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Pubblicato il 02/11/2012 17:05

Giampiero di Lorito è Crin Art

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di Giulia Grilli

 

Sono ormai superati i tempi in cui la street art veniva associata ai graffiti e alle scritte sui muri. L’arte urbana è diventata una forma comunicativa a tutti gli effetti. Si manifesta in luoghi pubblici, spesso illegalmente, e utilizza molteplici tecniche: spray, stencil, proiezioni video, sculture e anche  pittura. La strada diventa il maggiore strumento comunicativo per un pubblico non sempre consapevole di esserlo. Giampiero di Lorito, giovane abruzzese di 33 anni, esprime il suo talento a Berlino, città in cui vive dal 2009. La sua firma è Crin Art.

Il  percorso artistico di Giampiero ha avuto inizio quando frequentava le elementari, per arrivare al liceo artistico dove ha approfondito la sua formazione. Ha cominciato a lavorare mettendosi in proprio come grafico per poi essere assunto in alcune agenzie. “Lavorando nel campo della grafica ho avuto la possibilità di entrare sempre più a contatto con le immagini e con l’arte, e questo è stato un passo importante per avere una formazione personale che a sua volta mi ha permesso di abbandonare il campo commerciale e iniziare una strada tutta mia che sto continuando a percorrere”.

 Cos’è la street art e perché hai scelto questa forma artistica?

La street art, come dice la parola stessa, è un’arte di strada, spesso illegale, ma che dà modo a chiunque di esprimersi e mostrarsi ad un pubblico che effettivamente  non sceglie di esserlo.  Sono entrato in questo mondo perché mi ha sempre incuriosito, non è stata una scelta troppo pensata. La street art mi ha permesso di arrivare direttamente alle persone, sia al pubblico che ad altri artisti. Inoltre, ha creato l’opportunità di costruire un dialogo a colpi di immagini e tutto ciò non fa altro che accrescere l’esperienza e la passione per questo movimento.

Perché sei andato via dall’Italia?

Sono partito per fare nuove esperienze, ma soprattutto perché l’Italia mi stava annoiando. Anche tutti i problemi socioculturali hanno avuto un peso, ma non sono stati questi i veri motivi che mi hanno spinto a prendere la decisione di andare via. La curiosità di vedere altro e oltre è stata la spinta principale per fuggire. Ho scelto di venire a Berlino perché pensavo fosse una meta obbligatoria per i creativi. Questa è una città dove gira moltissima arte, dalla più povera alla più ricca, ma anche dalla più inutile alla più interessante. C’è molto da scoprire qui, anche se non so quanto tempo ci resterò, mi piace muovermi e vivere nuove esperienze. Ho in mente già altre mete. In Italia non rientro quasi mai. Pescara, poi,  mi annoia e mi rende triste, ma quelle poche volte in cui torno mi gusto tutte le mie origini, dal cibo agli affetti.

In base a cosa scegli il supporto sul quale esprimerti?

Ho dipinto sui muri, sui cartoni fino ad arrivare a creare delle vere e proprie sculture. Non c’è un supporto che prediligo, dipende tutto dal momento. Mi piace sperimentare, e a volte mi concentro per un periodo più o meno lungo su un particolare materiale. Tutto può cambiare nel giro di un giorno come di un mese. Per quanto riguarda i muri il discorso è leggermente diverso, perché per alcune tipologie di realizzazioni, come i lavori di grandi dimensioni, il muro è il supporto esclusivo.

Com’è dipingere sul muro senza bombolette?

Dipingere è sempre un’emozione. Spingersi oltre con le dimensioni è ancora più entusiasmante e soddisfacente. Al momento non ho nessuno che mi finanzi per le realizzazioni su muri di grandi dimensioni, per cui devo limitarmi a materiali e mezzi improvvisati. Tutto ciò, ovviamente, è parte del gioco, come una gavetta che spetta a chiunque voglia affrontare questo tipo di sfide artistiche. Nella pratica realizzare un dipinto del genere è molto difficile e impegnativo, ma per me è un bene che sia così.

Qual è il significato delle tue opere?

Questa è una domanda che mi piace porre agli altri. Io dipingo quello che ho in testa, quello che mi sento dentro, sia per i colori che per le forme. Raffiguro sempre degli intrecci, e non so se questo possa dipendere dal fatto che io sia “intrecciato”. In realtà non cerco mai di capirmi, come non cerco di associare ciò che faccio a qualcosa di specifico. Mi piace ascoltare gli altri per capire cosa ci vedono, sentono o immaginano. Preferisco rendermi partecipe insieme all’osservatore di quello che vede e discuterne. Questo mio modo di pensare si riversa nel fatto che non do titoli alle opere, individuabili sempre grazie a dei codici e mai da un nome preciso. Scelgo di non influenzare lo spettatore e tendo a rappresentare qualcosa che non sia identificabile nella realtà, ma che, allo stesso tempo, non sia completamente astratto.

Qual è l’esposizione più importante alla quale hai partecipato?

Purtroppo non ho potuto essere presente di persona a quasi nessuna mostra, perché alcune erano tanto lontane da non aver modo di poterle raggiungere per una questione economica. Ogni esposizione rappresenta per me un grande traguardo,  per il semplice fatto di aver partecipato con i miei lavori. Credo che quelle svolte in Francia con Artaq siano state le più gratificanti. Essere stato scelto tra tanti ad esporre con altri artisti di altissimo livello è più che una soddisfazione.

 

La street art viene compresa e apprezzata dal pubblico?

Dipende. C’è il pubblico più curioso e interessato, e quello mediocre e provinciale che, come sempre, e da sempre, sa solo disprezzare. Il messaggio che si lascia con la street art è destinato a chiunque, è una forma molto libera di porsi e credo che sia esattamente questa la funzione principale. Negli anni questo fenomeno artistico è cresciuto a dismisura, arrivando anche nelle gallerie, quindi penso che sia più apprezzato rispetto a prima. In strada le difficoltà a livello legale sono sempre le stesse, a volte anche peggiori rispetto al passato, ma alla fine è bene che sia così. È come se ci fosse una sorta di selezione naturale, c’è chi riesce ad andare avanti e chi no.

 

 

 

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