gestionale telefonia Gestionale Telefonia
HOME » L'INTERVISTA » RICCARDO BERGAMINI, LA KICK BOXING è ABRUZZESE
Pubblicato il 19/04/2013 11:11

Riccardo Bergamini, la kick boxing è abruzzese

sport, giulia grilli, kick boxing, Riccardo Bergamini, K1

di Giulia Grilli

Salire le scalette del ring, entrare tra le corde e vincere la prima battaglia, quella contro sé stessi, per poi sfidare il proprio avversario. È questo a rendere coraggiosi gli atleti  di Riccardo Bergamini, che della kick boxing ha fatto la sua vita.

Dietro i recenti titoli europei di Low Kick conquistati in Francia dai pescaresi Andrea Andrenacci e Mimma Mandolini c'è tutto l'insegnamento di un uomo e un maestro. Caposcuola e pioniere di questa disciplina sportiva, con ben due titoli europei e due mondiali alle spalle, Bergamini ha sempre portato in alto le realtà abruzzese degli sport da combattimento nel mondo, sia come atleta che come allenatore. Dal 2000, inoltre, è commissario tecnico della nazionale italiana di Low Kick.

Grazie al duro lavoro, alla determinazione e al sacrificio che lo hanno contraddistinto negli anni, Bergamini continua a raggiungere importanti traguardi svolgendo l'attività di sensei a Pescara. Il suo team, infatti, vanta quattro titoli mondiali, otto europei, due intercontinentali e numerosi titoli italiani.

 

Perché hai deciso di dedicare la tua vita alla kick boxing?

Da piccolo ho iniziato con le arti marziali come lo judo, il karate e il kung fu. Successivamente sono arrivato agli sport da combattimento da ring come il full contact, la low kick e il K1. A 19 anni ero già proprietario di una palestra, era il 1983. Ero troppo giovane e, malgrado l'esperienza sia stata fallimentare da un punto di vista lavorativo, è stata importante per la crescita personale perché mi ha costretto a vivere lunghe ore di sport al giorno. Per questo motivo, alla fine, ho deciso di intraprendere questa strada. Ho iniziato a praticare la kick boxing in un terreno vergine a livello nazionale e da lì in poi è stata tutta una corsa per l'apprendimento continuo. Insegnavo e contemporaneamente facevo l'atleta agonista. Tutto ciò ha compresso altri interessi della mia vita, ma in quel momento mi sono lanciato in un percorso che mi ha portato dove sono oggi.

 

Cosa vuol dire insegnare questo sport?

Iniziando ad insegnare quando si è troppo giovani, come è successo a me, l'irruenza e la confusione degli obiettivi possono generare parecchie disattenzioni. Crescendo ci si ferma più sul pezzo, si inquadrano meglio i traguardi da raggiungere, grazie alla volontà, all'apprendimento e all'aggiornamento a cui, da vent'anni, dedico almeno due ore al giorno. Oltre all'aspetto tecnico sportivo che riguarda l'analisi della preparazione delle scelte tattiche e strategiche, è necessario focalizzarsi anche sull'aspetto psicologico. Questo è uno sport molto difficile dal punto di vista mentale, perché perdere un incontro può anche dire farsi molto male. Ogni atleta risponde a stimolazioni diverse, per cui è importante fare un grande lavoro di comprensione psicologica delle caratteristiche dei vari soggetti che scelgono di vivere la kick boxing.

 

Eri più bravo sul ring come atleta o sei più bravo all'angolo a dirigere il match?

Questa è una domanda alla quale non posso rispondere. Quello che posso dire è che come insegnante cerco di dare di più, perché da atleta ho risposto solo di me stesso, e la cosa è completamente diversa. Come istruttore ho una responsabilità grandissima perché molti, se non tutti i ragazzi e le ragazze che si mettono nelle mie mani, dipendono quasi completamente da me. Per questo, credo che dal punto di vista etico sia necessario impegnarsi profondamente sul discorso dell'insegnamento.

 

Come sei arrivato ad ottenere le ultime vittorie in Francia con Andrea e Mimma?

È stato un lavoro lungo, non abbiamo ottenuto due vittorie in modo estemporaneo. La preparazione che facciamo dura da anni e i ragazzi sono abituati ad avere le pressioni addosso e a rispondere nel modo migliore. Il merito di un insegnante, oltre a quello di preparare nel modo più scientifico possibile un fisico e una mente all'incontro, è quello di leggere la strategia migliore e adattarla in base alle caratteristiche dell'avversario e alle possibilità dell'atleta. Io penso di essere abbastanza bravo in questo, e i miei ragazzi si fidano di me.


Quanto è importante la fiducia che si instaura tra te e l'atleta?

È tutto. Più gli atleti sono evoluti, maturi e più riesco ad orientarli con facilità. Questo vuol dire che dall'esterno, in linea di massima, il match si vede molto meglio perché si raggiunge una visione più ampia e completa delle azioni che svolgono sia il tuo atleta che l'avversario. Dal momento in cui ti affidi a me e credi che io sia bravo a leggere l'incontro per poi darti le indicazioni giuste, non devi far altro che ascoltarmi per ottenere i risultati migliori. Questa è una capacità che molti dei miei atleti hanno costruito nel tempo.

 

Perché la gente dovrebbe provare la kick boxing come attività sportiva?

Dal punto di vista fisico funzionale, questo è uno sport che utilizza un'ampia gamma di capacità condizionali e coordinative. Non è uno sport ciclico, ma a disponibilità variabile per cui richiede l'adattamento motorio alle situazioni che cambiano di volta in volta. Da un punto di vista psicologico è fondamentale per affrontare i problemi e gli ostacoli che la vita ti pone davanti. Il primo passaggio per chi fa kick boxing e prova a fare qualche gara, perché questa è la differenza, è il fatto che la prima sfida da vincere è quella contro se stessi. Il risultato è che la fiducia aumenta vertiginosamente. Le persone tendono ad arrendersi con facilità, non credono nelle proprie capacità e questo, attualmente, è il problema più grande che la società vive. Ecco perchè trovo che la kick boxing sia uno sport molto equilibrante dal punto di vista psicologico.

 

 

 

© Riproduzione riservata

Condividi:

Articoli Correlati



Utenti connessi: 3