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Pubblicato il 02/02/2013 08:08

Storia dei centri minori della Val Pescara. Il caso di Corvara

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di Antonio Alfredo Varrasso

 

Questo breve contributo vuole consistere nell'evidenziazione di alcuni problemi di studio e di ricerca, che poi sostanziano  il progetto culturale valido a comprendere la vicenda storica di Corvara. Questo progetto vorrebbe e dovrebbe estrinsecarsi nella formulazione di un profilo storico complessivo di questo insediamento e del suo territorio. L'attenzione riservata in questi ultimi anni a Corvara (Pescara) la dice lunga sulla necessità e direi l'urgenza di pervenire ad una 'storia possibile' dei nostri centri minori: dal momento, come nel caso di Corvara, che questo centro abitato diviene sempre più oggetto di una pianificazione senza precedenti 'di recupero', oserei dire pari a quella esercitata all'atto di fondazione del 'castello', tra X e XI secolo. Dunque la conoscenza storica ci serve per capire di cosa stiamo trattando oggi, nel momento stesso in cui intendiamo trasformare e conservare: mentre siamo consapevoli del fatto che, nel tempo, molto abbiamo perso in termini di testimonianza del passato. Il nostro discorso, come si vede, si fa di ordine culturale e civile, perché coinvolge la nostra capacità di scegliere quale futuro conquistare e realizzare.

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Intanto circa il territorio, oltre che della sua conformazione, dobbiamo preventivamente riconoscere che esso racchiude e rivela la vicenda della Corvara che conosciamo e non il contrario. Mi spiego meglio. Corvara entra in questo scenario territoriale in un preciso momento della storia; l'insediamento demico corvarese eredita, pertanto, una lunghissima serie di secoli di storia del territorio. Come si manifesta questa eredità - ecco una prima questione di fondo - all'atto della comparsa di Corvara sulla scena di questa storia? Quali furono i caratteri originari dell'ambiente e della società che condizionarono l'avverarsi della fondazione dell'insediamento accentrato e della relativa struttura territoriale? Non posso intrattenermi oltre nella dinamica di questi fondamentali fattori della storia. Dico solo che nel procedimento storiografico locale dovrebbe vivere sempre questa tensione alla ricerca dei tratti originari e vorrei porre, in questo senso, l'accento su un dato, altrettanto fondamentale, della creazione del castello, che poi corrisponde alla formazione di una compattazione territoriale ed alla conseguente creazione di un limite di confinazione, in una logica che coinvolge tutto il territorio circostante. Se si forma, come avvenne, un limite territoriale, direi  di tipo amministrativo, significa che questo processo deve essere visualizzato, obbligatoriamente, non semplicemente su scala locale, ma zonale e regionale. Questo implica la conoscenza e lo studio della determinazione dei rapporti tra le diverse componenti insediative. La nostra storia sarà, quindi, essenzialmente, quella dei rapporti interni ed esterni al territorio di Corvara.

