A volte bisogna sapersi perdere tra strade impervie fatte di sassi, polvere e fango, in cui la terra brulla delinea sentieri che sembrano non portare in nessun luogo. E' solo abbandonando la via maestra che conduce a destinazioni note che si possono trovare piccoli tesori che sanno di storia. Non lontano dalla città di Pescara, ad esempio, nella campagna di Città Sant'Angelo, ci sono vite rimaste ferme nel tempo, dove il cellulare è l'unico lusso tecnologico di un'esistenza trascorsa a braccetto con madre natura.
E' così che scopro Bernardino, un pastore di settant'anni che mi accoglie nel piccolo laboratorio tutto intento a salare il suo formaggio. L'odore del latte di pecora è intenso, pieno di sfumature golose che risvegliano i sensi e invogliano ad addentare una di quelle forme riposte sulle mensole di legno.
Su questo pezzo di terra il presente e il futuro non esistono. E' un viaggio nel passato quello con Bernardino, nelle tradizioni casearie di un Abruzzo pastorale, tramandate da padre in figlio e purtroppo destinate a morire nel disinteresse di una generazione giovanile che ignora le radici e gli antichi saperi.
"Ho iniziato a lavorare con le pecore a dodici anni, dopo le scuole" racconta il pastore "e mio padre mi ha insegnato subito a fare il formaggio. Con il tempo ho imparato bene il mestiere e lui ha lasciato l'attività a me. Oggi mi occupo di tutto, dai conti al bestiame". Bernardino è un uomo energico, instancabile e spiritoso, dall'occhio vivo e il baffo bianco. Nelle sue vene scorre il sangue di una famiglia longeva "i miei genitori sono morti che avevano quasi 100 anni", racconta mentre lo osservo rendendomi conto che i suoi settanta se li porta davvero bene.
"Sei pronta a vedere come si fa il formaggio?" mi dice scoperchiando un pentolone e imbracciando un bastone di legno, quello che in dialetto viene chiamato lu mistc'. E' così che inizia a rompere la cagliata con movimenti circolari, in un rituale magico in cui le sue forze non si esauriscono mai. Poi immerge le mani nel grande recipiente e va in cerca della pasta ammassandola in una grande e unica forma. "Vuoi assaggiare lu sprisciocc'?" mi chiede come se potessi sapere cosa sia. "E' la parte solida che vedi. Un tempo i bambini erano così golosi che bisognava cacciarli altrimenti rubavano tutto e il pecorino non si faceva!".
Le dita di Bernardino sono intrise di latte, mentre massaggia nei cestelli l'impasto per iniziare a dare la forma al prezioso formaggio. I suoi gesti si fanno delicati, amorevoli, che sembra quasi vederlo perdersi in una relazione sentimentale con i suoi prodotti e dimenticarsi della mia presenza alle sue spalle.
"Adesso da lu scaciat' facciamo la ricotta", spiega mettendo a bollire il siero avanzato fino a raggiungere gli ottanta gradi. La stanzetta buia si fa più calda e la finestrella aperta sulla vallata non basta a rinfrescare l'ambiente, così il pastore mi accompagna fuori per fare due chiacchiere. "Questo lavoro non lo vuole fare più nessuno, è troppo faticoso. Bisogna iniziare alle cinque di mattina e proseguire fino alle otto di sera, sette giorni su sette, e in estate ci si sposta in montagna. Le nuove generazioni, invece, pensano solo alle ferie e alle vacanze" spiega Bernandino alzando le spalle con rammarico.
"C'è stato un tempo in cui il regolamento europeo non ci permetteva più di fare il nostro formaggio a latte crudo, e noi piccoli artigiani stavamo scomparendo. Far bollire il latte vuol dire perdere sapori e identità, e per fortuna che la politica ha capito che le piccole realtà devono essere ancora preservate, altrimenti le tradizioni muoiono".
Durante la passeggiata nel verde mi mostra le pecore nella stalla e gli animali mi guardano come se fossi un intruso non gradito. Il loro letame diventerà concime per i terreni dell'Azienda Agricola D'Alesio, mentre la lana non sembra essere un prodotto troppo redditizio per il pastore.
La mattinata è finita, è ora di pranzo. Bernardino, dopo aver riempito i cestelli di ricotta, si chiude alle spalle la porta del piccolo laboratorio e mi saluta. In quella stanza resta custodito un tesoro di tradizioni, sapori e profumi. L'anima dell'Abruzzo rurale, per oggi, è ancora salva.
Foto di Giulia Grilli
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