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Pubblicato il 23/02/2013 12:12

Il "pocodesign" di Monica Maggi

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di Marcella Pace

 

 

“Da come puoi notare mi piace mangiare”. Quasi come il ritornello di una canzone, Monica Maggi scandisce questa frase più volte durante la nostra chiacchierata. Un modo per ironizzare su di sé e su quello che fa, ma in realtà basta guardare le sue creazioni per capire che c'è ben altro. Monica va oltre il puro e semplice amore per il cibo. In ogni sua creatura c'è tutta l'attenzione al dettaglio tipica di un architetto, ma anche l'abilità nel costruire le cose con le mani di un artigiano di vecchia data e infine la ricerca del gusto e dell'estetica di uno chef d'alta classe. 

Marchigiana di origine, pescarese dai tempi dell'università, Monica è prima di tutto un'architetto, una grafica e una web designer, nell'azienda che porta il suo nome, con una passione atavica verso tutto ciò che, come lei stessa ama sottolineare, «sporca le mani. Vengo da una famiglia di donne cuoche, ricamatrici e sarte e io stessa ho sempre pasticciato in tutti questi campi. Cucivo, ricamavo e in cucina mi dedicavo soprattutto ai dolci. Ho sempre sentito una vera esigenza di creare le cose. Ho iniziato a fare delle piccole spille e i “pelushi”, pupazzetti a forma di orsetti, gatti e conigli. Nel frattempo coltivavo la mia passione in cucina, cercando, da buona architetto, di progettare letteralmente il cibo. Ed è così che sono diventata una food designer». 

Nella sua seconda piccola impresa, “pocodesign”, dal nome che ricorda «un'attenzione all'estetica tipica giapponese che mi rispecchia molto – dice ridendo Monica – facilmente memorizzabile e comprensibile anche all'estero, non storpiabile nella pronuncia» questa solare professionista delle costruzioni si dedica all'ideazione e alla realizzazione di oggettistica e cibi creativi. «Tutto nacque – ricorda Monica – un paio di anni fa, quando Marco Mazzei, un amico che stava organizzando delle mostre lampo nella sua “Microgalleria” notò alcune fotografie che avevo pubblicato sul mio profilo Facebook che ritraevano i miei Bento, un pranzo preconfezionato tipico giapponese, che suddivide in apposite scatoline il pasto da consumare secondo logiche di estetica e di valori nutrizionali, e che io preparavo per i miei pranzi fuori casa. Marco mi propose di fare una mostra, appunto con le mie foto. Ne uscì un'esposizione, dove da una parte erano allestite le fotografie, dall'altra c'era una mensola lunga 4 metri con bento “in carne e ossa” da gustare nel corso dell'inaugurazione. Da quel momento iniziai una lunga serie, anche fuori Italia, di esposizioni di bento, che ormai amo considerare il mio personale progetto cibo “prêt-à-porter” -  abiti realizzati non su misura del cliente ma venduti finiti in taglie standard pronti per essere indossati, ndr- un mio biglietto da visita. Nel frattempo – racconta ancora Monica – Gianluca, un altro caro amico si stava preparando per un viaggio a New York e mi chiese di portare lì una serie di mie creazioni. Così in poco tempo è nato un marchio, con nome e logo e un sito, che ancora oggi è in inglese. Insomma una vera identità. Fu allora che pensai a quel nome semplice e come logo ad una fogliolina, che era il tipico disegno che mi ritrovavo a fare ogni volta che ero sovrappensiero o al telefono.  Da quel momento, mi sono praticamente sdoppiata. Da una parte la Monica Maggi architetto, dall'altra la Monica di “pocodesign”, dedita a realizzare cibi o oggettini fatti con cura e che tentano di trasmettere  una valenza affettiva, un racconto, un vissuto».

E infatti, basta aprire la prima pagina del sito pocodesign.it o guardare dal vivo queste piccole opere d'arte che si comprende la filosofia che muove Monica. «Penso che basti poco per stare bene e basti altrettanto poco per fare bene le cose. Se in ogni progetto, che sia architettonico, o di food design o di ogni altro genere, si riesce a trasferire ciò che si ha dentro, allora quello sarà un bel progetto. Ad esempio per realizzare i miei  “pelushi” quasi sempre utilizzo dei materiali riciclati, come maglie di quando si era bambini, o qualunque altra cosa che abbia già in sé un legame affettivo. Stessa cosa riguarda il cibo. Nei miei bento o nei cioccolatini che realizzo, voglio che si crei un vero cortocircuito tra ciò che si guarda e il gusto di quei cibi. Voglio che chi assaggia i miei prodotti, inizi a mangiare prima con gli occhi, poi magari con il naso, attraverso i profumi e infine si lasci andare al gusto vero e proprio. Visto che amo tanto mangiare – ride ancora Monica – il complimento che mi fa più piacere è quando i miei piatti, oltre che belli, vengano considerati anche buoni (menomale!)».

 

 

           

 

           

In alto a sinistra i "pocobento", a destra i "pococibo", in basso a sinistra i "pocodolci" e infine i "pelushi" di Monica Maggi.

 

© Riproduzione riservata

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