La quale nasce, allora, nel corso di quel movimento più generale, o, se si vuole, di quel processo di valorizzazione del territorio, che si chiama 'incastellamento territoriale'. Anche qui non mi dilungo a trattare dei caratteri generali del fenomeno, che coinvolse, con lo spazio italiano, pressocché quello di tutta l'Europa latina. Ho parlato di un processo che 'valorizza' il territorio, giacché l'incastellamento in generale ed in particolare a Corvara, oltre che fenomeno urbanistico ed insediativo, è fondamentalmente un processo economico e sociale. Coloro i quali, tra X e XI secolo, hanno proceduto alla costruzione dei castelli utilizzarono ben individuate risorse di tipo umano, economico e finanziario.. Essi hanno agito essenzialmente nel contesto di un rinnovamento del mercato fondiario e di una ristrutturazione del potere politico, anche su base locale. Ecco, la terra coltivata e coltivabile costituì la fonte per il finanziamento della costruzione dei castelli. Corvara non sfugge a questa dinamica, laddove il soggetto propulsivo della sua energia fu il movimento monastico di Casauria, con l'élite aristocratica fondiaria di composita etnia, in un contesto territoriale omogeneo che, nell'XI secolo, proprio per questo, venne denominato 'Terra Sansonesca'. Come ha suggerito Laurent Feller (Les Abruzzes médievales. Territoire, économie et société en Italie centrale du IX eau XIIe siécle. Ecole francaise de Rome, Rome 1998), il concentramento degli uomini su di un dato territorio è anche anteriore all'incastellamento propriamente detto. Per esempio noi abbiamo delle curtes 'cum castello', che è fenomeno definibile in modo restrittivo e dalla semplice trasformazione delle strutture materiali di un habitat preesistente e senza che ciò avesse prodotto una rottura avvertibile di tipo topografico. Ma è proprio qui, in un contesto siffatto, che si inserisce in un dato momento, di preferenza l'iniziativa signorile laica. Il fenomeno di raggruppamento che precede la trasformazione più complessa dell'habitat umano diventa il nucleo essenziale del più radicale processo di trasformazione dell'incastellamento. E vi entrano in gioco figure  sociali diverse, come i contadini liberi e i piccoli proprietari allodieri. Da questo punto di vista la costruzione dell'insieme castrense e la delimitazione dell'accorpamento territoriale tutt'intorno non fanno - sostiene sempre il Feller - che  cristallizzare il secolare lavoro di solide comunità. Già questo è un dato indiscutibile di partenza.

E' da vari decenni che si stà studiando meglio questo nostro incastellamento, che non può essere semplicemente motivato da esigenze di carattere difensivo delle popolazioni. Corvara si staglia emblematicamente in questa problematica, più di qualsiasi altro insediamento della zona, perché, a fronte di un indiscutibile accentramento castrense che pure la riguarda ( ove oggi si indica il 'borgo' e dove ancora a fine '500 è documentato un elemento turrito, divenuto segno moderno di potere feudale), la struttura territoriale rimane, come è ancora oggi, fondamentalmente caratterizzata da un reticolo di nuclei insediativi sparsi e aperti. E non cesseremo mai di studiare una tale dinamica insediativa, giacchè ancora con l'intervento dei Normanni, tra XI e XII secolo, i quali operarono fondamentali ristrutturazioni del nucleo accentrato, proprio nel senso di presidio territoriale, la formazione dell'ambito territoriale e la costruzione del sistema di confinazione - di quello che già si chiama 'feudo' di Corvara - sono aspetti costitutivi tutt'altro che conclusi ed assestati. Insomma, si tratta di una dinamica che evolve, che perdura. Chi ci ha profondamente condizionati in una concezione più statica dell'incastellamento nella nostra zona - come acutamente notò il Feller - è stato il dettato della Cronaca di San Clemente a Casauria, scritta nel secolo XII, secondo il quale è nella ricerca di sicurezza contro le incursioni degli Ungari e dei Saraceni che si crearono i castelli. Per questo il Feller definisce la storiografia monastica di Giovanni di Berardo, in tema di castelli, una sorta di 'illusione retrospettiva'.

 Le prime menzioni dei castelli si hanno in effetti circa mezzo secolo dopo che questo pericolo è cessato. Ma, sottolinea ancora lo studioso francese, che 'questa causa, valida per l'Italia del Nord, non lo è per quella centrale' ed in ciò seguendo l'informata lezione di A.A.Settia (Castelli e villaggi nell'Italia padana. Popolamento, potere e sicurezza fra IX e XIII secolo, Napoli 1984). Vengono a confondersi, infatti, due fenomeni cronologicamente distinti, vale a dire, dal IX secolo, con la creazione dei castelli demaniali e il movimento, più generale, che si propone solamente alla fine del secolo X. Ecco perché, anche per Corvara, si pone la necessità di ridefinirne l'assetto insediativo proprio tra IX e X secolo. Certo si è che, nel 1111, La Corvara  (così è espressamente citata nel codice di Casauria) rivela bene il suo profilo di 'castrum' nel contesto della prima fase della dominazione normanna.

