mille sfumature diverse al variare della luce, e sguardo accigliato, a sottolineare l'intensità dell'impegno che mette in tutto quello che fa. Questo giovane in equilibrio tra passione e innovazione è la scoperta del mondo gastronomico italiano. La prima stella Michelin è arrivata già a 26 anni per il suo ristorante a Marano Vicentino, El Coq.

Ha partecipato alla rassegna dedicata agli chef stellati organizzata dal Cafè Les Paillotes di Pescara, ed è venuto a portare scompiglio tra la consuetudine palatale degli abruzzesi. Il suo concetto di "cucina istintiva" si sviluppa in piena assenza di etichette. Percorsi gastronomici dettati da umore, emozioni e ricerca sono l'espressione libera del suo io culinario. E nonostante la giovane età, Lorenzo ha un curriculum di tutto rispetto che lo ha visto nelle migliori cucine di Australia, Giappone, Spagna, Inghilterra e Danimarca.

 

Hai più volte affermato di voler portare cultura e internazionalità nella tua terra d'origine. Marano Vicentino era il posto giusto per rispondere positivamente all'apertura di El Coq?

Era l'Italia a non essere pronta, secondo me. Non cambiava tanto il luogo di apertura del ristorante perché la mia offerta si basava su un approccio diverso. Volevo una cucina che potesse essere informalità e divertimento. Con il tempo mi avvicinerò sicuramente ad uno stile più romantico ed elegante, e forse lo sto già facendo, ma perché mi sono davvero sfogato senza pormi limiti. Marano non era un territorio pronto a questo, ma rappresentava e rappresenta le mie origini ed è una terra che conosco bene e che ho imparato ad apprezzare. Ho creato legami, ho il rispetto della gente del luogo che non verrà mai al ristorante, ma capisce il mio impegno e quello che sto facendo, e questo è importante.

 

La cucina istintiva come volontà di non essere etichettato. Ma cos'è l'istinto e in quali altri ambiti della vita ti lasci guidare dal "sesto senso"?

Sono un istintivo per natura, e sono uno che quando vuole qualcosa ci mette l'anima. Ho definito così la mia cucina perché non volevo etichette, e volevo sentirmi libero di proporre uno stile che all'inizio non sapevo qualificare. Quando ho aperto El Coq avevo tantissimi input, ma poi ho dato più peso alla mia personalità e quindi ho cambiato direzione, per poi prenderne un'altra ancora. Tutti mi conoscono per quello che sono, e spesso mi sento dire "Speriamo che tu sia in giornata giusta, altrimenti chissà che piatti mi fai!", perché sanno che comunico tanto con ciò che cucino. Seguo le intuizioni di un determinato momento, senza mai perdere il filo conduttore che è la crescita. E così in tutte le cose nella vita.

 

 

Perché hai tanta passione per la cottura alla brace?

Ho avuto la fortuna di lavorare da Etxebarri, in Spagna. Ero stanco della cucina "molecolare" e volevo vedere qualcosa di più concreto. Ero affascinato dal gioco che si creava con determinate tecniche che però mancavano di sostanza. E io volevo dare gioco, ma volevo soprattutto la sostanza. In Spagna ho capito che la brace era la mia strada. L'odore del fuoco ha un forte legame con la mia infanzia e la mia crescita, e mi riporta al periodo in cui vivevo con i miei nonni e scendevo la mattina presto in cucina per preparare loro il caffè. La brace per me è la cottura più interessante da portare avanti, soprattutto perché non è mai stata sviluppata fino in fondo. Si dice sempre che ci sia cultura in merito, ma nessuno si è mai posto il problema di come si potesse fare meglio.

 

"L'alta cucina non esiste" e "Io cucino prima per me stesso". Perché queste tue provocazioni?

Quali sono i canoni per decidere cosa sia alta cucina e cosa no? Se ti piace, se lo senti tuo, anche un hamburger può esserlo. Secondo me si deve lavorare meno sull'estetica delle cose e più su quello che si trasmette. Oggi sei quello che sei e se piaci bene, altrimenti pazienza. Non sopporto di dover mediare per essere quello che qualcuno vuole. Quando dico di cucinare prima per me stesso, intendo dire che è necessario emozionarmi, non posso pensare di comunicare qualcosa dal nulla. O dai al cliente quello che vuole, ovvero sempre le stesse quattro cose, oppure dai sfogo alla tua creatività che per me vuol dire seguire il sentimento.

 

 

A soli 27 anni come hai imparato ad individuare le materie prime migliori?

Con tanto studio. L'aspetto e il profumo sono elementi importantissimi per riconoscerle. Una cosa dev'essere sexy per essere la materia prima perfetta! Ci sono anche ingredienti di cui ho sentito parlare e che ancora non utilizzo nella mia cucina, ma che saranno oggetto di sviluppo e approfondimento.

 

Se l'arte culinaria, in quanto arte, è espressione di uno stato d'animo, che cosa cerchi di trasmettere con i tuoi piatti?

Emozioni sempre diverse, e molto spesso parto da una provocazione perché mi piace vedere l'effetto che fa.

 

 

Sei sempre al centro della curiosità dei giornalisti, ma c'è una domanda che nessuno ancora ti ha fatto?

Si: sei felice?

 

Allora, se posso, te la faccio io: sei felice?

In questo momento si, perché ci sono le condizioni per esserlo...

 

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