Si definisce retrò, tradizionalista e le piacerebbe partecipare al prossimo Festival di Sanremo. Simona Molinari è una cantante piena di talento, che nasce a Napoli e si trasferisce con la famiglia a l'Aquila a quattro anni. Nel 2009 con il brano Egocentrica si mette in luce sul palco di Sanremo. "La musica è come una vocazione, so da sempre che voglio cantare e non saprei fare altro", dice Simona Molinari, che con la sua esibizione al teatro Massimo di Pescara, ha incantato la platea con la sua voce potente e una presenza scenica invidiabile.
Simona inizia a studiare canto sin da quando ha otto anni. Passa dalla musica pop, agli studi del canto classico per approdare, infine, al jazz, genere nel quale finalmente trova la sua dimensione. Tre album in tre anni e un percorso che la porta alla pubblicazione di "Tua", ultimo lavoro all'insegna dell'electro swing.
Perché hai scelto proprio il jazz?
Ho iniziato da giovanissima con la musica leggera, poi mi sono iscritta ai conservatori per studiare canto classico. Ad un certo punto ho scoperto che c'era un genere di musica improvvisata e personalizzabile, il jazz, ovvero l'assenza di premeditazione. Nella vita mi sento molto libera, priva di schemi. Oggi canto una canzone in un modo e domani posso stravolgerla. Con il tempo ho mischiato più generi musicali, ma quello che amo di più del jazz è la libertà. Ci sono arrivata anche per curiosità e perché la voce, il mio strumento, mi ci ha portato. Alcuni dicono che il jazz non sia cultura italiana, ma non credo sia vero. È stato un genere molto osteggiato, soprattutto durante il Fascismo in cui era vietato suonarlo. Adesso torna ad essere ostacolato perché Monti ha tolto fondi a molti festival nel nostro paese. È anche vero che alcuni jazzisti si arrovellano su evoluzioni delle sonorità in modo maniacale. Si focalizzano sulla tecnica a discapito della comunicazione, senza pensare che il suono non perfetto ma vero è premiato. Le scale incredibili non vengono sempre capite. Credo che siano tutti questi motivi a rendere il jazz un genere di nicchia.
L'ultimo album è all'insegna dell'electro swing. Che genere musicale è?
Lo swing è un genere nato per far ballare le persone. Il mio intento era quello di riproporlo come una musica divertente e ballabile, che non fosse solo cervellotica o lontana dai nostri tempi e dalle nostre tendenze. Adesso si balla con la tecno, con la dance, con l'elettronica, quindi il modo migliore per mischiare passato e presente era proprio l'electro swing.
Come nascono le tue collaborazioni, da Ornella Vanoni a Peter Cincotti?
Le mie collaborazioni sono sempre con artisti che io stimo moltissimo. A volte faccio una timida richiesta alla produzione, altre volte sono io stessa a contattare musicisti o cantanti. Ornella Vanoni è una persona vera, e questo mi piace molto di lei. Ha costruito una carriera solida e piena di belle canzoni, ed è una donna molto elegante. Quando ho scritto un pezzo di bossa nova ho pensato subito che l'artista italiana più autorevole nel genere fosse proprio lei. Le ho chiesto di collaborare e mi ha detto di si. Per quanto riguarda Peter Cincotti, le cose sono andate diversamente. Io ero una sua grandissima fan, avevo ascoltato un suo cd mille volte in macchina. Ora siamo diventati amici e sembra assurdo. Avendo scritto un brano, Lettera, che mi faceva pensare al pianoforte di Peter e alla sua voce, mi sono detta: sarebbe bellissimo collaborare con lui. La casa discografica mi ha accontentato perché è riuscita a materializzare il mio sogno. È venuto in Italia a registrare il brano. Poi in studio, assolutamente per caso, e questo è il bello del jazz e della musica, giocando con le note di In cerca di Te è uscita una seconda collaborazione inaspettata. Lavorare con artisti importanti è bellissimo perché sembra che nulla sia impossibile. Puoi dire di non riuscire a fare una cosa solo se non la fai.
In Canada e in Asia hai riscosso molto successo. Come sono state queste esperienze live?
In Canada ci sono andata prima di Sanremo e mi sembrava incredibile che un teatro fosse pieno e che io fossi "famosa". Nel mondo c'è molta fame di musica ed è stato un successo che non mi aspettavo. Siamo stati in Asia cinque volte e a dicembre ripartiremo per due date a Tokyo. Lo spettacolo è esattamente come quello che eseguo in Italia, eppure ho visto gente rispondere, applaudire, sorridere, e addirittura alcuni cantare le mie canzoni. È stata un'emozione unica. In Cina, avevo conosciuto dei cantanti che ho ritrovato tra il pubblico durante un mio live. Alla fine li ho invitati a salire sul palco e abbiamo improvvisato Volare. Finisci per credere che la musica non abbia veramente limiti. Durante una jam session a Shanghai, un artista mi ha chiamato a cantare e io cercavo di spiegargli che non conoscevo bene la sua lingua. Lui alla fine ha detto qualcosa del genere: la tua pelle può avere qualsiasi colore, puoi parlare qualsiasi lingua, ma se canti con il cuore chiunque ti ascolterà. È stato un brivido. All'estero ho vissuto davvero esperienze bellissime, dove la musica è musica e non ci sono meccanismi commerciali.
Quanto è importante il pubblico e quanto ti influenza durante un live?
Il pubblico è importantissimo. Una serata può valere quattro come dieci, dipende tutto da chi ti ascolta. Quando sono sul palco mi emoziono perché in quel momento mi sento a nudo di fronte a tutti. Ci vuole anche una certa presunzione per farsi ascoltare, ora che ci penso. Si ha la responsabilità delle parole cantante e del messaggio che si comunica. A volte sento le sensazioni del pubblico, perché si crea empatia. Quello che vivo io lo vivono anche gli altri. È un po' come un rapporto d'amore: quando tu provi qualcosa credi, anche se non è sempre così, che anche l'altro provi lo stesso.
Com'è la vita dell'artista?
È incostante, faticosa, ma bellissima. Sei sempre in giro. È come una droga. Nel periodo di pausa tra l'uscita di un album e la partenza di un tour, si presentano i momenti più difficili perché non sai come affrontare ritmi di vita normali. Quando sali sul palco ti ricordi sempre perché preferisci vivere diversamente, perché ne vale assolutamente la pena. Certo, i rapporti personali sono penalizzati. Non avendo una vita stabile, rischi di diventare assente per gli altri, per cui devi impegnarti molto per fare in modo che tutto funzioni. È difficile esserci nei momenti importanti delle persone a te care. Ma dovessi vivere altre mille vite, io rifarei quello che faccio.
Dal 2009 al 2011 un album all'anno. Nel 2012 ti sei fermata?
In realtà no, l'album è pronto. Credo che uscirà nel 2013, quindi mi sono fermata solo nella pubblicazione, ma non nella creazione. Anche il prossimo lavoro sarà all'insegna dell'electro swing, ormai mi sono lanciata. Basta abiti lunghi e seri, mettiamo abiti corti, divertiamoci e balliamo. Ci saranno sempre delle collaborazioni importanti, ma non posso svelare niente, è troppo presto. Diciamo che per il futuro c'è molta carne sul fuoco, fortunatamente. Se il mondo non finisce il 21 dicembre come hanno detto i Maya. Io scherzo spesso con il mio produttore e gli dico: tanto questo è l'ultimo anno che lavoriamo insieme, poi finisce tutto!
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