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Non meno problematica ed irta di difficoltà ci appare l'individuazione di Corvara in età tardo medievale e moderna. Un più sicuro indizio, o se si vuole, la consapevole permanenza nella mentalità collettiva dei moderni di questa precaria, se non distorta conoscenza del passato, io la ritrovo significativamente espressa nella leggenda di Corvara quale paese natale di un papa, cioè dell'antipapa Pietro Rainalducci di Corvaro, la cui avventura politico-religiosa si situa tra la morte di Clemente V (1314) e del successore, Giovanni XXII (1334). Il francescano Pietro, come è noto, nacque a Corvaro, nella seconda metà del secolo XIII e morì, rappacificato con la Chiesa, ad Avignone, nel 1333. L'assonanza evidente dei due toponimi: Corvara e Corvaro, che è nella Valle del Salto - alto Cicolano - presso Borgorose, ha certamente dato luogo a questa confusione, che, d'altra parte, andrebbe studiata di per sé, proprio ed in quanto indice di uno sforzo, direi anche sul piano antropologico, di intravedere meglio nelle 'tenebre' della storia. Uno sforzo talmente sentito da permettere addirittura, in età contemporanea, qui a Corvara, l'individuazione della casa ove l'illustre personaggio avrebbe visto la luce. Ed è questa un poco la ragione che mi spinge a sottolineare, direi creativamente, la vicenda, sul piano della innata capacità umana di 'reinvenzione di un passato', che si manifesta allorquando le cesure del passato stesso appaiono irrisolvibili.

Ma la stessa collocazione geografica di Corvara, così prossima in età medievale al Tratturo Magno, costituisce un dato rilevante della funzione strategica dell'insediamento. Non solo! Lo stesso passaggio di Forca di Penne - che sono tentato di identificare con la 'casauriense' Furca de Nerarno, che compare  nella documentazione anteriore al periodo normanno - dovette riuscire risolutivo nella riattivazione del flusso transumante, già con Guglielmo II (+ 1189), al potenziamento strategico di Corvara, che così riafferma le più spiccate connotazioni colonizzatrici delle pendici de La Queglia, fin dentro l'età moderna. Simona Castiglione ( La Terra Sansonesca tra l'età tardo antica e il Medioevo, Roma 1993), che ha studiato anche dal punto di vista archeologico quest'area, ne fa appunto una zona tra le più frequentate del medioevo di tutta l'area contermine.

 Non sarà perciò un caso che il 26 marzo 1291, Carlo II d'Angiò, tra gli altri feudi, conceda Pescosansonesco e Corvara a Agabito e fratelli Colonna, laddove questi possedimenti erano stati precedentemente conferiti a Metteo de Plessiac, di più specchiata origine e fedeltà francese, la cui discendenza s'era naturalmente estinta in quegli anni ( il privilegio venne dato a Perugia, a favore di Agapito, Stefano e Giacomo Colonna. Un suo originale è nella Biblioteca di Santa Scolastica a Subiaco).

Qualcosa del genere si ripropone nella prima metà del Quattrocento e qui con chiare prospettive egemoniche della nobiltà aquilana (i Camponeschi per esempio ebbero Pietranico), finalizzate al più meticoloso controllo delle aree tratturali e dei passi, in particolare di Forca di Penne e del Voltigno lungo la catena meridionale del Gran Sasso. Così verranno i Cantelmo, dalla cui lunga dominazione Corvara derivò l'appellativo di 'del Conte' - analogamente a Castiglione alla Pescara -  e questo a dire di come fosse stata incisiva l'appartenenza alla contea di Popoli, fondata proprio dai Cantelmo di origine provenzale.

 Tanto l'età normanna, ma particolarmente la sveva ( ed è questo un dato  pressocché generale nella nostra zona) appaiono fin qui particolarmente neglette. La stessa vicenda di Casauria, che indubbiamente continua ad avere un ruolo di primo piano nell'intera zona, risulta difficilmente decifrabile - tranne qualche raro 'bagliore' documetario - tra i secoli XIII e XIV.

