Sono trascorsi due anni da quando Alessandro Falco ha utilizzato per la prima volta la sua Reflex. Due anni di esperimenti, successi ed esposizioni in giro per il mondo.
Classe 1986, montesilvanese, Falco con i suoi studi in Acquacoltura e Ittiopatologia è un esperto di acquari. Conseguita la laurea a Cesenatico, il suo desiderio è quello di entrare nel settore della ricerca Universitaria, ma è proprio da quel campo che decide di scappare. «Temevo di diventare una vittima di quel sistema – racconta questo barbuto ragazzo di fronte ad un pc costellato di cartelle contenenti tutti i suoi lavori -. Alla laurea ho ricevuto una macchinetta professionale. Prima di allora non avevo pensato alla fotografia come ad un lavoro e invece in pochi mesi ho iniziato a sperimentare. Poi mi sono iscritto all’Agenzia Contrasto di Milano, ad un corso di fotogiornalismo, un campo che mi attrae molto. La foto per me è un’opportunità per vivere sempre nuove storie, oltre ad un modo di muovermi nell’arte».
I successi per Falco arrivano subito. Quasi casualmente realizza uno scatto che gli consegnerà una grande visibilità. “B-Boy Attitude”, foto in bianco e nero che ritrae un ragazzo in un passo di break dance, altra grande passione di Alessandro, è finalista al Sony World Photography Awards 2012, finalista all’International Fine Art Photography Awards 2012, e viene acquisita dalla Biblioteca Nazionale Francese. Poco dopo vince il Premio Basilio Cascella 2012, di cui quest’anno Falco sarà giudice, con la foto di un pescatore brasiliano. Ma da quel momento questo talentuoso abruzzese decide di intraprendere un percorso fotografico, studiato e preparato. «Sono sempre stato attratto moltissimo dal rapporto uomo-natura. Ho avuto la possibilità di accedere al Young Photographer Alliance di Londra. E’ stata un’esperienza meravigliosa che mi ha permesso di lavorare con esponenti della fotografia mondiale come Justin Sutcliffe, vincitore di un premio Worldpress, l'Oscar del fotogiornalismo mondiale e di entrare alla Ew Agency, una importante agenzia londinese. Durante il progetto ci hanno chiesto di realizzare uno studio sul concetto di “casa”. E’ da lì che ho elaborato un lavoro, al quale sono molto legato e che sto seguendo tutt’ora». Alessandro inizia a seguire da vicino un suo ex compagno di scuola che ha scelto di vivere come eremo sui Monti del Gran Sasso. «Lui è esattamente dove ha sempre voluto essere– spiega Alessandro -. La sua penso che sia la scelta di vita più consapevole e sincera possibile, senza alcun genere di compromesso». E il rapporto uomo-natura torna anche nella serie “Vengeance” che porta Falco a conquistare il Renaissance Prize 2012.
Ma la creatività di Falco raggiunge l’apoteosi attraverso l’altra sua grande passione. L’acqua è un elemento ricorrente nelle foto di Alessandro. Dai progetti sull’acquaticità natale «che considero quasi un effetto placebo per la vita di un bambino, un ritorno alle origini della sua esistenza nella pancia della mamma» a “Fish Eye” dove l’acqua diventa «un mezzo per fornire un nuovo punto di vista. Ho cercato di immaginare in che modo ad esempio ci guardano i pesci, arrivando ad ipotizzare un punto transitorio tra la nostra e la loro visione delle cose». Da un semplice bicchiere alla condensa sui vetri di una discoteca al termine di una serata. Falco ricerca l’acqua ovunque e questa sembra proprio non avere segreti per lui. Costruendo uno speciale obiettivo ha ideato la sua «Grammatica della deformazione. Pur distorcendo, l’acqua mantiene qualcosa di vero e puro – spiega Alessandro -. Con Teardrops - ritratti di una bimba che vive il dolore della separazione dei genitori, ndr - ad esempio volevo trasmettere qualcosa che andasse oltre il visibile, senza però ingannare nessuno». Ora Alessandro continua nelle sperimentazioni di foto “liquida”, esponendo a Londra, Parigi e negli Stati Uniti, pensando a progetti tra Montesilvano e l’estero. «Mi piacerebbe andare in Brasile, in Amazzonia a fotografare gli Indios. Ma è proprio partendo da quest’ultima idea che ho pensato ad un nuovo progetto. Mi sono accorto che anche gli indigeni oggi sono super esposti. Basta cercarli su google e verranno fuori milioni di immagini su di loro. E’ allora che ho ideato “#Untaggables, social media heremits”, una raccolta di scatti sugli “eremiti di oggi”. Le persone più misteriose (e quindi interessanti) oggi sono quelle non esposte al mercato delle immagini e delle condivisioni sul web. A queste immagini vorrei legare degli hashtag – i tag utilizzati da alcuni social per creare delle etichette, ndr – per raccontarli».
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