Per Matias Perdomo, giovane chef uruguaiano del ristorante Al Pont de Ferr di Milano, una stella Michelin, la cucina è generosità. E' l'inizio e la fine di un'intimità personale unica, in cui il rispetto del prossimo è fondamentale. I suoi piatti, binomio perfetto tra innovazione culinaria e arte, stravolgono i clienti ironizzando sulla forma o sull'assenza di essa. La cucina di Matias, in fondo, assume le vesti di un gioco in cui la fantasia umana sembra non avere più limiti. Il viaggio è quello in un mondo parallelo, un paese delle meraviglie in cui ciò che è smette di essere, e ciò che non è inizia ad esistere.
Tecniche artigianali che si ispirano al vetro di Murano, cipolle che prendono forma in un sottilissimo strato di zucchero soffiato. Pasta ricreata con stampi di silicone, un dessert che sembra una bottiglia di Campari. Insomma, con Matias è impossibile annoiarsi! Vulcanico, geniale, e ancora ironico e tenace, lo chef ha presentato la su filosofia in un cooking show al Cafè Les Paillotes di Pescara, per cucinare, poi, alcuni dei suoi piatti nella cena in riva al mare.
Perché per te la cucina è un gioco?
Quando esco tra i tavoli Al Pont de Ferr chiedo sempre ai clienti "Com'è andata? Vi siete divertiti?", perché per me è fondamentale. L'aspetto giocoso della mia cucina deriva probabilmente dalla mia prima esperienza lavorativa. Quando ero piccolo, infatti, lavoravo nell'azienda di mio zio che fabbricava giocattoli in legno. Vedevo arrivare pile di tronchi d'albero che venivano trasformati fino a prendere la forma di un piccolo oggetto. Sai, in Uruguay prendiamo la vita in modo ludico e ironico e credo che sia tutto questo ad influenzarmi.
Come sei arrivato dai giochi in legno alla cucina di un ristorante?
Non volevo fare il falegname, e non avevo molta voglia di studiare. Così mi proposi come aiuto cuoco nella cucina dell'hotel a 5 stelle di Montevideo. In testa avevo sempre l'idea di creare qualcosa, di plasmarla, ma sono sempre stato molto ansioso e le cose per me devono essere veloci. Non avrei mai potuto fare il pasticcere e attendere tempi lunghissimi per raggiungere il risultato finale. Anche oggi le nostre tecniche sono brevi, tutte finalizzate alla creazione di un piatto che, dopo essere stato mangiato, resta nella mia e nella tua memoria, e basta. Poi c'è il nulla.
Ritorniamo all'hotel 5 stelle....
Ah, si! Avevo fatto richiesta, ma non mi avevano preso. Mi ero già licenziato da mio zio, ed essendo orgoglioso non potevo tornare da lui, per cui ho cercato un posto in qualche cucina. In realtà non avevo alcuna esperienza, non avevo studiato per fare il cuoco. L'alberghiero in Uruguay ha preso piede negli ultimi anni, e la storia gastronomica del mio paese è quasi inesistente. La tradizione si è persa con l'arrivo di italiani e spagnoli, e sarebbe bello poter ritrovare le radici autoctone, ma si fa molta fatica.
Perché hai scelto di venire in Italia?
L'Italia ha scelto me! Circa quattordici anni fa ricevetti la telefonata di un mio amico che lavorava nella cucina del Pont de Ferr. Stava costruendo una nuova brigata e mi invitò a venire a Milano, ed eccomi qui! Quando il mio amico se n'è andato dal Pont, ho preso in mano io la cucina, e ormai sono passati sette anni.
Qual è il piatto che hai creato e che ti ha dato più soddisfazione?
E' quello che devo ancora fare. Ho il difetto di annoiarmi subito. L'idea è sempre quella di cambiare, e forse dovrei imparare a tranquillizzarmi sotto questo aspetto e mantenere il menù un po' più stabile, ma fosse per me cancellerei tutti i piatti e ne farei sempre di nuovi.
Durante il corso di cucina hai raccontato che le reazioni dei clienti davanti alle tue creazioni non sono state sempre molto positive.
Il Pont de Ferr era un'osteria già dagli anni '70 e i clienti erano abituati al risotto alla milanese e alla cotoletta. Quando abbiamo iniziato a stravolgere il menù le persone si alzavano e se ne andavano perché non tolleravano il cambio di rotta. Volevo proporre una cucina dai sapori italiani classici, ma da un punto di vista in grado di rompere le barriere della tradizione.
E non ti sei mai scoraggiato?
Si spesso, ma siamo una bella squadra e la proprietaria del locale, Maida, ci ha sempre sostenuti molto perché ha creduto in noi e nelle nostre capacità. Le battaglie sono quotidiane e l'importante è pensare di non essere mai arrivato, perché ogni giorno hai un nuovo punto di partenza, non c'è mai un traguardo finale. Per me va tutto bene quando i clienti sono contenti, non ho l'ansia di essere qualcuno, al massimo posso avere l'ansia di saper ritrovare me stesso tutte le mattine...
Foto di: Giulia Grilli
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