 Su di un dato, però, vorrei soffermarmi, all'apparenza estraneo al nostro ragionamento, per riflettere cioè su taluni aspetti di storia religiosa, che sono connaturati alle vicende del territorio e della società. Con l'affermazione del castello a Corvara emerge la chiesa parrocchiale dotata di cura delle anime. Molti di questi dati antichi si possono cogliere in quello straordinario documento settecentesco che è il Catasto Onciario della Terra di Corvara. La chiesa parrocchiale è dedicata all'apostolo Andrea. Il Patrono di Corvara, però, è Antonino, forse il 'martire di Apamea di Siria', che deve la sua fama in Occidente alle iniziative, diciamo agiografiche, degli imperatori sassoni, nel secolo X. Peraltro Antonino gode di una importante citazione documentaria del secolo XII, in 'Bectorrita' ( l'odierna Torre dé Passeri). Insomma, questa faccenda dei culti e delle devozioni cristiane non è affatto estranea alle vicende del potere locale e della società. In questo caso abbiamo a che vedere non solo con il ruolo di Casauria, ma ancora di Santa Maria in Blesiano ( vulgo 'Ambrosiana'), che venne costituita in prepositura dagli stessi abati casauriensi (ed in tal  senso oggetto di ristrutturazione canonica dell'abate commendatario di Sangro, a metà Quattrocento), ma che già da fine Cinquecento divenne chiesa cattedrale della minuscola diocesi nullius, separata da Casauria, imperniata appunto su Pescosansonesco - Corvara e riannessa a Casauria solo negli anni Settanta del secolo XVIII. A questa vicenda, poi, venne a connettersi quella della chiesa Cartignana,  cospicuo avanzo benedettino cassinese d'Abruzzo, presso Bussi sul Tirino, che con quella di Blesiano venne unita ed amministrata da prelati nominati da Roma, ovvero dai titolari della Biblioteca Vaticana, che vi percepivano le rendite.

Il culto verso l'apostolo Andrea - 'il primo chiamato' - è certamente attestato in età altomedievale e localmente, con ogni verosimiglianza, ancora in età normanna. Quello di Antonino non può non rimandare agli assetti di potere interfeudali della zona, laddove Corvara e Bectorrita, tra XI e XII secolo sono appannaggio della stessa famiglia feudale dei Sansoneschi e loro discendenti. Questi sono solo indizi che andrebbero sviluppati, ma è certo che, nel prosieguo, fra Sei e Settecento è l'azione pastorale dei Francescani a cui si devono le due strutture religiose di Corvara: Santa Maria della 'di Costantinopoli' e la Madonna delle Grazie, che oggi funziona da chiesa parrocchiale. Quest'ultima fondata in pieno Settecento per iniziativa dei Francescani del Terz'Ordine Regolare di Santa Maria in Collangioli, nel Colle della Guardia di Pescosansonesco. E, si badi: questo convento - sorto nella seconda metà del Cinquecento, non senza l'interesse dei Branconi, commendatari di Casauria, analogamente al confratello di Santa Maria del Monte, in Bolognano - rileva una più antica cappella legata ai Canonici Lateranensi. Dunque, come si vede, esiste - attraverso l'Ordine mendicante - uno stretto legame con Roma, ma anche con Chieti, perché, già dal tardo Cinquecento, Sisto V, delegò proprio l'arcivescovo teatino all'amministrazione ed alla giurisdizione di Santa Maria di Blesiano. Non dimentichiamo poi che per quasi tutto il Settecento sono i Celestini morronesi, di Sulmona, a rilevare il campo della nullius  di Blesiano, che ottengono in affitto, con annessa giurisdizione, mentre Casauria, che  ne riacquista possessi e diritti, nel 1775, nulla innova nella struttura ecclesiastica e religiosa che si era delineata.

