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Pubblicato il 03/04/2013 11:11

Iacopo Pasqui, il fotografo scelto per il Conclave

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di Marcella Pace

Il passaggio dal libro “Storia della Fotografia in Italia” di Einaudi alle Enciclopedie Treccani è stato quasi naturale per Iacopo Pasqui. Ventinove anni, nato a Firenze, da anni residente a Pescara, questo giovane abbraccia il mondo della fotografia solo nel 2008, dopo tre anni di Giurisprudenza, e in quasi 5 anni ottiene risultati eccellenti. «Non credo di aver mai attraversato una fase amatoriale nella fotografia. Era un mezzo che mi aveva sempre affascinato ma sul quale non mi ero mai soffermato. Poi ad un certo punto è scattata la scintilla. Ho capito che c'era qualcosa che non andava nel mio modo di relazionarmi con l'esterno e dovevo trovare un canale nuovo. Quel canale era la fotografia». 

Inizia così Iacopo, realizzando studi sociali in giro per il mondo. Nepal, Libano, Africa, Stati Uniti. Le realtà immortalate nelle fotografie di questo giovane talento della pellicola sono molteplici. «All'inizio vedevo la foto come un mezzo per raccontare qualcosa di diverso rispetto al mio mondo quotidiano. Poi ad un certo punto, man mano che ho preso dimestichezza con il mezzo ho iniziato a sentirlo mio. Da lì la mia foto è divenuta molto intimista. Lenta, meditativa. In ogni scatto si materializza tutto quello che ho elaborato fino a quel momento. Per me è una reale necessità, un flusso istintivo che devo assecondare e che si riversa in ogni foto. Di ritorno da un viaggio in Africa, ho sentito l'esigenza di evadere da quel lungo “pellegrinaggio” che avevo iniziato e ritrarre qualcosa del mio territorio. Così ho cominciato un lavoro sul paesaggio costiero abruzzese. Si chiama “Hotel Riviera”. Senza mai cambiare prospettiva ed inquadratura, ho fotografato la spiaggia, da Giulianova a Termoli, come se avessi montato la macchina fotografica sul dolly, quel carrello che si usa nel cinema per realizzare riprese in movimento. Il mare è un elemento ricorrente nei miei scatti e riesce a raccontare molto di me stesso». 

Ma sono due le grandi svolte per la carriera di Iacopo. La prima è la partecipazione tra il 2011 e il 2012 alla prima edizione del concorso fotografico Leica Talent 24x36. «Essendo un premio sviluppatosi molto sui social network – racconta Iacopo – mi ha dato parecchia visibilità ampliando molti orizzonti». Da quel concorso nasce il progetto Uncommon Time, un diario fotografico esposto nell'appartamento LAGO  di Pescara e di Brera a Milano.

La seconda svolta è il lavoro che lo porta dritto dritto nel libro “Storia della fotografia in Italia”. Iacopo aveva realizzato a due anni dal sisma, un lavoro su L'Aquila, sviluppato insieme all'Università di Teramo. Tra i molti scatti prodotti, “Supermarqet” che ritrae uno dei tanti luoghi di aggregazione sociale abbandonati dopo il sisma, viene scelta e e pubblicata dalla Einaudi. «Quella foto rappresenta qualcosa di non necessariamente riconducibile al terremoto, ma al tempo stesso portatore di tutto quel disagio che a L'Aquila a due anni da sisma si percepiva ancora. Le crepe e le macerie di quel negozio potrebbero essere il frutto di una ristrutturazione invadente o di una demolizione, ma poi salta all'occhio tutta la solitudine di quei luoghi. È forse questo che ha reso questa foto vincente». 

Ed è anche quella foto che apre le porte del Vaticano a Pasqui. Iacopo è stato chiamato dalla Treccani a fotografare il momento dell'elezione del nuovo Papa, dall'ultimo Angelus di Benedetto XVI  fino al primo discorso di Papa Francesco, documentando il mondo che in quelle settimane ha ruotato intorno alla cupola di San Pietro. Dai pellegrini, ai prelati, dai negozi legati al commercio religioso all'allestimento della Cappella Sistina fino ai Musei Vaticani. «E' stata un'esperienza meravigliosa, poiché mi ha permesso di entrare in contatto con un mondo che fino ad ora non avevo nemmeno mai sfiorato. E la gratificazione più grande è stata poter constatare la soddisfazione del committente». 

Ora Iacopo pensa ad un nuovo progetto particolare. «Ultimamente ho prodotto un lavoro molto personale. Si chiama “Leben” che in tedesco indica il termine “vita”. Sono tutte foto scattate con il telefonino, un mezzo secondo me potentissimo perché riesce a riprodurre fedelmente ogni singolo istante. E ora vorrei pubblicarlo in tre volumi».

   

Adriatico, dal progetto INTRANSITO - Abruzzo, 2012

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