Questa non è una storia conclusa, una di quelle da punto e a capo. Non finisce un'era, per intenderci, tutt'al più un capitolo. Per terminare il racconto, però, bisognerà aspettare ancora, e ancora. E tutto ciò è normale se il protagonista degli avvenimenti è un personaggio storico e controverso dell'arte contemporanea, Cesare Manzo.
La notizia della chiusura della sua galleria pescarese dopo 48 anni è un duro colpo, anche se potremo fargli visita fino a metà dicembre. Pensare di passeggiare per via Umbria senza vederlo dietro la sua scrivania mentre fuma una sigaretta, però, lascerà un sapore amaro in bocca e uno strano brivido nostalgico.
Cosa possa accadere dopo e quali siano i progetti futuri non ci è dato saperlo, su questo Manzo tace. E mai come adesso sembra essere più appropriata la frase "date a Cesare quel che è di Cesare", perchè a quest'uomo che respira cultura da sempre, sarà necessario continuare ad assicurargli giusti quantitativi di personalissimo ossigeno.
Il suo è un sodalizio tra anima e arte, che si è concretizzato in una serie di eventi che hanno reso nota la città di Pescara a livello internazionale. "L'idea di Fuori Uso fu vincente e me la copiarono in giro per il mondo. All'epoca non c'erano musei d'arte contemporanea qui, così decisi di esporre in luoghi dismessi e abbandonati. Penso che l'edizione del 1992 con Achille Bonito Oliva e quella del 1995 con Giacinto Di Pietrantonio siano state quelle più significative. Facemmo miracoli con quei pochi soldi che riuscii ad investire", racconta Manzo. "Non ho mai avuto uno sponsor, un finanziatore, neanche quando ho organizzato queste manifestazioni. La gente, ancora oggi, pur di non investire, scappa!".
Per fare il gallerista, racconta Manzo, ci vogliono i peli sullo stomaco e una sensibilità superiore alla media. "Questo è un lavoro facile da fare se hai i soldi, e difficilissimo se parti da zero. Devi avere una grande conoscenza del mondo dell'arte e un intuito pazzesco. Da un punto di vista etico è molto complesso, perché devi portare avanti un rapporto corretto sia con gli artisti che con gli acquirenti, soprattutto con i collezionisti. Devi saper cogliere l'attimo e anticipare gli altri".
Si potrebbe dire che Manzo abbia anticipato tutti di almeno un ventennio, e forse per questo non è mai stato capito. "Tanta gente viene da me oggi per dirmi: ah! Se avessi acquistato le opere che tu mi proponevi, ora mi ritroverei con un patrimonio non indifferente. Ma io che ci posso fare? Mica è colpa mia se all'epoca non mi avete creduto!".
Ha sempre alternato opere di artisti già noti a quelle di giovani emergenti. De Chirico, Fontana, Cattelan, Hammons, Kounellis, De Dominicis, Pistoletto, sono solo alcuni dei nomi che potremmo citare, assieme a tutta la transavanguardia e all'arte povera. Il gallerista non si sbilancia mai e alla domanda "qual è stato l'artista che ricorda con più piacere?" lui risponde "Tutti".
Il suo tavolo è colmo di carte disordinate piene di appunti, e foto che riportano alla memoria quel periodo in cui il giovane Cesare sognava, e mostrava agli altri che i sogni si possono realizzare. "Ho sempre fatto con semplicità cose che semplici non erano. Ma questo è l'unico modo che conosco di operare, non saprei inventare nuove strategie per fare arte e cultura, e credo che difficilmente potrà esistere un altro come me, un pazzo in grado di investire di tasca propria".
Ma com'è cambiato il mondo dell'arte negli ultimi venti anni? "C'è ancora qualcuno che compra quadri, ma non pensare che desiderare un'opera d'arte significhi sempre avere cultura. Gli acquirenti sono soggetti sensibili all'oggetto che gli si propone, non lo devono capire per forza,e a volte è solo una questione di possesso. Pescara è una città contemporanea, lo è sempre stata, ma spesso se ne dimentica. Purtroppo in questo periodo storico sta diventando un territorio di pensionati, perché i giovani scappano via e fanno bene. Per quel che mi riguarda ho ancora tanta passione, e quando non ne avrò più ve ne accorgerete" afferma il gallerista.
E allora perché si è giunti al capolinea? "Le condizioni economiche e sociali oggi non permettono l'esistenza della mia galleria. Perché devo rimanere qui a soffrire? Neanche io so cosa mi accadrà dopo, quando chiuderò la porta in via Umbria 48 per l'ultima volta. Ma per me non è finita, questo non è un addio, sono solo puntini di sospensione...".
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