 

Lo sguardo al paesaggio attuale di Corvara ne focalizza l'immagine, quasi stereotipata, di un luogo incontaminato; quasi sospeso nel passato indecifrabile e leggendario, tutto ancora da svelare e raccontare. Non è difficile, proprio mirando il nucleo urbano antico, percepirlo come un posto oramai abbandonato, come il documento vivente di una storia di abbandono. E', infatti, una storia nella storia, che non dobbiamo affatto minimizzare, o diluire  nella riflessione a più largo raggio sulla storia  millenaria locale.

 Quando, come e perché è avvenuto questo abbandono? Ecco un altro problema della storia da affrontare, allargando la nostra analisi alle vicende contemporanee dell'Ottocento e del Novecento. Intanto l'abbandono, come l'incastellamento, non è un fatto immediato e complessivo. Qui, come in altri luoghi, si è trattato di un processo durevole sulla base di diversi fattori, non ultimo quello delle caratteristiche fisiche ed ambientali, ma vi sono, anche qui, resistenze e persistenze.

 Ma hanno contribuito anche e fortemente ragioni sociali. Senza voler evocare da subito le ondate migratorie otto-novecentesche, che hanno indubbiamente falcidiato Corvara, è un fatto che la struttura insediativa del paese, rimasta essenzialmente aperta e  sparsa, ha giocato un ruolo di riequilibrio, paradossalmente, tra la campagna e il piccolo centro urbanizzato. Peraltro la particolare struttura sparsa nel territorio, tornando ad essere relativamente vitale attraverso l'emigrazione di ritorno, ha fortemente penalizzato l'insediamento accentrato, definitivamente emarginato. Durante il Decennio francese i due Comuni di Pescosansonesco e Corvara ( come fu il caso di Pietranico e Torre dé Passeri) vennero uniti a formare un unico ente amministrativo territoriale. Questa iniziativa, tipica della monarchia amministrativa napoleonica, dovette cedere dopo alcuni anni ad un ulteriore riassetto autonomistico dei due Comuni. Ma l'idea, più di un secolo dopo, nel 1927, tornò d'attualità - a fascismo oramai affermato -  e dunque nel contesto di una visione del territorio non solo locale, ma provinciale e regionale, estremamente moderna e direi ancora attualissima. Il nuovo Comune si sarebbe chiamato " Diana Italica", a ridefinire così un contesto ambientale unitario, gravitante attorno al rilievo de La Queglia. Nucleo centrale e connettivo dell'insediamento moderno sarebbe stato quello centrale dell'Ambrosiana (che linguisticamente è una storpiatura di Blesiano), il cui abitato sorse, ex novo, nel 1934. Anche tutto questo, credo, fu un modo, frustrato, per rispondere efficacemente al problema dello spopolamento e  quindi dell'abbandono!

Le nostre prospettive di studio si fanno, allora, veramente interessanti lungo tutta l'età contemporanea, sia perché esse richiedono, oltre ad una consapevolezza rinnovata del passato recente, di sondare le origini antiche dei fenomeni e sia, nel contesto attuale,  a cui piace definirsi di  "recupero", essenzialmente urbanistico del centro storico di Corvara, perché occorre valutare con consapevolezza il futuro possibile dell'insediamento. Giacché siamo avvertiti del fatto che non possiamo parlare di "recupero" quando la società nel suo complesso non vi è coinvolta, vale a dire facendogli assumere, oggettivamente, a quel progetto, valori di astrazione pericolosi proprio per l'esigenza di preservare il passato dalla alienazione culturale, occorrerà mantenere alta l'esigenza di quella iniziativa culturale con cui ho iniziato a discutere.

 Diversamente, infatti, non di recupero si tratterebbe, cioè di convinta ed equilibrata, sostenibile e possibile riconquista di un habitat, ma di nuova, per quanto 'moderna', perniciosa colonizzazione: attraverso una beffarda valorizzazione del fantasma del passato.

 

 

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